US Open 2021: Sakkari, Sabalenka, Barty e Osaka - Pagina 3 di 4

Al femminile

US Open 2021: Sakkari, Sabalenka, Barty e Osaka

Terzo e ultimo articolo dedicato allo US Open 2021: il percorso delle semifinaliste Sakkari e Sabalenka e la speciale condizione nella attuale WTA di Barty e Osaka

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Naomi Osaka - 2021 US Open (Garrett Ellwood/USTA)
 

Maria Sakkari
In uno Slam nel quale le giovanissime sono state le finaliste del torneo, e la precocità è diventato una tratto distintivo delle maggiori protagoniste, abbiamo avuto una figura in controtendenza, quella di Maria Sakkari. Proviamo a paragonarla alle altre tre semifinaliste: Fernandez e Raducanu a 18-19 anni sono state capaci di prendersi il centro della scena del tennis mondiale. Ma anche Sabalenka non è stata molto distante da loro in quanto a rapidità di affermazione: classe 1998, è entrata in Top 10 e vinto i primi titoli ad appena vent’anni, nel 2018.

Al contrario, quando aveva vent’anni Maria Sakkari (che è nata nel luglio 1995), lottava per entrare fra le prime cento della classifica. Nel 2015 oscillava tra i tornei ITF e i WTA, mentre per cercare di partecipare agli Slam doveva affrontare le qualificazioni. Del resto anche da junior non aveva ottenuto risultati straordinari: miglior posizione la 203, nell’agosto 2011. Insomma, non sembrava una predestinata. La sua storia è piuttosto quella di una tennista che non ha mai smesso di lavorare su se stessa con grande applicazione, per cercare di spostare i propri limiti sempre più in avanti.

Non so in quanti, le prime volte che l’hanno seguita a livello WTA, avrebbero scommesso su un suo ingresso in Top 10. Eppure questa settimana, grazie alla finale conquistata a Ostrava, è riuscita a farcela. Ricordo anche che Sakkari, in questo notevole 2021, è arrivata in semifinale al Roland Garros, sconfitta dalla futura vincitrice Barbora Krejcikova per 9-7 al terzo set, dopo avere anche avuto un match point a favore (sul suo servizio, sul 5-7, 6-4, 5-4, 40-30).

E se a Parigi aveva perso da una giocatrice ceca quasi sbucata dal nulla, a New York si è presa una parziale rivincita, visto che ha eliminato ben tre avversarie ceche: Siniakova, Kvitova e Pliskova. Sei set a zero, e partite vinte senza che il risultato fosse davvero mai in discussione. Per Maria il match più duro è stato al quarto turno contro la campionessa del 2019 Bianca Andreescu: un match lottatissimo, chiuso per 6-7(2), 7-6(6), 6-3, che ha ricordato per intensità il precedente confronto disputato in marzo a Miami.

Allora a prevalere era stata Andreescu, con il punteggio di 7-6(7), 3-6, 7-6(4). In occasione di quella partita mi ero permesso di criticare Bianca, anche se alla fine a vincere era stata lei. Ecco cosa avevo scritto: “Sul piano tattico (…) sono rimasto perplesso per le scelte attuate contro Sakkari: in sostanza Andreescu ha deciso di accettare apertamente il braccio di ferro contro un’avversaria che si esalta nella lotta e nel confronto fisico più diretto. Spinta contro spinta, botta contro botta: a parte qualche rara palla corta, in questo match Bianca ha quasi sempre rinunciato a soluzioni alternative. A mio avviso, non una buona idea, perché in passato ho visto Sakkari sbagliare di più in replica a parabole senza peso che su colpi pesanti, di grande potenza”.

“Il fatto che Andreescu sia comunque riuscita ad avere la meglio sul terreno preferito della avversaria, dà la misura delle sue qualità e del suo talento. Rimane il fatto che per prevalere è stata costretta a raschiare il fondo del barile delle energie, spingendo al limite un fisico che già non brilla per solidità”.

Scusate la presunzione, ma da allora non ho cambiato idea. Anzi, penso che a New York Bianca abbia commesso gli stessi errori. Forse memore del successo in Florida, ha di nuovo impostato un match molto fisico, fatto soprattutto di grandi botte senza troppe variazioni tecniche. E questa volta ha finito per pagare la scelta sotto forma di calo atletico nel terzo set, lasciando via libera a Maria.

Kostyuk, Siniakova, Kvitova, Andreescu, Pliskova: un percorso non semplice, che per Sakkari ha significato la seconda semifinale Slam stagionale, su due superfici diverse. Avversaria per Maria un’altra giocatrice sbucata dal nulla, più ancora di Krejcikova: Emma Raducanu. Ma se a Parigi Sakkari aveva perso al termine di una durissima lotta, questa volta Raducanu è sembrata quasi in grado di anestetizzarla, facendo costantemente le scelte giuste: prendendo l’iniziativa appena possibile e poi obbligandola a spostamenti laterali, a volte anche in controtempo, che non le hanno permesso di sfoggiare la sua potenza atletica.

Risultato: sconfitta per 6-1, 6-4 e sogno della prima finale Slam ancora sfuggito, per lei quasi incomprensibilmente. Ritorno alla conferenza stampa di Sakkari già citata nell’articolo dedicato a Raducanu: “Emma gioca senza paura, non ha niente da perdere, va decisa per i suoi colpi e fa le cose giuste. Ma io, come ieri Bencic, non sono scesa in campo”.

Poi però ha aggiunto “Probabilmente non ho affrontato nel modo giusto la semifinale. Avevo cattivi ricordi legati a quella persa a Parigi. È dura, ma devo accettarlo. Io sono quel tipo di persona che dopo una sconfitta torna a casa, e riprende a lavorare duro. Sto avendo la migliore stagione della mia carriera: continuo a credere in me stessa e nel mio lavoro”.

Le ultime parole suonano molto simili a certi slogan motivazionali preconfezionati. Eppure, nel caso di Sakkari, sono convinto che non si tratti di frasi fatte: possiamo stare certi che davvero continuerà a lavorare, e a credere in se stessa, con l’obiettivo di fare ancora meglio. E, visto quanto è già riuscita a ottenere, nessuno può escludere che ancora una volta finirà per avere ragione.

a pagina 4: Ashleigh Barty e Naomi Osaka

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