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Naomi Osaka: la regina del cemento

Con la vittoria all’Australian Open di Naomi Osaka, è emerso un verdetto chiaro: gli Slam sul duro hanno trovato la giocatrice da battere

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Naomi Osaka - Australian Open 2021 (via Twitter, @AustralianOpen)
 

Superati anche i quarti di finale, per Naomi sono arrivati i match conclusivi. Il tabellone le aveva riservato due confronti contro giocatrici statunitensi, che l’hanno riportata ai due US Open vinti in carriera. Il primo la semifinale contro Serena Williams. Serena è l’idolo di ragazzina di Naomi, lo ha sempre detto esplicitamente anche prima che i loro match si profilassero all’orizzonte. I precedenti dicevano 2-1 per Osaka, ma il match di portata storica era naturalmente il primo, quello vinto da Naomi in finale allo US Open 2018, caratterizzato dal confronto tra Serena e il giudice di sedia Carlos Ramos, in uno stadio con pubblico ribollente.

Allora Serena era considerata favorita, ma aveva perso. Poco più di due anni dopo, i ruoli si sono invertiti, ma il risultato non è cambiato: 6-2, 6-4 a New York, 6-3, 6-4 a Melbourne. Entrambe sono scese in campo molto tese: Naomi anche di più, e ha pagato la situazione trovandosi subito sotto per 0-2, con palla dello 0-3 (e doppio break da rimontare). Ma si è salvata; ha progressivamente ritrovato sicurezza e questo le ha permesso di mettere in fila un parziale di 8 game a 1, che ha segnato il match. Aiutata anche da una Williams più fallosa del solito; forse per una semplice giornata-no, ma forse anche perché Serena è stata sopraffatta dalla consapevolezza che, a 39 anni compiuti, per vincere avrebbe dovuto giocare vicinissima ai suoi limiti. O forse oltre. Una situazione che a volte l’ha portata a strafare.

Perché se è vero che, sulla scia del power tennis delle sorelle Williams, sono comparse tante giocatrici forti muscolarmente, in poche sono state capaci di offrire contemporaneamente una discreta mobilità e soprattutto la capacità di trovare angoli stretti come quelli di Naomi; Osaka, infatti, sia di dritto che di rovescio riesce a chiudere il punto anche in replica a parabole centrali, apparentemente impossibili da trasformare in vincenti. Angoli stretti: sotto questo aspetto tecnico, Serena ha davvero trovato una erede.

La dimostrazione di superiorità a cavallo dei due set contro Serena non deve però fuorviarci. Non significa cioè che la Osaka vista a Melbourne sia stata una contendente senza debolezze, di freddezza assoluta. Al contrario, in diversi frangenti del torneo ha affrontato fasi di sbandamento; però la sua forza è stata quella di sapersi sempre riassestare, esprimendosi meglio della avversaria quando la situazione diventava determinante.

Per esempio contro Williams: dopo le tensioni in apertura di incontro, Osaka ha vissuto un altro momento di fragilità quando ha perso il break di vantaggio sul 4-3 secondo set. Ha giocato un game disastroso al servizio: tre doppi falli, che hanno riportato Serena sul 4-4. Tutto sembrava riaperto, ma di nuovo è emerso il killer instinct della nuova campionessa: con un parziale di 8 punti a zero ha ancora tolto il servizio a Serena e chiuso rapidamente il match.

E così Osaka è arrivata in finale. Dalla parte alta di tabellone era emersa Jennifer Brady. Detto per inciso: anche Brady faceva parte di quel gruppo di tenniste penalizzate dai nuovi criteri di ranking: numero 22 ufficialmente, ma numero 11 con i soli punti del 2020. Brady era l’avversaria già affrontata in semifinale allo US Open 2020. Allora ne era uscita un grande partita, caratterizzata da saldi vincenti/errori non forzati estremamente positivi (Osaka +18, Brady +10). Anche per questo il match era finito tra quelli memorabili del 2020.

Con alcune minime pecche, però. Quello che era mancato alla partita (per renderla ancora migliore) era “un autentico sentimento di incertezza su chi avrebbe finito per spuntarla. Personalmente, infatti, non ho mai davvero pensato che Osaka potesse perdere” (vedi QUI). Seconda, piccola macchia. La risposta di Naomi. Avevo scritto in un altro articolo: “Sarebbe interessante vedere alla prova Brady contro una giocatrice in grado di farla colpire con regolarità di rovescio in uscita dal servizio, cosa che a Osaka non è riuscita in questo confronto”.

Che qualcosa allora non fosse andato per il verso giusto in risposta, lo ha confermato la stessa Osaka nell’ultima conferenza stampa tenuta a Melbourne: ”Il primo obiettivo tecnico che mi sono data per questa finale è stato quello di rispondere bene. Wim (Fissette) mi aveva detto che contro Brady a New York non avevo risposto bene. E questo è stato un obiettivo di tutto il torneo qui in Australia. Oggi il mio servizio non è stato eccezionale, ma la risposta mi ha aiutato molto”.

Però l’aspetto che ha più caratterizzato la partita di Melbourne, mettendo in secondo piano quelli più strettamente tecnici, è stata la tensione. Due giocatrici che avrebbero potuto esprimersi molto meglio, come testimonia il saldo negativo per entrambe. Osaka -8 (16/24), Brady -16 (15/31). Parere personale: anche in questo caso Naomi non ha mai dato la sensazione di poter perdere, perché Jennifer è sembrata troppo spesso rischiare il fuori giri per rimanere nello scambio, e fronteggiare così la pesantezza di palla della avversaria. Il risultato sono stati tanti colpi “strappati” da parte di Brady, soprattutto quando ha affrontato gli snodi decisivi del match, come nel game sul 4-5 del primo set.

Ma anche Osaka non è stata un monolite inscalfibile sul piano mentale. Questa volta i passaggi a vuoto sono arrivati nel momento di consolidare i vantaggi costruiti. Nel primo set, dopo avere strappato una prima volta il servizio a Brady, non è riuscita a tenere la battuta. Nel secondo set, avanti di due break, sul 4-0 ha mancato l’occasione di consolidare definitivamente il doppio vantaggio: Naomi ha finito per perdere il servizio e per riaccendere un minimo di speranza nella mente di una avversaria che pareva ormai pronta per la cerimonia di fine torneo.

Però, come nei turni precedenti, al dunque Osaka è sempre riuscita a tornare a governare le proprie emozioni e di conseguenza anche l’andamento della partita, sino al 6-4, 6-3 conclusivo. In sostanza è stata in grado di conquistare il torneo senza nemmeno essere obbligata a giocare al 100%. Almeno, questa è la mia sensazione. E se così fosse, significherebbe che in questo momento, sul cemento, Naomi ha un certo margine di vantaggio sulla concorrenza.

a pagina 4: Statistiche e record di Osaka in Australia

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