I due piani di diseguaglianza del tennis: da Djokovic a Serena, passando per il n.500

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I due piani di diseguaglianza del tennis: da Djokovic a Serena, passando per il n.500

Si lamentano i tennisti più bassi in classifica e le donne, chiedendo la stessa cosa: una distribuzione più equa dei soldi. Hanno ragione? E la situazione si può risolvere? Vediamo qualche numero, tra ATP e WTA

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Novak Djokovic e Serena Williams - Rally for relief, Australian Open 2020 (via Twitter, @AustralianOpen)
 

Allo scopo di identificare quanto sia in salute uno sport, sono tanti gli indicatori che possono essere presi in esame. Questi indicatori ruotano attorno a due macro-categorie di analisi: la prima misura il massimo potere di fuoco di uno sport, prendendo in esame i tornei più ricchi e i giocatori meglio pagati, la seconda si riferisce alla sua capacità di far vivere dignitosamente i giocatori che compongono la base dell’attività professionistica. Per dirla con un adagio, si stima la forza di una catena misurando la resistenza del suo anello più debole.

Il piano d’analisi di questo articolo è il secondo, la teoria della catena. Ci addentreremo un po’ nelle due diseguaglianze che caratterizzano il mondo del tennis: la sproporzione di ricchezza tra piani alti e piani bassi della classifica e la differenza di guadagni tra uomini e donne.

LA PRIMA DISEGUAGLIANZA – Lo sbilanciamento top-down è un argomento di estrema attualità in questi giorni, per via della proposta di sostegno in favore dei tennisti che occupano le posizioni più basse di classifiche (e relativi disaccordi, quelli di Thiem e Hewitt principalmente). Il semplice fatto che questa proposta – partita da Djokovic – sia stata avallata dall’ATP significa che l’associazione dei giocatori riconosce l’esistenza del problema.

Il rimbalzo che raccogliamo è quello della pallina lanciata sul Financial Times dal corrispondente sportivo Murad Ahmed, autore di quest’articolo corredato da una serie di grafici che riportiamo di seguito. Le cifre si riferiscono al montepremi guadagnato dai giocatori compresi nella top 500 del money rank ATP e WTA della scorsa stagione, classifiche capeggiate rispettivamente dai numeri uno di fine anno Nadal (oltre 16 milioni) e Barty (11,3 milioni – più del doppio di quanto aveva guadagnato in carriera fino al 2018).

(grafico realizzato dal Financial Times – CLICCA PER INGRANDIRE)

Seguiamo le evidenze del grafico. Il 250esimo tennista ha incassato un lordo di 124.000 dollari (ricordiamo: sono tutti importi da tassare) mentre la 250esima tennista si è fermata a 80.000 dollari. I dati più rilevanti riguardano la percentuale di giocatori – il 45% – che ha guadagnato meno di 100.000 dollari e la percentuale di giocatrici che addirittura non hanno superato i 50.000 dollari, il 41% del campione preso in esame.

Circa un quarto dei tennisti non ha raggiunto i 40.000 $ di prize money e un quarto delle tenniste è rimasta sotto la soglia del salario annuale medio di Grecia e Cile, non esattamente due superpotenze economiche, che si attesta attorno ai 27.000 dollari. Da questo punto di vista la sproporzione è evidente, poiché appena una manciata tra i top 500 del money rank maschile (meno di dieci) ha guadagnato meno di 25.000 dollari.

DIFFERENZE TRA ATP e WTA – Questo scarto ci collega alla seconda diseguaglianza, quella tra (i montepremi di) tennis maschile e femminile. Anche questa è una questione piuttosto dibattuta, che cominciamo ad affrontare dicendo che dieci dei tredici grandi tornei del calendario maschile sono combined e sette tra questi (i quattro Slam, Indian Wells, Miami e Madrid) propongono una perfetta parità di montepremi.

Il modo corretto di procedere in quest’analisi è confrontare i tornei di categorie analoghe per assegnazione di punti: Masters 1000 con Premier Mandatory e Premier 5, ATP 500 con Premier semplici, ATP 250 con WTA International. Il primo scalino (mica tanto -ino) lo troviamo confrontando i tornei che compongono gli eventi combined di Roma, Cincinnati e Rogers Cup, nei quali il montepremi non è parificato perché il torneo maschile è un Masters 1000 mentre quello femminile è un Premier 5, e assegna 900 punti alla vincitrice invece che 1000. Nonostante uno scarto così piccolo in termini di punti, la differenza economica è molto più ampia: a Roma il montepremi maschile supera quello femminile del 68%, in Canada del 123% e a Cincinnati addirittura del 128%.

L’esistenza di questa categoria di tornei intermedi dimostra in qualche modo l’impossibile da parte del circuito femminile di sostenere nove tornei paragonabili ai Mille, poiché l’appartenenza a una determinata categoria implica che il montepremi non può scendere sotto un limite minimo. Tolti i Mandatory insomma, la cui parità di montepremi è in qualche modo ‘imposta’, tra 1000 e Premier 5 non c’è partita.

Così come non c’è partita tra ATP 500 e Premier e nemmeno tra ATP 250 e WTA International. Il 500 più ‘povero’ è quello di Rio di Janeiro e nel 2019 ha comunque offerto un montepremi quasi doppio (1,759,905 $) rispetto al Premier più ricco, quello di Mosca (966.900 $); il montepremi base di un ATP 250 (586.140 €, al cambio attuale circa 650mila dollari) doppia quello di tutti i WTA International (250.000 dollari) ad eccezione di Shenzhen, che come tutti i tornei asiatici merita un discorso a parte. Basti pensare che la città cinese nel 2019 ha ospitato prima l’evento minore di gennaio, elargendo un montepremi di oltre 600mila dollari, e poi a fine ottobre ha organizzato la prima edizione delle Finals mettendo a disposizione delle giocatrici la cifra record di 14 milioni – del tutto sproporzionata rispetto al modesto ritorno economico generato dalla competizione.

Un ulteriore spunto di analisi lo offre uno studio pubblicato da tre ricercatori della University of the South (Tennessee), istituto di formazione accademica che fa capo a 28 diocesi della Chiesa Episcopale negli Stati Uniti del Sud. Il dataset è composto da alcuni tornei del triennio 2017-2019 e cerca di identificare quali sono i fattori che incidono maggiormente sul gap di montepremi tra circuito maschile e femminile, prendendo in esame il paese di disputa del torneo, la superficie e la distanza in giorni dal successivo torneo dello Slam. I dati su cui si basa lo studio non sono ben circostanziati, ma di sicuro non sono stati presi in esame tutti i tornei, poiché il montepremi maschile minore nel dataset (745.940 dollari) non equivale a quello del torneo meno ricco su piazza, come abbiamo già visto.

Ad ogni modo, la conclusione recita che al diminuire della distanza temporale dello Slam successivo aumenta la discrepanza percentuale di montepremi tra ATP e WTA e anche la superficie è un fattore (la differenza è molto più marcata sul cemento). In un certo senso, questo modello di regressione conferma quanto emerso dalla nostra analisi: i tornei più vicini agli Slam sono quelli di categoria inferiore, spesso tornei non combined nei quali emerge la difficoltà della WTA di tenere alti il montepremi quando gli introiti in termini di sponsorship e diritti TV sono sistematicamente inferiori ai corrispettivi maschili.

Immagini del defunto torneo WTA di Lugano

CONCLUSIONI – Se queste due diseguaglianze nel tennis esistono, e lo abbiamo confermato, resta ora da capire se sono risolvibili. Ed eventualmente a che prezzo.

Per quel che attiene allo sbilanciamento dei guadagni tra piani alti e piani bassi della classifica è stato lo stesso Andrea Gaudenzi a dire che si può fare di più e si può fare meglio, poiché i montepremi sono rimodulabili ed è possibile decurtare i premi maggiori in favore di quelli minori, in ottica redistributiva.

Forse lo stesso non si può dire dello sbilanciamento tra ATP e WTA. Come abbiamo visto, la parità di montepremi in alcuni tornei è stata imposta da pressioni socio-culturali – quasi eterodiretta – più che dettata spontaneamente da circostanze favorevoli di mercato. Per farla breve, nessuno ha stimato che la rassegna femminile potesse contribuire al fatturato del torneo esattamente per il 50% – e non è ragionevole crederlo per nessun torneo. Oggi non è più possibile discernere con precisione quale sia il contributo economico del torneo femminile all’interno di un combined ‘simmetrico’, ma ci si può ancora fare un’idea del diverso potere di fuoco guardando ai tornei gestiti unicamente dalla WTA. Il bacino d’utenza è inferiore e lo sono di conseguenza le possibilità economiche (specie in termini di diritti TV: Rogers Cup docet) e il margine di allargare i montepremi.

Qualcuno può obiettare che si tratta di un difetto culturale, che educando lo spettatore a guardare tennis maschile e femminile in egual misura si contribuirebbe a colmare il gap d’interesse e di conseguenza quello economico. Ma fino a che punto si può (o si deve) intervenire forzatamente sui gusti del consumatore, quando si parla di intrattenimento? A differenza del gap salariale in contesti in cui uomo e donna svolgono la stessa mansione, ingiustificato al punto che si può e si deve intervenire con strumenti legislativi per sanarlo, nel tennis le cose stanno diversamente.

Che uomo e donna raggiungano livelli di eccellenza atletica non comparabili è facile dedurlo dal fatto che, nel momento in cui il tennis ha smesso di essere uno sport borghese da giardino per diventare una vera disciplina agonistica, sono state create competizioni separate. Non con intenti divisivi, ma – come per ogni sport – per garantire alle donne stesse la possibilità di affermazione fisico-tecnica, e dunque economica. Se da questo è scaturita una differente esposizione mediatica, in parte è ascrivibile a un modo di intendere la società in senso patriarcale – ma la correzione culturale è in atto da anni – e in parte al fatto che il gesto maschile è percepito in senso assoluto come un gesto più difficile, quindi più spettacolare.

Una soluzione salomonica sembra essere dunque l’unione tra ATP e WTA, che nei fatti porterebbe sul lungo periodo a considerare il tennis come unica entità, senza la distinzione attuale tra tennis maschile e femminile. La completa parità di montepremi sarebbe – in questo caso sì – una naturale conseguenza, poiché ogni voce di bilancio (ticketing, sponsor, diritti TV) diventerebbe unica per i due circuiti e le decisioni verrebbero prese tutte allo stesso tavolo. Sarebbe una correzione cosciente, e forse persino un modo per rendere il tennis più competitivo al cospetto di leghe sportive che hanno ancora un potere di attrazione molto superiore a quello del tennis. Se unione sarà, verrà fatta sicuramente con un obiettivo: fare in modo che il risultato finale sia più che una semplice somma di due addendi.

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