Ancora su Wimbledon: Pliskova, Sabalenka, Jabeur e Muchova - Pagina 2 di 4

Al femminile

Ancora su Wimbledon: Pliskova, Sabalenka, Jabeur e Muchova

Gli ultimi Championships hanno rafforzato il primato di Ashleigh Barty, ma il torneo ha messo in luce anche altre protagoniste

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Karolina Pliskova - Wimbledon 2021 (via Twitter, @Wimbledon)
 

Ma il meglio di Pliskova a Wimbledon 2021 rimane la semifinale vinta contro Aryna Sabalenka, la testa di serie numero 2 del torneo, apparsa in crescita di rendimento al servizio e per la prima volta capace di raggiungere le fasi finali di uno Slam. Ne è uscita una partita con numeri molto positivi. Saldo vincenti / errori non forzati: Pliskova +15 (32/17), Sabalenka +18 (38/20). Karolina partiva sfavorita per i bookmaker, ma in realtà nell’arco del match è stata quasi sempre più solida. Tanto è vero che ha perso il primo set sull’unica palla break concessa, e trasformata grazie al “regalo” della stessa Karolina che è incappata in un doppio fallo. Bilancio delle palle break trasformate nel primo set: Pliskova zero su 8, Sabalenka 1 su 1.

Perduto il set 5-7, si poteva temere che Pliskova subisse un crollo nervoso, e invece ha ulteriormente alzato il livello, finendo per non concedere più alcuna palla break in tutto il match. E così il 5-7, 6-4, 6-4 è maturato grazie all’unico break per set concesso da Aryna e sempre trasformato da Karolina. Come già mostrato nel match contro Samsonova, a mio avviso le chiavi del successo di Pliskova sul piano tecnico sono state la qualità della battuta ma forse ancora di più la capacità di stare nello scambio senza andare troppo in difficoltà contro una avversaria di grande potenza come Sabalenka.

Non so in quanti avrebbero immaginato che il match non si sarebbe deciso negli scambi più brevi (terminati quasi pari: 73 a 72 per Pliskova), ma piuttosto in quelli di media lunghezza (19 a 13 per Pliskova negli scambi da 4-8 colpi) e anche in quelli lunghi (5-1 per Pliskova negli scambi oltre i 9 colpi).

Per quanto riguarda la finale con Barty rimando agli articoli già usciti (vedi questo e questo). Qui preferisco piuttosto trattare un ultimo aspetto della Pliskova giocatrice, perché a mio avvisto è stato frainteso: il suo carattere e il modo di affrontare i match sul piano agonistico.

So che spesso Karolina viene raccontata come una giocatrice quasi senza emozioni. Nei forum di lingua inglese circola il nomignolo di “servebot”. Secondo questa visione si tratterebbe di una specie di tennista che non solo si regge tutta sul servizio, ma anche una giocatrice incapace di vivere sino in fondo il confronto agonistico, come se fosse capitata in campo per caso. A me questa descrizione è sempre apparsa sbagliata: piuttosto è stata proprio la difficoltà a gestire le emozioni nei match importanti uno degli aspetti che le ha impedito di ottenere di più in carriera. E il fatto che nel linguaggio del corpo abbia quasi sempre rifuggito i gesti plateali (quasi sempre, perché a volte anche lei ha gridato, rotto racchette e perfino il seggiolone della giudice arbitro) non significa che non viva il confronto in profondità.

A me Pliskova non appare distaccata, né tanto meno apatica. Appare piuttosto come una giocatrice che ha deciso di mascherare le proprie emozioni dietro una maschera di riservatezza, nella speranza di rendere meno evidenti alcune fragilità. Come per esempio abbiamo verificato durante la premiazione, quando lei stessa ha raccontato di non voler piangere in pubblico.

O come quando, durante la semifinale con Sabalenka, in due-tre occasioni ha lasciato trasparire un leggero sorriso, a conferma dell’atteggiamento positivo con il quale, forse per la prima volta in carriera, stava interpretando una partita tanto importante.

Di questa partita difficilmente dimenticherò il momento del match point. Karolina era al servizio sul 40-15, e ha sbagliato il lancio di palla. Allora si è fermata, ha interrotto il movimento, e di nuovo è affiorato il sorriso, a condividere con il pubblico un istante di minima ilarità. Naturalmente l’ilarità del pubblico è solo uno dei modi possibili di rendere esplicita l’importanza del momento, e forse per Karolina quel sorriso significava anche qualcosa in più: per come l’ho interpretato io, sembrava anche un giudizio vagamente fatalista su se stessa come giocatrice. Una giocatrice che spesso, al dunque, si era penalizzata da sola. Sia come sia, probabilmente quel sorriso ha contribuito a rilassarla e a farle riprendere al meglio con il colpo successivo: ace a uscire, e partita chiusa in modo definitivo.

a pagina 3: Aryna Sabalenka

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