L’attesa è sostanzialmente finita. Il terribile countdown lungo dodici mesi che precede l’inizio del torneo di Wimbledon sta per lasciare finalmente spazio al godimento supremo di ogni appassionato di tennis, l’epitome della stagione della pallina di feltro è ormai prossimo, il dies irae imposto dal Dio della racchetta si avvicina inesorabile. Ogni anno. Quasi ogni anno. Non questo, non il disgraziatissimo 2020 che vorremmo poter definire “in via di conclusione” e invece mancano ancora sei mesi e chissà se tutto andrà bene quando finalmente gli attrezzi del mestiere torneranno a essere impugnati dai professionisti del settore.
Normalmente, oggi sarebbe il gran giorno di gala: qualche incontro d’aperitivo sui campi secondari, il Martini con l’oliva in attesa del main course, l’ingresso del defender, del campione in carica pronto a inaugurare il Centre Court davanti all’inevitabile rappresentante della Casa Reale e al notabilato più chic dell’isola. Ma il duemilaventi ha avuto altri programmi, e i primi a prenderne atto sono stati i rappresentanti del Gran Consiglio di Via della Chiesa, primi e unici gestori a ritenere impossibile la riprogrammazione del loro gioiello in altra parte della stagione, perché l’erba segue il ciclo della natura e le ore di luce sono quelle che sono e sono sufficienti solo nella prima metà dell’estate. Confortati, in buona parte, dall’assicurazione che consentirà al torneo di attutire le perdite.
Fosse stato un anno qualunque oggi all’ora di pranzo avremmo visto esordire Novak Djokovic, campione uscente ma entrante da numero uno al mondo con l’unico Slam disputato in stagione già in bacheca, per la quinta volta vincitore nel 2019 anche se i meriti per l’ennesimo trionfo sono da condividere con il finalista incomprensibilmente sconfitto Roger Federer, ché se uno non ha visto il risultato finale ma solo le statistiche di quella partita, ne desume un sei-tre, sei-quattro, sei-tre Svizzera. Invece nessuna rete è stata montata sui prati, i sette canali dedicati a Wimbledon dalle TV specializzate rimarranno spenti e Djokovic è in quarantena dopo il pasticciaccio brutto dell’Adria Tour, su con la vita.
Un altro anno senza Wimbledon sarà duro da passare, e infatti i protagonisti tutti, giocatori, arbitri, giornalisti e addetti assortiti hanno la faccia triste, e le loro lacrime facili sono state raccolte dal The Times. Petra Kvitova, ex Petrona, rimpiange i giorni felici dei trionfi 2011 e 2014, ogni anno rinverditi la mattina del primo giorno di gare, tendenzialmente al risveglio, che reca con sé l’inespugnabile tensione tipica degli esami, meglio se di maturità. “Un posto speciale, dall’ingresso del Campo Centrale alla casa che ogni anno affittiamo per vivere qui, possibilmente due settimane,” trasogna la ceca, in accordo pressoché totale con Annabel Croft, ex professionista di Sua Maestà attiva negli anni ottanta e ora nota commentatrice del tennis in tivvù: “La tensione elettrica, l’eccitazione della prima mattina del torneo non hanno eguali nello sport, di solito perdo il controllo e non capisco più nulla. Poi mi riprendo, e mi chiedo chi avrà il trofeo in mano alla fine. Mi mancheranno l’odore dell’erba, i saliscendi dei match, i finali delle partite al crepuscolo“.
A Jamie Delgado, ventitré partecipazioni consecutive a Wimbledon fino al 2014, record assoluto, è come se mancasse l’aria. “La pressione, i prati, certo, quel Club è casa mia. Mi mancherà tutto, ma il dispiacere più grande è per Andy Murray. Ha lavorato come un pazzo per recuperare in tempo e tornare dopo tre lunghissimi anni di assenza sul Centrale che l’ha consegnato alla storia. Ha dovuto battere un problema all’anca che gli aveva praticamente troncato la carriera e ora questa delusione terribile. Ma ci rivedremo l’anno prossimo ancora più convinti di aver preso le decisioni giuste nei momenti più difficili“.
Se a Marijana Veljovic, arbitro serbo sul seggiolone per l’ultima finale del singolare femminile, mancherà “l’odore dell’erba intonsa il primo giorno fresco e soleggiato, nel pre-match dopo il coordinamento tra ufficiali di gara“, l’ex CEO di Wimbledon Richard Lewis già accusa una forte nostalgia “del pubblico pronto a passare magnifici momenti nei nostri impianti,” principale antidoto all’ovvia tensione della vigilia. “Il primo lunedì del torneo è il giorno preciso in cui le centinaia di ore dedicate all’organizzazione dell’evento da centinaia di addetti a tutti i livelli si condensano e concretizzano nel torneo reale. Una scarica di adrenalina pazzesca“.
Mancherà Wimbledon. Ai giocatori, in primis, ma anche a chi organizza, dirige e in fondo anche a noi che lo raccontiamo. Ai nostri storici inviati e ai colleghi di tutto il mondo, qui rappresentati da quelli del Times, com’era ovvio che fosse. Stuart Fraser, che del Times è notissimo corrispondente tennistico, ha già iniziato il conto alla rovescia: meno trecentosessantaquattro ai Championships 2021. “Le tre settimane che intercorrono tra il Roland Garros e Wimbledon per noi giornalisti sono tremende. Siamo sballottati qui e lì tra i vari tornei di preparazione e in più dobbiamo preparare le preview e i contenuti speciali per lo Slam. Quando Wimbledon inizia è la quiete prima della tempesta. La profonda calma professionale di chi dopo tanto girovagare sa che finalmente, almeno per un paio di settimane, avrà il suo posto fisso in tribuna e in sala stampa“.
Una scrivania nella redazione sportiva del Times la occupa anche Alyson Rudd, che ricorda in modo particolarmente nostalgico l’edizione 2013, quella vinta da Andy Murray. “Dovevo intervistare Martina Navratilova e parlare con lei dell’impresa, la fine del digiuno di vittorie britanniche che durava da settantasette anni, ma non la trovavo, correvo come una matta per l’All England Club chiedendo a tutti se avessero visto Martina. Alla fine l’ho scovata nel parcheggio che cercava di aggiustare una bicicletta. Mi ha abbracciata congratulandosi, perché quel giorno essere britannici era un privilegio di non poco conto“.
Il suo collega James Gheerbrant ha varcato i sacri cancelli la prima settimana del suo impiego al giornale. “Trafelato, emozionato e in ritardo di mezz’ora per l’intervista a Dominic Thiem, che si era annoiato nell’attesa a tal punto da optare per una seduta imprevista dal barbiere. Ho visto CoCo Gauff esplodere, Nick Kyrgios crollare e il padre di Marcus Willis piangere. Mi sono innamorato di questo sport vedendo Ivanisevic battere Pat Rafter nella finale del 2001“. Tutti uniti nella tristezza. Alle fragole con panna su sfondo verde manca ancora un anno intero.