I divieti per il tennis e la politica che non sa parlare di sport

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I divieti per il tennis e la politica che non sa parlare di sport

Il governo ha voluto lanciare un segnale opportuno: il 4 maggio non è un “liberi tutti”. Lo ha fatto però con approssimazione, penalizzando (tra le altre cose) uno degli sport individuali più sicuri. Si può rimediare?

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Queen's 2019 (foto Alberto Pezzali/Ubitennis)
 

Nel momento più difficile, proviamo a semplificare. Lo sport di base, praticato in sicurezza, è un alleato e non un avversario per la salute. E il tennis è tendenzialmente sicuro, anche durante una pandemia che non può oggi contemplare il rischio zero su nessun fronte. Al netto di qualche dubbio (ancora non chiarito) sulla possibilità che le palline possano veicolare il virus – con qualche precauzione in più, si supera anche quello -, si può parlare di uno sport individuale che dovrebbe essere tra i primi a beneficiare di un nuovo inizio, non solo per i professionisti. Il malumore tra i praticanti a tutti i livelli deriva proprio dalla disparità che l’ultimo decreto governativo ha stabilito tra i tennisti “di rilevanza nazionale”, categoria fluida, e tutti gli altri. Toccando così la base, i semplici appassionati ma anche quelli che nei circoli – al momento chiusi – ci lavorano e ne traggono sostentamento. Da qui la petizione di cui vi abbiamo raccontato, che punta anche a un allentamento delle restrizioni su base regionale lì dove la diffusione dei contagi sta rallentando. Soprattutto al Sud.

MODELLO ITALIA – In attesa di capire se e come questo sentimento verrà recepito, c’è un problema culturale (e di conoscenza) da cui la politica non è immune. Le restrizioni all’attività sportiva amatoriale che ci sono in Italia – è emerso nei giorni scorsi da un’inchiesta de La Gazzetta dello Sport – non sono state applicate nella stessa misura in nessun altro Paese. In un momento di emergenza in cui alcune decisioni andavano comprensibilmente prese con l’accetta, si è ritenuto che il runner italiano medio non fosse in grado di dissociare l’attività aerobica in spazi aperti (che non ha mai fatto male a nessuno) dagli assembramenti (quelli sì, da evitare, divieto da cerchiare in rosso). Da qui, via alla demonizzazione. Anche eccessiva, complice la popolarità di governatori e sindaci sceriffi. Dando uno sguardo ai video sulla riapertura al jogging del lungomare di Napoli, diffusi con commenti da caccia all’untore, non è sembrato di scorgere chissà quali violazioni del sacrosanto distanziamento sociale.

Il problema non è il numero di persone che decidono di andare correre, ma se lo fanno non rispettando le regole o in spazi non adatti a consentire che tutto si svolga secondo le prescrizioni. La distanza minima richiesta, da DPCM, sarà di almeno due metri per la maggior parte degli sport individuali consentiti all’aperto (il tennis, se parliamo di singolare, sarebbe ampiamente nei parametri). Non è previsto limite per la durata dell’allenamento e la distanza, né l’obbligo di mascherine e di autocertificazioni. Chiaramente, prima si torna a casa e meglio è. Il “chiudiamo di nuovo tutto” di De Luca in Campania e il “così moriamo tutti” del sindaco di Bari potevano tranquillamente essere sostituiti in un ribadire, con chiarezza, regole e sanzioni.

Il Circolo Nomentano di Roma

LO SNODO DEL 4 MAGGIO – Lo sport, al giorno d’oggi, nei Paesi che brillano negli indicatori di sviluppo, è materia di alta specializzazione. Quella che purtroppo manca alla nostra politica. Spesso le tensioni nascono da qui. Senza voler tirare per la giacca la ripresa a tutti i costi del calcio (dalla Francia arrivano segnali in senso contrario), è legittimo che la Lega Serie A trovi poco sensata l’impossibilità per i calciatori di svolgere attività aerobica solitaria in un centro sportivo dal 4 maggio, data che invece autorizza alla stessa pratica gli atleti delle discipline individuali. È ruolo della politica prendere decisioni che non siano strettamente scientifiche (altrimenti avremmo solo scienziati al potere), ma bisognerebbe anche evitare di perdere il contatto con la realtà. Si potevano tranquillamente autorizzare Lukaku e Cristiano Ronaldo a correre alla Pinetina e alla Continassa, nell’attesa di decidere con la massima cautela e senza forzature sulla ripresa del campionato. La mancanza di buon senso rischia di inasprire i toni e complicare la mediazione tra gli interessi.

APPROSSIMAZIONE – In un contorto processo decisionale che autorizzerebbe i calciatori di Serie A ad allenarsi individualmente nei parchi (alla pari di un ragioniere o di un pizzaiolo) ma non nei centri sportivi, decisamente più sicuri, non può meravigliare il mancato via libera alla ripresa del tennis amatoriale. Il macro segnale che si è voluto dare è che il 4 maggio non scatterà un “liberi tutti”. Il rischio sarebbe troppo grande. Pur di non correrlo, sono state prese decisioni approssimative. Che però possono essere riviste, perché la politica non è fatta per funzionare solo a colpi di decreto (strumento legislativo tipico dell’emergenza, che speriamo diventi sempre meno tale).

Tra i tanti lettori che ci hanno scritto nelle ultime ore, ci è piaciuto un passaggio della mail di Antonio Romanello. Pugliese, 73 anni goduti in piena salute, tesserato FIT, che ha voluto ricordarci come giocare a tennis un paio di volte a settimana lo abbia aiutato a non gravare sul sistema sanitario. La lettera merita citazione. “Si può e si deve differenziare in base ai contesti territoriali seguendo l’evoluzione dello stato pandemico se si vuole effettivamente il bene delle persone e il bene del nostro Paese sotto ogni punto di vista! E non mi si venga a dire che alla mia età dovrei stare a casa perché io alla mia età ancora lavoro e produco reddito, perché sono un libero professionista, sono uno psicoterapeuta, insegno e dirigo una scuola di psicoterapia insieme ad altri colleghi, ho tante idee e sono consapevole di poter dare tanto ancora agli altri a me stesso e al mio Paese, anche come nonno di tre meravigliosi nipotini”.  

MESSAGGI CHIARI – Nella speranza di rivedere i circoli sportivi aperti per tutti a fine maggio – l’ha lasciato intendere su Facebook (eh, funziona così) il ministro Spadafora – andrebbero spinti con forza due messaggi fondamentali. Sia nelle comunicazioni ufficiali, sia nei loro riflessi social, spesso molto dannosi.

  • L’obbligato distanziamento sociale, con uso di dispositivi di protezione, non è in antitesi con alcune riaperture. E va incentivato e sostenuto chi si rende disponibile a riconvertire in tal senso la propria attività, che sia un ristorante o un circolo tennis.
  • C’è un concetto scientificamente provato che più di un ministro (non parliamo solo di Sport, ma anche di Salute e Istruzione) dovrebbe esplicitare in ogni intervento, evitando il dilagare dell’ignoranza: l’attività fisica è presupposto della salute pubblica e nemica di ogni malattia, quando praticata in sicurezza. Parametro, quest’ultimo, fondamentale. Che il tennis sarebbe in grado di rispettare già dal 4 maggio.
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