Da Konjuh a Barty, otto protagoniste di Miami - Pagina 4 di 4

Al femminile

Da Konjuh a Barty, otto protagoniste di Miami

I differenti problemi di Venus Williams e Bianca Andreescu, le soddisfazioni parziali di Elina Svitolina e Maria Sakkari e altro ancora nel secondo WTA 1000 della stagione 2021

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Bianca Andreescu e Ashleigh Barty - Miami 2021
 

Bianca Andreescu
Dopo le continue tribolazioni fisiche del 2020 (zero match giocati), e il rodaggio dei primi mesi di 2021 (secondo turno all’Australian Open, sconfitta da Hsieh Su-Wei), a Miami abbiamo quasi ritrovato la “vera” Andreescu, la giocatrice che aveva sorpreso tutto il circuito nel 2019. Direi che l’abbiamo ritrovata nel bene e nel male.

Nel bene per la capacità di offrire un tennis vario, creativo, a tratti entusiasmante nella sua inventiva; nel male per i problemi fisici ricorrenti, ma anche per la tendenza a doversi trovare con le spalle al muro per dare il meglio di sé; caratteristica che significa partite vinte sì, ma al terzo set. E così dopo aver sconfitto in due set la qualificata Martincova, tutti gli altri match di Miami le hanno richiesto il set decisivo. In sequenza: Anisimova, Muguruza, Sorribes Tormo, Sakkari.

 

Sul piano tattico questa volta c’è stato qualcosa che non mi ha convinto. Non l’ho vista giocare contro Anisimova, e non me la sento di criticarla per i match contro Muguruza e Sorribes. Ma sono rimasto perplesso per le scelte contro Sakkari: in sostanza Bianca ha deciso di accettare apertamente il braccio di ferro contro un’avversaria che si esalta nella lotta e nel confronto fisico più diretto. Spinta contro spinta, botta contro botta: a parte qualche rara palla corta, in questo match Bianca ha quasi sempre rinunciato a soluzioni alternative. A mio avviso, non una buona idea, perché in passato ho visto Sakkari sbagliare di più in replica a parabole senza peso che su colpi pesanti, di grande potenza.

Il fatto che Andreescu sia comunque riuscita ad avere la meglio sul terreno preferito della avversaria dà la misura delle sue qualità e del suo talento. Rimane il fatto che per prevalere in semifinale è stata costretta a raschiare il fondo del barile delle energie, spingendo al limite un fisico che già non brilla per solidità.

Riepiloghiamo la durata dei suoi match in Florida prima della finale: 1 ora e 54 contro Martincova, 2 ore e 40 contro Anisimova, 2 ore e 13 contro Muguruza, 2 ore e 38 contro Sorribes, 2 ore e 46 contro Sakkari. Abbiamo visto che anche Sorribes Tormo è stata in campo per durate simili, ma Bianca ha dimostrato di avere un fisico molto più fragile. Fra l’altro a me dà l’idea di essere un’atleta più esplosiva che resistente, e quindi temo che le “maratone” siano ancora meno adatte al suo corpo. Con queste premesse sono bastati pochi game per capire che in finale non era in grado di fronteggiare la completezza tecnica di Barty: per una avversaria del genere Bianca avrebbe dovuto avere ben altra brillantezza.

Questo torneo concluso con un ritiro (sul 6-3, 4-0 per Barty) a mio avviso suggerisce che per Andreescu sarebbe molto importante evitare i cali mentali che la obbligano ad allungare le partite, anche quando è superiore alla avversaria. Stare meno in campo nel singolo match diventa fondamentale per preservare il fisico in vista delle partite più impegnative di fine torneo.

Ashleigh Barty
Per parlare di Ashleigh Barty, che con il successo di sabato scorso ha confermato il titolo giù conquistato in Florida del 2019 (nel 2020 a Miami non si era giocato), mi rifaccio a un mio articolo di due anni fa, scritto dopo il suo successo alle Finals del 2019 a Shenzhen: “Sono convinto che a lungo andare ciò che davvero costruisce il carisma di una grande tennista siano le imprese sul campo. Contano i risultati, il ranking, e in questo Barty è sulla buona strada. Ma per imprese intendo anche le partite che emozionano in modo particolare. Match speciali che cambiano lo status delle giocatrici, le fanno crescere nella considerazione degli appassionati incidendosi nella loro memoria. In questo Barty è stata sfortunata, perché non ha avuto ancora l’occasione di esserne protagonista: le partite memorabili nascono da alchimie imprevedibili, nelle quali il ruolo della avversaria è altrettanto importante”.

A distanza di oltre un anno direi che siamo più o meno allo stesso punto: nel curriculum di Ashleigh è ancora difficile identificare le vittorie che ti rimangono impresse per la capacità di emozionare in modo profondo. Per esempio nella mia selezione dei match del 2019 Barty era presente con la rocambolesca vittoria su Anisimova nella semifinale del Roland Garros (6-7(4), 6-3, 6-3), mentre in quella relativa al 2020 era sì presente, ma per una sconfitta: quella contro Kvitova nella semifinale di Doha (persa 6-4, 2-6, 6-4).

Può darsi che sia un caso, così come può darsi che sia un problema mio, e che in realtà nel curriculum di Barty ci siano partite memorabili sotto ogni aspetto. Io però comincio a pensare che questa situazione non sia del tutto casuale, e sia più il frutto di una sua caratteristica. Vale a dire che Ashleigh si trova più a suo agio in contesti di match molto razionali, nei quali può far valere le sue straordinarie doti tecniche e tattiche. Match che però rischiano di non coinvolgerti del tutto sul piano emotivo.

Se per esempio penso alle partite di Andreescu a Miami e le confronto con quelle di Barty, non posso non evidenziare una notevole differenza. In poche parole: ho l’impressione che quanto più il confronto si fa “caldo”, tanto più è probabile che Bianca avrà la meglio. Al contrario ho la sensazione che per Ashleigh le probabilità di successo aumentano quanto più riesce a tenere bassa la temperatura emotiva del match.

Voglio essere ancora più esplicito. Confesso che mi piace molto Barty come sportiva: la trovo davvero simpatica, è straordinariamente sportiva e leale, rispetta moltissimo le avversarie ed è anche una perdente di gran classe, cosa ancora più rara in uno sport competitivo come il tennis. Insomma, quando la seguo, parto con un pregiudizio positivo nei suoi confronti. Eppure difficilmente riesce a coinvolgermi al 100%. Percepisco in Ashleigh ritrosia nel rendere esplicite le sue emozioni: fa di tutto per mantenerle private, evitando per quanto le è possibile di coinvolgere noi spettatori. E così noi “pubblico”, rimaniamo un passo lontano da lei: senza dubbio ammirati per le eccezionali qualità tecniche, ma con una vago senso di insoddisfazione per non essere a pieno coinvolti nelle dinamiche emotive del match.

Sarà sempre così? Forse. Ma per considerare del tutto chiuso il discorso voglio attendere il ritorno del pubblico al completo, al termine della pandemia. Chissà che in occasione di un grande match di fronte a uno stadio pieno in ogni ordine di posti, anche per Barty non scocchi la scintilla che le permetterà di trovare un rapporto più coinvolgente con tutti gli spettatori.

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