Kevin Anderson rivela: "La fusione ATP-WTA non è mai stata sul tavolo"

Interviste

Kevin Anderson rivela: “La fusione ATP-WTA non è mai stata sul tavolo”

Il sudafricano, membro del Player Council, parla dei rapporti con la PTPA e dei montepremi ridotti. “Alcuni organizzatori gestiscono tornei in perdita”

Pubblicato

il

Kevin Anderson - Bercy 2020 (via Twitter, @RolexPMasters)
 

Dal 2012, Kevin Anderson è membro del Player Council dell’ATP, di cui è stato presidente ad interim dallo scorso ottobre dopo le dimissioni di Novak Djokovic. Tra l’idea di candidarsi per la carica e i preparativi per la trasferta in l’Australia, Kevin ha fatto una chiacchierata con Tennis Majors toccando gli argomenti che sono emersi negli ultimi mesi, dai montepremi all’eventualità del vaccino obbligatorio per disputare i tornei, ai rapporti con la PTPA e molto altro.

Dal momento che il virus protagonista dei notiziari da quasi un anno ci ha inevitabilmente accompagnati nel passaggio al 2021, la questione più importante da affrontare in questa stagione rimane l’incertezza del calendario, del quale, al momento, si conoscono i primi tre mesi. “La sfida principale è mettere in calendario più tennis possibile” dice Anderson. “Alcuni tornei sono stati cancellati, tra cui Indian Wells. Stanno cercando di farlo disputare più avanti, ma non si sa neanche se sarà possibile. Inoltre, ci sono i progetti della nuova direzione riguardo a cambiamenti da apportare allo sport su cui immagino stiano lavorando”. Si riferisce ai piani già illustrati da Gaudenzi sulla raccolta dei diritti televisivi, l’aumento dei montepremi e altre idee la cui realizzazione è stata finora compromessa dalla pandemia.

Anderson è anche e soprattutto un tennista, attualmente al n. 82 del ranking dopo alcuni infortuni e i due interventi chirurgici a cui si è dovuto sottoporre tra il 2019 e il 2020, e come i suoi colleghi deve fare i conti con eventuali sensi di insicurezza legati ai viaggi e con lo stress di protocolli e quarantene che, secondo lui, non condizionano tutti alla stesso modo. “Dal mio punto di vista, il problema più grande è la difficoltà nel viaggiare con la famiglia” spiega Kevin, marito di Kelsey e padre di Keira. “Certamente, c’è una notevole differenza nel giocare senza spettatori. In Australia ce ne saranno parecchi e credo che tutti ne siano felici. La cosa più stressante è che molto è al di fuori del tuo controllo. Se risulti positivo, vieni messo in quarantena, non puoi giocare e, non importa quanto tu sia prudente, c’è sempre un margine di incertezza. Questa è la parte più dura da affrontare, anche perché non siamo costantemente in una bolla quando viaggiamo. I tornei fanno un gran lavoro con i protocolli di sicurezza, ma non è mai una bolla completamente isolata, ovviamente molto difficile da mettere in pratica.

Un aspetto saliente riguarda i montepremi, necessariamente ridotti a causa dell’assenza del pubblico non solo in termini di biglietti non venduti ma anche dalle conseguenti assenze degli sponsor in loco, come rileva lo stesso Anderson sollevando la responsabilità dagli organizzatori dei tornei. “Da quello che sento, alcuni di loro gestiscono eventi in perdita. Un buon sistema per la trattativa, nel momento in cui i giocatori hanno capito il problema e accettato la riduzione, è basato sulla percentuale di spettatori presenti: è una scala indicizzata. Ne abbiamo discusso molto all’interno del Consiglio. Di sicuro non è la situazione ideale per tutti, ma è praticamente necessaria perché questi tornei si disputino”.

La riduzione del montepremi complessivo è stata però accompagnata da un piano redistributivo che ha tagliato gli assegni destinati a chi arriva in fondo in modo da non penalizzare chi solitamente non frequenta le zone più alte della classifica. Non che proprio tutti si siano dimostrati entusiasti di questa idea di socialismo tascabile che è stata infatti, diciamo, mitigata. “Sì, il piano era questo, con il prize money del primo turno rimasto sostanzialmente lo stesso grazie ai soldi tolti ai turni finali. Abbiamo apportato piccole correzioni perché sentivamo, e lo sentivano molti giocatori, che era troppo drastico e credevano che avremmo dovuto compensare un po’ di più chi fa bene nei tornei. Penso quindi che la nuova ripartizione, considerato quanto piccolo è il montepremi, sia un risultato abbastanza buono”.

Poiché il SARS-CoV-2 continua ad aggirarsi sul pianeta nonostante le previsioni degli esperti di vampiri (“scomparirà con il sole estivo”) o di chi lo confondeva con uno yogurt con scadenza 31 dicembre, la soluzione più probabile sembra proprio il vaccino. Soluzione che tutti auspicavano arrivasse il prima possibile durante le durissime restrizioni della scorsa primavera, ma che ora apre la porta a discussioni, la prima delle quali – per quello che qui ci interessa – riguarda l’eventuale obbligatorietà per poter partecipare ai tornei. Anderson dice che l’argomento vaccini è stato solo brevemente trattato durante l’ultima riunione, ma è ancora la fase iniziale, ci sono prima le categorie a rischio e, alla fine, quando sarà disponibile per tutti, “probabilmente ne discuteremo di più. Inizialmente, l’idea era che chi era vaccinato non dovesse essere sottoposto ai test dell’ATP. Ma poi si è detto che anche una persona vaccinata potrebbe trasmettere il virus. Dobbiamo quindi avere più informazioni prima di iniziare a decidere cosa sia imposto nel Tour”.

Meno tornei, meno opportunità di lavoro e quindi di guadagno per i tennisti nella passata stagione hanno senza dubbio avuto un forte impatto per chi è lontano dalle zone più nobili del ranking. Un impatto economico, certo, ma non si possono trascurare neanche le conseguenze a livello di salute mentale e assistenza ai giocatori, aspetto non trascurato totalmente, ma le cui soluzioni non sono state all’altezza, stando a quanto riporta con onestà Kevin. “Penso che abbiamo deluso le aspettative. Abbiamo introdotto un paio di cose: i giocatori possono rivolgersi ai medici e abbiamo accesso a Headspace [azienda online specializzata nella meditazione] e a Sporting Chance [clinica il cui motto è ‘fisio per mente, corpo e anima’]. Ma credo che all’ATP siamo gravemente indietro in tema di benessere psicologico. È qualcosa di davvero importante e credo che dovremmo assolutamente aumentare i fondi e offrire quel tipo di sostegno ai giocatori”.

Uno dei temi dello scorso anno è stata la fusione fra ATP e WTA, idea lanciata da Roger Federer e poi approvata, ripresa ma anche criticata da colleghi, addetti ai lavori e appassionati. Ricordiamo che era aprile, i Tour erano fermi, si cominciava a sospettare che la ripresa sarebbe stata parecchio lontana, c’era il lockdown e un sacco di altre scuse che possono giustificare quel tweet estemporaneo. Per lo stesso Anderson è stata “la pandemia a distrarre le persone” perché non c’è stata discussione sull’argomento, non è mai stato davvero sul tavolo. Ovviamente lo sport è più forte quando tutti lavorano insieme, ma non sono in grado di giudicare come sembrerebbe da un punto di vista logistico e degli affari. So che parte della direzione dell’ATP pianifica di lavorare insieme a queste realtà e, dal proprio punto di vista, la WTA è un partner molto importante”.

A proposito del lavorare insieme, non può essere elusa la questione o, almeno, la domanda relativa alla PTPA, l’associazione dei giocatori fondata da Novak Djokovic e Vasek Pospisil, ora piuttosto appannata dopo con il clamore e l’entusiasmo iniziali. Il 203 cm di Johannesburg ha le idee piuttosto precise: Non vedo come possiamo lavorare insieme, soltanto per come le due strutture sono organizzate. Non sono stato informato di confronti sull’argomento, non so quale sia la visione della PTPA e come intendano procedere. Per quello che posso dire, i giocatori sono rappresentati dal Council, dai membri del Tour; e, sì, la nostra struttura è per il 50% dei tornei e per il 50% dei tennisti, ma anche un’organizzazione interamente dei giocatori dovrebbe negoziare con i tornei. Così, personalmente non credo che ciò sarebbe molto più vantaggioso”.

Kevin non può non ammettere che il sistema sia imperfetto e che gli stessi vertici parlino di rivedere la governance, con limiti per i mandati e attenzione ai conflitti di interessi, però crede ancora che “debba essere fatto all’interno della struttura del Tour. Forse trent’anni fa le cose si sarebbero potute fare diversamente, ma allo stato attuale parliamo di un’azienda multinazionale in termini di impiegati, appaltatori… non è il tipo di piccola azienda che puoi cambiare con facilità.

Di nuovo riprendendo un tema della risposta precedente (stile seduta psichiatrica), gli viene domandato da dove partire con il conflitto di interessi, argomento portato alla ribalta dopo che Djokovic e Pospisil non hanno potuto ricandidarsi al Council (ma lì, più che conflitto di interessi, sarebbe stato come invitare in casa uno che vuole distruggerla) e rilanciato da Reilly Opelka che, senza farne il nome, contestava la presenza nel Board dell’ATP di Herwig Straka, anche direttore di un torneo (il 500 di Vienna) e manager di Thiem. Non è chiaro chi, secondo Opelka, dovrebbe rappresentare i tornei se non un direttore di torneo e resta il fatto che, se i colleghi di Straka credono che il suo lavoro di far ottenere a Dominic sponsorizzazioni milionarie contrasti con le loro istanze, possono non eleggerlo, ma Kevin si dimostra alquanto arrendevole di fronte al problema, pare, di impossibile soluzione: Non penso che si troverà mai una situazione ideale e ci sarà sempre qualche conflitto di interessi. Almeno, avere una discussione e considerarlo è un buon punto da dove cominciare”.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement