La magia di Roehampton, lì dove Wimbledon sarebbe cominciato

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La magia di Roehampton, lì dove Wimbledon sarebbe cominciato

Esattamente un anno fa iniziava l’edizione 2019 dei Championships, con i tornei di qualificazione che hanno sede a Roehampton. Quest’anno non ci sarà alcuno Slam, nessuna finale rocambolesca. Solo nostalgia e ricordi

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Precisamente un anno fa, era il 24 giugno 2019, cominciava ufficialmente la 133° edizione di Wimbledon con i tornei di qualificazione. La lunga cavalcata che si sarebbe conclusa solo venti giorni dopo con la rocambolesca vittoria di Novak Djokovic iniziava sui meno conosciuti (ma non per questo meno nobili) campi di Roehampton, la storica sede del torneino che promuove trentadue giocatori – sedici uomini e sedici donne – nel tabellone principale dei Championships.

Quest’anno non ci sarà alcun torneo, né piccolo né grande. Lo sapete, lo sappiamo, non è il caso di infierire ancora raccontando perché l’All England Club sia stato costretto a cancellare l’edizione 2020. In punta di piedi, con devoto spirito di rievocazione, cominciamo una serie di articoli per ripercorrere i momenti migliori di Wimbledon. Cominciamo con il passaggio tratto da un libro di Massimo D’Adamo (‘Vagabondo per Mestiere’, lo trovate su Amazon), che racconta la magia di Roehampton, laddove ogni anno tutto comincia.


Anche in tempi di virus, Roehampton è un mix architettonico a sud di Londra, nella parte più ovest del distretto di Wandsworth. Spazia da caseggiati popolari a immobili chic del ‘700 e può ostentare residenti di lignaggio tra i quali spiccano un paio di primi ministri, diversi lord e personaggi dello spettacolo. Offre strutture sportive incantevoli, dal golf al cricket, dal polo al croquet. Il tennis dice la sua con i ventidue campi del Centro Nazionale Britannico e i ventotto della Banca d’Inghilterra. Un club quest’ultimo che, menando un po’ di spocchia, è ambito al punto da meritare la sede della federazione inglese e di quella internazionale. 

A dispetto di tanto tennis, tuttavia, pare che nel suo ambito il cricket goda tacitamente di maggior riguardo. Lo sport della ‘tavoletta’, come ingenerosamente viene etichettato da ignoranti come il sottoscritto, si svolge per via di compassati signorotti di bianco vestiti che settimanalmente si sfidano in squadre da undici. Pochi ci capiscono ma il mondo anglosassone ne va pazzo. Lo sport della racchetta, invece, è visto come quello con una rete nel mezzo e una palla a zonzo tra le righe di un campo, malmenata a turno da soggetti armati di un attrezzo ovale con manico annesso.

Ma c’è un momento dell’anno in cui il tennis consuma la sua vendetta. Accade verso la metà di ogni santo giugno, quando la qualificazione al prediletto dei Major finisce col guadagnare l’interesse del pianeta. L’ingresso è libero e i portatori sani di quella che Freud definisce “libido primaria del tennis” possono stravaccarsi a bordo campo e godere di uno spettacolo che a Wimbledon costerebbe un occhio della testa. Una settimana in cui la scenografia si anima di arredi tradizionali sui quali troneggiano trespoli per impeccabili giudici di sedia, tendalini frangivento scevri da sponsor e reti centrali tenute su da eleganti paletti in legno. Dopodiché arriva anche la materia prima: centoventotto assatanati, lanciati in una guerra uno contro tutti, obiettivo il main draw

E se il sole ci mette lo zampino, la distesa erbosa diviene un florilegio di figure rigorosamente bianche che, ostentando movenze da pantera rosa, prendono a tallonare palline giallo limone evocando l’eterna sfida guardie e ladri. Una ricca galleria di traiettorie si intreccia a perdita d’occhio, in un tourbillon di contrasti tattici assortiti per lo più tra attacco e difesa, battuta e risposta. Qua e là svetta qualche lob ruffiano, che, arrancando a fatica verso il suo apogeo, ripiomba giù come un proiettile per compiere il suo destino tra le fauci di uno smash che spesso mette fine alla sua abbondante parabola. In un clima ovattato la spunta soltanto la mitraglia di dieci, cento, mille impatti, mentre sui morbidi tappeti, pur lanciati a tavoletta, i piedi sembrano avere la sordina. 

Se invece piove, sono guai! Dentro, fuori, dentro fuori… e ancora dentro per riuscire ancora. Uno snervante struscio tra campi e spogliatoi che a intermittenza può prolungarsi fino a sfinimento. Un tormento che vale la candela poiché i primi sedici traslocheranno armi e bagagli in Church Road, dove giocatori poco raccomandabili attendono tra le griglie del main draw. Quanto agli altri: tutti a casa!

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