In ATP Cup si è fermata la striscia di vittorie di Nadal. Oppure no?

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In ATP Cup si è fermata la striscia di vittorie di Nadal. Oppure no?

Nadal è stato battuto prima da Goffin e poi da Djokovic. In una competizione tra squadre nazionali non perdeva dal 2004: ma l’ATP Cup lo era davvero? Non ufficialmente…

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La prima edizione dell’ATP Cup si è appena chiusa, ma una questione è rimasta aperta. No, non ci riferiamo alla difficile scelta, nell’incontro decisivo per l’assegnazione il trofeo, se schierare il giocatore più forte della squadra (e del mondo) oppure il più bello, bensì alla rappresentanza – vale a dire “in nome di chi” hanno incrociato le racchette i tennisti impegnati tra Sydney, Brisbane e Perth. La questione, che francamente nemmeno era tale per la quasi totalità di partecipanti, addetti ai lavori e appassionati, ha assunto una certa rilevanza con la sconfitta di Rafa Nadal per mano di David Goffin nel tie valido per i quarti di finale dell’ATP Cup contro il Belgio.

Perché Rafa non perdeva in una manifestazione a squadre dal febbraio 2004 nel suo rubber di esordio in Coppa Davis. Anzi, è stato sconfitto da John Isner in Laver Cup, per quanto “retroattivamente”, avverbio che dovrebbe far rabbrividire chiunque creda nella certezza delle regole. Diciamo allora che non perdeva da sedici anni indossando la maglia della Spagna. No, non è sufficiente nemmeno metterla in questo modo, giacché è stato battuto ai Giochi di Rio 2016 prima da Delpo in semifinale e poi da Nishikori. In un ulteriore tentativo di precisazione, possiamo finalmente affermare che Nadal non ha mai perso un incontro di singolare in una competizione a squadre con la maglia della Spagna. Ma possiamo davvero?

Innanzitutto, comincia a diventare troppo “limitativo”. È un po’ come il giocatore di club che “Ho vinto un torneo! Però non della FIT, un ‘sociale’, riservato ai mai classificati, over 60/100 (anni e chili), bla bla“. Inoltre – ed ecco il vero nocciolo della questione – era veramente la maglia spagnola quella che vestiva Rafa? La domanda certo non riguarda il solo campione maiorchino, ma è estesa a tutti coloro che hanno preso parte all’ATP Cup: hanno rappresentato la loro nazione come la rappresentano in Coppa Davis? Cerchiamo di dare una risposta a questa domanda analizzando regolamenti e fatti, ammettendo subito che, per colpevole semplicità, ci conformeremo alla denominazione ufficiale della Coppa Davis anche nel nuovo formato.

Rules and Regulations alla mano, nella sezione che riguarda l’evento appena concluso in Australia, non compare mai il termine nazione, ma si parla di squadra e Stato/Paese (country). Leggiamo che si tratta di “una competizione per 24 squadre, ogni squadra composta di un minimo di tre e un massimo di cinque giocatori dello stesso Paese”. Viceversa, scorrendo le regole della Coppa Davis, che la definiscono “il campionato maschile a squadre ufficiale dell’ITF”, la presenza di Nations – con l’iniziale maiuscola – è dominante. Prendiamo per esempio il paragrafo sui Qualifiers che “sono disputati tra 24 Nazioni per determinare le 12 Nazioni che avanzeranno alla settimana delle Finali e le 12 Nazioni che parteciperanno ai Gruppi zonali”.

L’ATP prende le dovute distanze dalle associazioni/federazioni nazionali individuando nel giocatore con più alta classifica il capitano della squadra o, in subordine, lasciandogli la possibilità di designarlo purché sia della stessa nazionalità; un altro requisito è l’essere un membro in regola dell’ATP (giocatore o allenatore) oppure “un Capitano o un coach della Federazione”, una piccola concessione senza ovviamente preoccuparsi che il soggetto sia o meno in good standing con la federazione di appartenenza. La nazionalità (cittadinanza) dei componenti delle squadre è di nuovo citata nella disposizione secondo cui va considerata quella alla data dell’iscrizione. Basandosi poi sull’esperienza dell’ITF (con le decisioni contraddittorie sui casi Bedene e Tomljanovic, negando all’uno e permettendo all’altra la partecipazione alle rispettive competizioni a squadre sotto due diverse bandiere), è stabilito fin da subito che un giocatore può rappresentare un solo Paese nell’ATP Cup nel corso della propria carriera.

Ancora, la regola sull’abbigliamento dei componenti di una squadra che “li identifica con il Paese che rappresentano”. Se la nazionalità è ribadita come elemento essenziale, non possiamo non rilevare la curiosa assenza di quel lemma dalle regole della Davis che, riguardo ai requisiti di ammissibilità, parla di “cittadino di quella nazione” con un passaporto valido (o che dovrebbe poterlo ottenere).

Comparazioni regolamentari e disquisizioni semantiche lasciano ora il posto a quello che succede in campo. Innanzitutto, l’orecchio coglie le chiamate degli arbitri di sedia che in questi giorni hanno annunciato “vantaggio Team Austria, gioco Team Russia” e via così, laddove nella Coppa Davis dicono solo il nome della nazione. Ma anche l’occhio fa la sua parte quando si gioca a “trova le differenze”: i nomi delle nazioni sulle magliette dei giocatori sono molto spesso presenti nelle sfide della storica manifestazione, però mai nell’ATP Cup, che si tratti del numero uno del mondo o di Franco Roncadelli (sì, ammettiamo di considerare la sua presenza uno dei simboli di questo evento e, perché no, un supporto alla motivazione del warning inflitto a Pablo Cuevas).

Sulla maglietta di Medvedev non c’è scritto ‘Russia’, per esempio (via Twitter, @ATPCup)

Come controprova, Nicolas Mahut e Edouard Roger-Vasselin si erano evidentemente portati le magliette “da Davis”, ma hanno dovuto coprire la scritta ‘France’. E parliamo di Nico Mahut, colui che, pur invocando il cambio di denominazione dopo lo stravolgimento del formato, portava fiero sulle spalle il nome (e il peso) della sua patria nei doppi alla Caja Mágica. “Abbiamo anche un problema con le magliette” aveva dichiarato nel media day di Brisbane. Non possiamo giocare con Francia sulla schiena che, per me, è molto speciale quando rappresenti il tuo Paese, ma troveremo una soluzione”.

LA VOCE FEDERALE – Infine, si è fatto sentire anche Miguel Díaz Román, presidente della RFET, la federazione tennis spagnola. In un comunicato che esordisce immaginando un effetto positivo dell’ATP Cup dal punto di vista della promozione dello sport per cominciare già a metà della prima riga con le perplessità e le critiche riguardo a tale evento, Díaz paventa la possibilità che lo sviluppo dei giovani talenti appoggiati dalle federazioni sia messo in pericolo dalla mancanza di accordo tra ITF e ATP, tanto da portarlo a questa riflessione: “La rappresentanza di un Paese in una competizione ufficiale è dei Governi, a loro volta rappresentati dalle Federtennis di ogni Nazione”. Sorvolando sul richiamo vagamente inquietante al massimo organo politico di uno Stato, il suo pensiero lascia poco spazio alle interpretazioni.

STRISCIA VINCENTE CHIUSA? – Riassumiamo allora quello che abbiamo sui due piatti della bilancia. Rafa ha giocato per “Team Spagna”. Ha indossato la classica maglietta rossa, tuttavia priva della scritta España – scritta assente (addirittura cancellata, in un caso) da qualsiasi capo di abbigliamento in questi dieci giorni. In quanto primo singolarista, Nadal, non la federazione, ha scelto il capitano. Due regole ATP parlano di Paese rappresentato. Secondo la RFET, in Australia non erano rappresentate le nazioni. Il fenomeno di Manacor aveva perso una sola volta sedici anni fa e qui ha subito due sconfitte in tre giorni: è un indizio che non stesse giocando per la Spagna o, semplicemente, non aveva mai affrontato sul duro due avversari con una classifica così alta?

Infine, al di là di preferenze e antipatie personali, possiamo immaginare buona parte del pubblico tifare per i propri connazionali come in Coppa Davis. Forse, oltre le regole e la forma, è proprio la percezione degli appassionati unita a quella dei giocatori a definire l’evento e siamo pronti a scommettere che, in cuor suo, Rafa non abbia pensato nemmeno per un attimo di non essere in campo per la sua nazione durante la prima edizione di questa ATP Cup. Se è così, si chiude anche la sua incredibile striscia di vittorie in singolare “con la squadra spagnola”, ma non deve essere causa di sconforto per i suoi tifosi – né per chi ama i grandi numeri dei campioni in genere – che devono anzi cogliere l’opportunità di assaporare qualcosa di concreto perché ormai definito. Resta invece aperta la striscia in Coppa Davis. O si è chiusa – in quel caso nel migliore dei modi – con l’ultima vittoria prima dell’avvento della Kosmos Kup?

Il bacio di Rafael Nadal a Feliciano Lopez – Davis Cup Finals 2019 (via Twitter, @DavisCupFinals)
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