Aslan Karatsev è venuto fuori dal nulla, ma è forte sul serio

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Aslan Karatsev è venuto fuori dal nulla, ma è forte sul serio

Fuori dalla top 250 lo scorso agosto, Aslan Karatsev è entrato in top 30 in pochi mesi. Nonostante il ranking congelato. Come? Con un tennis fatto per dominare

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Aslan Karatsev - ATP Dubai 2021 (courtesy of Dubai Duty Free Tennis Championships)
 

La locuzione latina Ex nihilo nihil fit (letteralmente ‘Nulla viene dal nulla‘), introdotta un paio di millenni fa dal filosofo Tito Lucrezio Caro, ha trovato nei secoli più sostenitori che oppositori. Fino all’avvento di un tennista russo praticamente sconosciuto.

Se parliamo infatti di cose buone che sono venute fuori dal nulla, per cercare di dimostrare che qualcosa può manifestarsi senza o con pochissime premesse, è difficile battere l’ascesa di Aslan Karatsev. Di solito la regina delle domande retoriche sugli outsider del circuito – ‘Ma da dove è uscito questo qui?‘ – trova sempre una risposta, quando ci si rivolge agli interlocutori giusti. Anche se a volte è necessario disturbare qualche allenatore di gioventù, il custode di un circolo, un collega che lo ha visto giocare da piccolo. Il caso del 27enne nato a Mosca sembra fare eccezione. Karatsev è davvero passato in un anno dal contesto più somigliante al nulla tennistico (ci sia consentita l’iperbole), quel frustrante ping pong tra circuito challenger e Futures dal quale a inizio 2020 sembrava essersi faticosamente affrancato, a un contesto in cui non sembra così sensazionalistica l’idea di considerarlo uno dei giocatori più temibili sul cemento. D’improvviso e senza segnali, a ventisette anni, che è la parte più strana della questione.

Questo non significa che Karatsev vincerà necessariamente altri tornei quest’anno o in carriera, dopo aver dominato la concorrenza a Dubai, o che a 27 anni prenderà improvvisamente a contendere gli Slam a Djokovic e Nadal. Non divaghiamo troppo. Significa che la semifinale dell’Australian Open non è stato un risultato così casuale come a primo impatto poteva sembrare. E significa soprattutto che Aslan Karatsev sa giocare a tennis assai bene, non tira soltanto forte, anche se non abbiamo idea di quanto possa reggere a questo livello. Sappiamo però che se gioca così – e lo ribadiamo, potrebbe svegliarsi domattina e non riuscire più a ritrovare il bandolo della matassa – per batterlo servono quelli forti davvero. Anche perché gente come Rublev, che forte lo sarebbe già ed è nel picco della sua carriera, a Dubai non è riuscita a fermarlo.

Sappiamo che è una dichiarazione forte, dunque contestualizziamo il così. Karatsev gioca un tennis esaltante innanzitutto perché è dotato di due colpi di rimbalzo formidabili, che porta senza fatica e con i quali accelera con estrema naturalezza. Fin qui nulla di strano, i grandi colpitori in questa epoca non mancano. Il russo però è capace di generare potenza e velocità con i piedi piantati sulla riga, sfruttando un timing di primo livello che sul rovescio ricorda quello del miglior Tomic (quando ha voglia, quindi tre volte all’anno – e ora neanche) e sul dritto… onestamente nessuno. I grandi dritti di questa epoca sono capolavori di forza bruta, opere di pura potenza – le prime due menzioni sono per Nadal e del Potro, che al loro prime hanno fatto più danni delle cavallette con quel colpo.

Quando Karatsev colpisce un dritto non si percepisce la stessa sensazione di sforzo. Si apprezza il movimento essenziale, con apertura contenutissima (ci ritorneremo) e un’improvvisa accelerazione; poi la palla vien fuori pulita, piatta e nelle ultime partite spesso vincente. Incrociato o lungo riga, anomalo a tagliare il campo o inside in; Karatsev tira vincenti in ogni modo, impugnando di dritto con una semiwestern che, assicura il nostro Luca Baldissera, ricorda abbastanza quella di Berdych.

Dettaglio impugnature del dritto – Berdych a sinistra, Karatsev a destra

Il servizio è un ottimo colpo. Nelle ultime 52 settimane, le statistiche relative al solo circuito maggiore gli attribuiscono sul cemento 7,2 ace di media a partita (come Djokovic) e un dignitosissimo 28° posto per punti vinti con la prima. Il rendimento scende se prendiamo in esame la percentuale di prime in campo e i punti vinti con la seconda, ma occorre sottolineare come nel 2021 – 17 partite, quali comprese – abbia vinto meno del 50% dei punti con la seconda solo quando ha perso, ovvero contro Djokovic e Thiem. Fare una cattiva figura con la seconda contro Djokovic (34%) è come sfigurare in una gara di triple con Steph Curry: del tutto inevitabile. A completare il pacchetto c’è un buon gioco di volo, con ottime capacità di lettura del gioco e una discreta mano – qualità assai evidente anche quando deve giocare angoli stretti da fondo, una cosa che gli riesce assai bene specie col dritto.

Il motivo principale per cui crediamo che Karatsev sia forte sul serio, però, è la sua capacità in risposta. Se è vero – ed è vero – che saper conquistare il dominio dello scambio entro due colpi è la skill più importante del tennis moderno, il quinto posto di Karatsev tra i miglior ribattitori delle ultime 52 settimane, che diventa addirittura un primo posto se consideriamo soltanto i match giocati sul cemento, è il dato che meglio esemplifica la sua reattività. Qui lo aiutano tantissimo le aperture contenute di cui sopra, che in risposta perdono addirittura gli ultimi fronzoli per trasformarsi in un vero e proprio schiaffo. Come questo assestato a Harris nella finale di Dubai, il prodromo del secondo break che ha chiuso set, match e torneo. Il sudafricano serve una prima non abbastanza esterna verso il dritto del russo, che scatta la più classica delle fotografie.

Tutto questo per dire che sembra esserci differenza tra Karatsev e altri carneadi capaci di spingersi sino alle fasi conclusive di uno Slam grazie a congiunture particolarmente favorevoli. Come già detto, da qui a pontificare sul suo futuro ce ne passa – anche perché il fatto che non abbia mai giocato ad alti livelli sino a 27 anni è un dato incontrovertibile, almeno quanto la sua capacità di esprimere un tennis dominante. Tra avere le potenzialità per vincere la maggior parte delle partite e vincerle sul serio, ci passa un oceano di differenze sul quale il più sintetico dei coach non riuscirebbe a scrivere meno di 200 pagine.

Il suo allenatore Yahor Yatsyk, che ha soltanto un anno più di lui, dice che ‘per molto tempo si è comportato come un ragazzino, era poco professionale e arrivava in ritardo agli allenamenti‘ e per questo ha vissuto la quasi totalità della carriera ai margini del tennis che conta. Il coach bielorusso ha iniziato a lavorare con Karatsev a fine 2018, e questa è una delle poche cose che il tennista russo ha avuto voglia di raccontare durante le brevi conferenze stampa di Dubai.

Aslan si è fatto vedere su Zoom per la prima volta dopo la vittoria con Sinner, e poi dopo aver vinto semifinale e finale. In tre presenze in sala stampa ‘virtuale’ ha sempre parlato pochissimo, mostrando scarso interesse a commentare il gioco dei suoi avversari (interrogato sulle differenze tra Sinner e Sonego, ha praticamente rispedito la domanda al mittente) e rifugiandosi nelle solite frasi di rito, tranne quando gli è stato chiesto come mai non abbia ancora un contratto con qualche sponsor. Domanda legittima, dal momento che è il numero 5 della Race ma ha giocato il torneo di Dubai con una vecchia t-shirt dell’Adidas ormai fuori produzione, lanciata nella primavera di cinque anni fa. “Me lo stai chiedendo perché hai qualcosa da propormi o cosa? Se mi trovi qualcosa sono felice, ma per il momento, come hai potuto vedere, non ho uno sponsor” è stata la secca risposta, a metà tra sarcasmo e voglia di sfuggire alla tortura delle domande.

Durante la premiazione, mentre Harris ha predetto per lui un futuro con molti altri trofei, Karatsev è sembrato quasi disinteressato. In conferenza si è detto felice del suo livello, di aver vinto una finale molto tirata – ehm, non proprio Aslan – e poi ha finalmente raccontato qualcosa sul clic scattato improvvisamente dopo la sospensione del tour nel 2020, quando al rientro in campo ha giocato tre finali Challenger di fila (con due vittorie) e si è presentato ai piedi della top 100, traguardo che non aveva neanche mai sfiorato in carriera (era stato al massimo n.153 nel 2015). Al challenger di Praga, il suo primo impegno dopo cinque mesi di stop, si era presentato da n. 253 del mondo.

Ci sono stati momenti difficili nella mia carriera. Quando sono passato da junior a pro, ad esempio: all’inizio il ranking cresceva rapidamente, poi (a 21 anni, ndr) sono andato in Germania e dopo due anni ho deciso di trasferirmi a Barcellona“. Perché ad Halle, dove si era recato, le cose non stavano funzionando. Il racconto, seppure un po’ svogliato, continua. “Poi nel 2017 ho avuto problemi al ginocchio: mi è servita metà stagione per tornare in salute e due anni per trovare confidenza col tennis. Quindi ho incontrato il mio allenatore in Francia, tre anni fa, dopo aver vinto un Futures; abbiamo parlato e ci siamo detti di provare a lavorare insieme“. Parla del suo allenatore attuale, Yahor Yatsyk, e dell’ITF vinto ad Ajaccio nel luglio 2018 – mostrando a quanto pare un buon livello di tennis, se il coach bielorusso si è lasciato convincere a iniziare una collaborazione. Assieme al riconoscimento di miglior junior russo ricevuto dalle mani di Safin nel 2011, quando Karatsev raggiunse la 43° posizione mondiale tra gli under, questo incontro è probabilmente l’unico checkpoint che potesse vagamente lasciar presagire una sua esplosione ad alti livelli.

Adesso le cose stanno funzionando benissimo, ci capiamo alla grande” continua Aslan. “La cosa più difficile per un giocatore, probabilmente, è definire il coach giusto. Non deve essere per forza un grande nome; devi trovare la persona giusta, quella che riesce a tenerti testa. Sono felice di averla trovata“. Durante un’intervista rilasciata nel corso dell’Australian Open, Yahor Yatsyk ha raccontato di aver detto a Karatsev, appena dopo averlo conosciuto, che avrebbe dovuto scegliere di smettere di giocare se non avesse avuto intenzione di cambiare. “Ho usato parole dure, forti, ma lui ha capito e ha avuto l’umiltà di ascoltarmi“.

Questo spiega qualcosa ma non tutto, perché Karatsev ci ha comunque messo quasi altri tre anni per arrivare dove si trova adesso, in viaggio verso Miami col trofeo a forma di veliero vinto a Dubai in stiva. E sul volto l’espressione di chi non sta prestando troppa attenzione ai 750.000 dollari vinti quest’anno (più di quanto vinto nel resto della carriera) e al fatto che sia già numero 27 del mondo, con una testa di serie quasi certa a Parigi e assai probabile a Londra. Delle due l’una: o gliene frega davvero poco, e quindi è pronto a tornare nell’anonimato, o è sicuro di poter continuare così. Fino a sfidare persino i più forti.

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