Tennisti al verde: l'ATP pensa a una "cassa integrazione"?

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Tennisti al verde: l’ATP pensa a una “cassa integrazione”?

La pausa si prolunga e c’è chi reclama a gran voce un intervento dell’ATP. Un anticipo sulla pensione o sui prize money futuri la soluzione?

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Lo stop forzato dei circuiti ATP e WTA sta causando immensi grattacapi a tutti coloro che gravitano nell’orbita del tennis professionistico. C’è ancora un grosso punto interrogativo su quando sarà possibile ritornare a una parvenza di normalità e nel frattempo tutti i componenti del circo tennistico cominciano a fare due conti, a partire dai giocatori.

I tennisti sono liberi professionisti, i cui introiti sono strettamente legati alla possibilità di competere e di vincere: se non ci sono tornei, gli introiti si riducono a zero, almeno per quel che riguarda i montepremi ufficiali. Qualcuno può contare su rendite da sponsorizzazioni, le quali però tendono a essere legate alle apparizioni nei tornei, soprattutto quelli importanti, soprattutto nei turni avanzati. Più si scende nel ranking, più le cifre garantite dagli sponsor e non legate ai risultati ottenuti in campo si fanno più basse. E poi bisogna considerare anche le persone che fanno parte dei vari team: gli allenatori, i preparatori fisici, i fisioterapisti, i quali sono stipendiati dai giocatori stessi (qualche volta da più di uno, dato che non sono rari i casi di condivisione) e che anch’essi spesso e volentieri hanno una parte “variabile” dello stipendio legata alle vincite del giocatore assistito.

Il quotidiano francese l’Equipe ha parlato con Morgan Menahem, 45 anni, ex agente di sportivi di alto livello come Jo Wilfried Tsonga, Julien Bennetteau e il cestista Tony Parker, il quale ha suggerito un intervento da parte dell’ATP (non ha parlato del Tour femminile) che potrebbe attivarsi distribuendo una sorta di contributo una-tantum, in funzione della durata dello stop, che potrebbe essere ricavato dal fondo pensione dell’ATP.

Attualmente, ogni anno 165 giocatori (125 in singolare e 40 in doppio) beneficiano di un versamento a loro nome nel fondo pensione pari a una somma fissa uguale per tutti decisa dall’ATP a fine anno. Fino al 2018 un giocatore doveva aver ottenuto il diritto al contributo per almeno cinque anni prima di poter aver diritto alla pensione, mentre ora anche con tre o quattro anni di “contributi” si può beneficiare di una parte della somma versata. I giocatori che hanno maturato il diritto possono iniziare a ricevere la loro “pensione” a partire dal cinquantesimo compleanno.

In questo periodo si potrebbero utilizzare il denaro dei fondi pensione per elargire un contributo ai giocatori momentaneamente disoccupati, e la somma potrebbe essere restituita sotto forma di una pensione leggermente più bassa per gli aventi diritto oppure attraverso un “rabbocco” da effettuare in un futuro più immediato quando la situazione si dovesse normalizzare.

La possibilità concreta che i tornei del Grande Slam possano non disputarsi rappresenta uno spauracchio non di poco conto per tutti quei giocatori che navigano al di sotto del 120°-130° posto nel ranking, che rappresenta un po’ lo spartiacque tra chi riesce a guadagnare con il tennis e chi invece va in perdita ogni anno, secondo quanto rivelato diverso tempo fa da tennisti, tecnici e allenatori (potete farvi un’idea leggendo questo pezzo). Il solo montepremi delle qualificazioni dei tornei dello Slam rappresenta un introito irrinunciabile da parte di quelli che normalmente frequentano tornei Challenger e ITF: un terzo turno nel tabellone cadetto al Roland Garros, per esempio, elargisce un montepremi di 24.000 Euro (meno le tasse), più eventuali bonus derivanti dalle sponsorizzazioni che possono ammontare anche loro a svariate migliaia di Euro. Si tratta di somme indispensabili per poter affrontare tutte le spese della stagione agonistica, tra viaggi, alberghi, spese per gli allenatori e le incordature. Si calcola che un giocatore europeo in tabellone al Masters 1000 di Indian Wells (poi cancellato) e che si fosse recato in California con il proprio team prima del torneo abbia già speso almeno 15.000 euro tra voli, spese e stipendi per il proprio team.

Indian Wells (via Twitter, @BNPPARIBASOPEN)

Chiaramente non ci sono soluzioni semplici a questo problema difficilmente anticipabile e del quale non si intravede la fine. Sempre parlando a l’Equipe, il tennista francese Elliot Benchetrit, n. 208 della classifica, propone una soluzione che vedrebbe i tornei dello Slam anticipare il prize money del primo turno di qualificazione a tutti gli aventi diritto, per poi sottrarre la somma alla data effettiva di svolgimento della competizione. “L’ATP deve trovare una soluzione, anche se capisco che si trovi invischiata in una situazione molto complicata. Credo si dovrebbe decidere a chi eventualmente pagare un contributo in base alla media del ranking degli ultimi anni, non solamente in base all’ultima classifica. Per quel che mi riguarda mi va abbastanza bene perché ho fatto dei buoni risultati negli ultimi tornei dello Slam e quindi sono riuscito a monetizzare [è arrivato al secondo turno del Roland Garros 2019 partendo dalle qualificazioni, riuscendo poi ad entrare in tabellone sia a Flushing Meadows sia all’Australian Open n.d.r], ma in questo periodo è necessario risparmiare il più possibile”.

C’è anche un’altra idea, ancora più radicale, avanzata sempre da Menahem: utilizzare una parte del montepremi delle ATP Finals per distribuendolo a tutti i primi 300 della classifica. “Se l’ATP distribuisse 15.000 dollari ai primi 300 del ranking, la spesa complessiva non arriverebbe nemmeno a un terzo del montepremi totale delle ATP Finals”. La kermesse di fine anno del circuito maschile è l’unico evento controllato direttamente dall’ATP, e dal quale l’associazione ricava buona parte del proprio fatturato, attraverso sponsorizzazioni e diritti TV. “I primi otto giocatori del mondo che arriveranno a Londra – continua Menahem – dovrebbero aver già guadagnato vicino ai 5 milioni di dollari una volta arrivati alle finali [ammesso e non concesso che si giochi almeno metà stagione n.d.r], senza contare tutto quanto guadagnato in sponsorizzazioni e gettoni presenza”. Potrebbero quindi essere nella posizione migliore per fare un sacrificio a favore di tutti gli altri che invece navigano in acque molto meno tranquille dal punto di vista finanziario.

In un mondo fortemente orientato al principio del “winner takes it all” come il tennis, dove il prize money totale è concentrato principalmente nelle mani di un numero molto ristretto di giocatori, questa mossa “assistenzialista” da parte dell’ATP (che dovrebbe necessariamente passare per l’approvazione da parte dei Top 10 e del Players’ Council) potrebbe rappresentare un’inversione di tendenza quantomai opportuna in questo momento di grande incertezza. Per non rischiare di trasformare il circuito professionistico in un circuito itinerante di una dozzina di persone come ai tempi di Jack Kramer.

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