Il tennis e quella fine che non vedremo più

Opinioni

Il tennis e quella fine che non vedremo più

Federer, Nadal e Djokovic fermi, come il mondo. Con loro ferma la presunta lotta per l’eternità

Pubblicato

il

Rafael Nadal - ATP Cup 2020
 

Diavolo se ci manca. Fa parte della nostra vita da quando abbiamo smesso di guardare i cartoni in TV e ora che non lo vediamo, è legittimo dire che ci manca. Sappiamo che c’è, che semplicemente si nasconde da qualche parte. Fa bene a stare nascosto, fuori è buriana e nessuno sa se il virus infetta la gomma delle palline. Nessuno sa quanto tempo resiste sulle corde in budello, quanto su quelle in monofilamento, quanto sui polsini sudati o sui granelli di terra battuta. Se si trattiene con più piacere sui rovesci bimani o a una mano, su chi gioca in top oppure in back. E se nessuno lo sa è meglio che nessuno lo dica.

Resta al sicuro, per ora, e ancora a lungo. Non lo è negli stadi deserti, non lo è nei palazzetti. Se vogliamo preservarlo, se vogliamo tornare in campo, dobbiamo smontarlo e poi riporlo. Dobbiamo prendere le due persone che si mettono dai due lati della rete e allontanarle, sempre di più, fino a che smettano di vedersi, fino a che per quanta forza ci possano mettere a colpire la palla, mi spiace, questa non potrà tornare indietro. Lontani, fino a che i legami, i collanti che tengono unito il nostro gioco non si dissolveranno, consentendoci di ripiegarlo su di sé e di tenerlo protetto.

Però manca. Scrisse Bukowski: “A volte mi manchi così tanto che credo di non farcela. Poi ce la faccio, però mi manchi lo stesso”. È una frase, una poesia, che ben può essere utilizzata per un test, per verificare se si è esseri umani, come l’esame della pupilla nelle prime scene di Blade Runner. Se provate anche voi un brivido ogni volta che leggerete questa frase, bene, vuol dire che non siete replicanti. Perché è difficile trovare in una sola frase una sintesi migliore di quel che è amore e di quel che è nostalgia.

È come se vi venisse chiesto cosa provate dopo un servizio esterno cui fa seguito una voleé giocata dall’altro lato, nel campo aperto ma contendibile dalle gambe dell’avversario. Se non provate quel brivido, se neanche per un istante pensate che la sintesi del nostro gioco sia tutta lì, bene anche qui, ma vi avvisiamo che Harrison Ford sta venendo per voi.

Ci manca come ci mancano le ultime pagine di un romanzo di Palahniuk. Come l’acme del Bolero di Ravel. Ci manca perché ora abbiamo addosso la paura di non sapere come andrà a finire. Pensavamo di esserci arrivati, almeno nel nostro sport preferito, a vedere la parola “fine”. Non vedremo quella dell’universo, forse vedremo quella della Salerno-Reggio Calabria o della metropolitana di Napoli, ma almeno a quella del tennis pensavamo di poter assistere.

Sarebbe stata decretata dalle ultime gesta, adesso negate, di quei tre lì. Quelli che adesso donano tutti un milione a testa per l’emergenza, in una sorta di cartello di non belligeranza anche nell’ambito umanitario.

E il dopo? Beh, il dopo sarebbe stato privo di particolare significato. Un day after, in cui saremmo tornati a vivere il tennis sotto l’egida di un bandiera nazionale. Un ex post in cui avremmo smesso i panni di cittadini del mondo che abbiamo indossato fingendoci svizzeri, spagnoli o serbi. Nel dopo saremo semplicemente italiani, con i nostri giovani e giovanissimi che ci promettono che ne varrà la pena.

Non potevano fermarli gli avversari, gli infortuni, gli anni. Ha dovuto pensarci un microrganismo, forse falsando tutto quel che si poteva dire in ordine all’ozioso e inutile gioco statistico del chi sia il migliore di ogni tempo. A questo gioco non ci prestiamo, ma troviamo legittimo che chi vi si è appassionato, non veda la maratona annullata al km 42 e rotti, a pochi passi dalla fine.

Federer aveva una sola opportunità di vincere un altro slam questa estate. Nadal una sola opportunità di raggiungerlo col tredicesimo Roland Garros. Djokovic una sola opportunità di restare numero uno più a lungo dello svizzero. In tutto questo forse solo lo spagnolo riceverà un’improvvida mano dalla rivoluzione francese, ma con il rischio di un Roland Garros d’autunno più simile a quello del 1974, con defezioni importanti, che non a quello della primavera 2020.

E anche laddove i nostri tre riescano nell’impresa, che peso avranno questi mesi di stop? Avranno inciso più sul 38enne fermo a recuperare o sui 33enni che erano già in forma? Non ci sono risposte. O meglio, non essendocene, lasciamo che le diano soltanto gli appassionati della ricerca del Graal, prossima per difficoltà a quella del Greatest of All Time. Forse finiremo per discutere di loro come si fece di Coppi e Merckx: il primo, nel suo periodo più fulgido, fermato per cinque anni dalla seconda guerra mondiale. Il secondo, senza guerre per lo mezzo, e molto più vincente. Allora diremo, come dicono in tanti, come diceva anche il compianto Gianni Mura, che Merckx è stato più forte, ma che Coppi è stato più grande. E buona pace per tutti.

Intanto, come una mano amputata ancora fa avvertire prurito e dolore, sentiamo nella nostra la vibrazione di uno slice o di una volée giocata piena, di uno sweet spot colpito come si deve. Negli occhi abbiamo le linee, nel naso le palline fresche di tubo, nella testa il nervosismo del match, nella lavatrice il rosso che non stingerà mai dai calzini. Sappiamo che si nasconde, ma sotto questo bombardamento biologico vorremmo trovarci nello stesso rifugio del nostro caro tennis.

E per chi invece ha nel tennis l’ultimo dei suoi problemi, per chi leggendo le righe iniziali di questo brano, ha pensato che con tutto quello che succede l’articolista è andato a pensare a un gioco di palla e racchetta, beh, speriamo che anche loro abbiano appena avuto la voglia di vedere come andava a finire. Perché chi scrive è cosciente del dolore, del lutto, e se è riuscito a diffondere quel magnifico pensiero (non i propri, modesti e pontificati) ora sa che ci sono delle persone che reciteranno quella poesia di Bukowski per i loro cari.

Speriamo che chi ha perso qualcuno, dopo avere anche a lungo creduto di non farcela, ce la faccia. E siamo certi che chi se ne è andato in questa guerra-non guerra, in questa vita-non vita, in questa anacronistica selezione della nostra specie, ci mancherà lo stesso.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement