In questo articolo vi proponiamo la traduzione completa dell’intervista di Sebastián Torok a Gabriela Sabatini comparsa sulle pagine de ‘La Nación’
Non porta più i codini come quando cominciò a palleggiare a Núñez, impugnando come poteva una racchetta Condor fatta d’acciaio, troppo pesante per una bimba che non aveva ancora compiuto sette anni. Non ha nemmeno l’innocenza che sfoggiava nel giugno del 1984, quando fece innamorare tutto il Bois de Boulogne, conquistò il Roland Garros junior e si mordeva le labbra, timida, durante la premiazione.
Però conserva la stessa essenza, la stessa freschezza e lo stesso calore. Questo sabato Gabriela Sabatini compirà 50 anni. Niente le fa perdere la simpatia. È stata una grande sportiva in un’epoca d’oro. Contemporanea di vere leggende, in carne e ossa, che sembravano uscite da un film di fantascienza. Sensibile e senza malizia, brillò in un circuito caricato di aspettative, che nascondeva anche parti di egoismo e arroganza. Sul campo da tennis, mentre riusciva a “giocare”, nel senso più romantico della parola, Gaby si trasformava e lasciava scorrere la sua poesia.
Gelosa della sua intimità e della riservatezza della sua famiglia, Sabatini si è mantenuta sempre lontana dai conflitti. È stata una grande attrazione pubblicitaria […]: seduceva per la sua bellezza, ma anche per il suo modo di essere, per la sua naturalezza.
Lo ha scritto anche Monica Seles nella propria biografia, From Fear to Victory (Dalla paura alla vittoria), facendo menzione all’atteggiamento della tennista argentina dopo che il tedesco Günter Parche l’aveva accoltellata ad Amburgo. Le migliori tenniste della WTA decisero di non congelare la classifica della jugoslava, poi naturalizzata statunitense, che era numero 1. Le rivale le voltarono le spalle con il voto, tranne una che si astenne.
“Gaby fu l’unica giocatrice che mi sostenne dopo l’accoltellamento. Ha pensato come una persona, non con la testa alla classificia, non ha pensato agli sponsor o agli affari. È una persona diversa dal resto delle giocatrici che erano nel tour”, ha spiegato Seles. Bisogna andare a cercare anche lì per capire perché Gabriela è tanto amata.
Vincitrice di 37 titoli e numero 3 del mondo nel 1989. Però insofferente alla fama e all’esposizione mediatica. Nel 2013, in una chiacchierata con La Nación, confessò: “Quando ero piccola e pensavo che vincendo un torneo dovevo parlare, molte volte perdevo in semifinale per non farlo“. Da quando si è ritirata, nel 1996, a soli 26 anni, non ha smesso di collaborare, in silenzio, senza vantarsi. Lo ha fatto con molte tenniste giovani; la fa come ambasciatrice di una fondazione che lotta contro il cancro al seno. Lo fa perché ci crede. E si lascia coinvolgere. Vive così da quando si è liberata del tennis professionistico prima che potesse cominciare a odiarlo.
Oggi concilia i suoi doveri da donna d’affari con una vita sana: pratica sport ogni giorno (adora la bicicletta) e mangia con attenzione (molta frutta e verdura). Si permette qualche sgarro, ovviamente: gelato, pasta, cioccolata calda o cappuccino, a seconda della stagione. A Zurigo, una delle tre città in cui vive durante l’anno (insieme a Buenos Aires e Miami) ha seguito corsi per imparare qualcosa di più sull’origine e la preparazione del caffè. Giura che potrebbe rimanere per ore seduta in un caffè.
Attualmente è a Miami, anche se si sarebbe dovuta trovare in Svizzera per preparare i festeggiamenti per il suo compleanno. Lo stava progettando con amici e familiari, ma il coronavirus l’ha sorpresa in Florida.
“Sono qui, cercando di far passare queste giornate così strane che stiamo vivendo, difficili da gestire, perché – racconta alla Nación – ti passano tante cose per la testa. Non mi posso lamentare di niente, mi trovo in un luogo molto comodo, Miami, dove si può uscire, si può fare sport all’aperto, che è una cosa buona. Sono qui, aspettando di poter rientrare in Svizzera prima o poi. L’umore? Bisogna far rallentare un po’ il cervello, perché l’essere umano è abituato a programmare, a pensare nel futuro, a fare piani. Nel mio caso è lo stesso: mi muovo in continuazione, per cui la mente comincia a pensare a tutte queste cose e tutto diventa difficile, soprattutto di sera a volte fatico un po’ a dormire, come penso che succeda a tutti. Penso alla gente che sta attraversando davvero un brutto periodo per la situazione economica… sono pensieri che fanno capolino e come fai a fermarli e non pensare? È molto difficile”.
Il tennis ti ha dato tanto, ti ha insegnato tanto, ma forse ti ha procurato anche qualche dispiacere. Ogni tanto pensi che avresti preferito un’altra vita? Evitare le luci della ribalta, avere più libertà?
No, il tennis mi ha dato molto di più di quello che mi può aver tolto. Sono una persona fortunata. Ho potuto viaggiare, conoscere il mondo, avere amici ovunque. Tutto questo forse non lo avrei avuto. Questa esperienza mi ha fatto crescere e mi ha aiutato a maturare. Ero una persona timida e introversa: negli anni della scuola media ero molto chiusa e condizionata dalla timidezza. Il tennis, dovermi esprimere mi ha aiutata moltissimo nella mia personalità. Ovviamente ho sempre preferito difendere la mia sfera privata, perché sono fatta così e così mi sento più a mio agio; ma il tennis è meraviglioso: il contatto con la gente mi fa stare bene. E adesso me lo godo ancora di più.
Nel documentario The Last Dance, Michael Jordan dice: “Molti vogliono essere Jordan un per un giorno o per una settimana, ma forse dovrebbero esserlo per un anno. Poi vediamo se lo desiderano ancora”. Ti ritrovi in questa frase, per quanto riguarda la fama e la pressione che hai subito?
Non l’ho visto ancora, ma lo vedrò, perché è stato una delle leggende più grandi dello sport. Non credo al suo livello, ovviamente, ma anch’io ho sentito quella pressione, quelle aspettative con cui ho dovuto fare i conti. Forse è la parte più difficile, perché una ragazza non è abituata ad avere una vita così sotto i riflettori. Sì, credo che sia stato l’aspetto più duro: gestire questa situazione, separare le cose, perché qui e là sentivo giudizi che non mi facevano stare bene, che mi facevano soffrire, per cui ho dovuto separare i piani e concentrarmi quasi esclusivamente nel gioco, nel tennis, nei miei obbiettivi. E questo mi ha aiutato. Però non so se sarebbe così bello stare nei passi di Jordan per qualche giorno… Bisogna saperlo gestire, dev’essere una fatica incredibile a quei livelli.
Una volta hai detto che “la fama e la sovraesposizione hanno avuto qualcosa a che fare” con il fatto di non raggiungere il n.1. A volte le aspettative erano soffocanti?
Sì, soprattutto all’inizio, perché parliamo di quando avevo 16, 17 anni e cominciava la storia della fama, dei giornali che parlavano di me e a volte fa male quando si scrivono cose che non si conoscono davvero. È lì che bisogna separare i piani e imparare come funziona, non uscire dal proprio terreno, seguire gli obbiettivi e la professione. Questo mi ha permesso sempre di restare concentrata. Devi trovare un equilibrio: isolare la tua parte più privata, senza smettere di essere te stessa, e senza che questo incida su tutto il resto.
A pagina due, il suo rapporto con l’Italia… e i consigli alla Gabriela tennista