A Montecarlo, dopo il k.o. di Alcaraz che non è Nadal, sono Sinner e Musetti i due più giovani in ottavi. Djokovic aveva avuto la febbre a 40

Editoriali del Direttore

A Montecarlo, dopo il k.o. di Alcaraz che non è Nadal, sono Sinner e Musetti i due più giovani in ottavi. Djokovic aveva avuto la febbre a 40

Me l’ha confessato Goran Ivanisevic. La sfortuna di Pietrangeli. Fritz-Korda un derby USA che 66 anni fa…si giocò in finale. Al Country Club è un trionfo anche per i brand di casa nostra: Generali, Replay, Valmora, Maserat, Sergio Tacchini. L’editoriale del direttore

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Jannik Sinner - Montecarlo 2022 (foto Roberto dell'Olivo)
Jannik Sinner - Montecarlo 2022 (foto Roberto dell'Olivo)
 

da Montecarlo, il direttore

Il Montecarlo Open è sempre stato molto italiano sulle tribune. Ma non sempre sul Ranieri III e nemmeno sul Court des Princes.

Tranne che negli anni più recenti, motivo per cui oggi quasi non ci si stupisce se due italiani, Jannik Sinner e Lorenzo Musetti sono entrambi approdati agli ottavi e anzi si mormora… ah, se ci fosse stato anche Matteo Berrettini! Magari negli ottavi ne avremmo avuti tre.

La nuova Era, nel Principato dove Barazzutti era stato finalista nel ’77, strapazzato (6-3,7-5,6-0) dall’imbattibile Bjorn Borg, è spuntata 3 anni fa.

Nel 2019 si celebrò qui il primo trionfo italiano grazie a Fabio Fognini che costrinse gli “storiografi” a rispolverare il glorioso tris di Nicola Pietrangeli (1961-1967 e 1968…). E ci credo che oggi Nicola impreca contro chi sottolinea soltanto i record del tennis nell’era Open! Avesse vinto nel ’69 anziché nel ’68, tutti ricorderebbero almeno il suo terzo trionfo. Invece quelli prima del ’69 sono trionfi… sepolti.

Tre anni fa avevamo cominciato a rallegrarsi dopo decenni di… ”Mai una gioia!”  quando due azzurri, Fabio e Lorenzo Sonego avevano centrato i quarti di finale. Un mezzo miracolo, si pensò allora, perché al primo turno contro Rublev Fognini aveva perso il primo set e nel secondo annullò al russo la bazzecola di 5 palle-game per il 5-1.

L’altro mezzo miracolo, anzi un miracolo tutto intero, avvenne quando Fognini battè anche Rafa Nadal, campione di 11 Montecarlo Open, in semifinale. Certo più difficile che battere Lajovic in finale.

Era il primo segno del…rinascimento italiano (senza dimenticare, ovviamente, la semifinale al Roland Garros di Cecchinato nel 2018). Da lì in poi tutto è cambiato. A seguito di quell’inatteso exploit Fognini è finalmente diventato top-10 quando ormai si disperava che un nostro compatriota potesse mai più riuscirci, 40 anni dopo il nostro ultimo top-ten (Barazzutti).

Negli immediati mesi successivi è cominciata la straordinaria escalation di Matteo Berrettini coronata dal suo approdo fra i primi 10 del mondo e dalla sua partecipazione alle finali ATP londinesi (con quella vittoria su Thiem che è stata la prima azzurra al Masters di fine anno, dopo il doppio 0-3 patito da Panatta alle finali del ’75 e da Barazzutti a quelle del ’78).

Il 2021 è stato di gran lunga il miglior anno del tennis italiano nel terzo millennio. La faccio breve. Due italiani nei top-ten, dieci nei top 100 per qualche settimana, Sonego a ridosso dei top-20, Musetti che ha cominciato a emergere, Fognini che ha fatto ancora fuochi d’artificio qua e là.

Quest’anno le aspettative erano tante, ma abbiamo cominciato… zoppicando (salvo che all’Australian Open dove Berrettini e Sinner si sono fatti grande onore, e poi in Davis abbiamo rischiato davvero grosso). A zoppicare, per la verità, sono stati i nostri, in particolare Sinner con le vesciche ai piedi, mentre Berrettini sì è fermato con i suoi guai al mignolo destro: Tendini? Guaine? Non è dato sapere…

Fatto sta che ancora non si è vinto un torneo, dopo i 13 titoli invece conquistati da quel memorabile aprile 2019.

Forse i “nostri” ci avevano viziato, vien da pensare. Ma sono passati solo tre mesi, abbiate pazienza.

Intanto abbiamo i due ragazzi del terzo millennio negli ottavi. E sono i più giovani ancora in lizza ora che ha perso “El chico prodigioso” Carlitos Alcaraz. La transizione cemento di Miami terra battuta (anche dal vento…) del Principato non è stata bene assorbita dal nuovo fenomeno che non è ancora Nadal.

Qui, e me lo ricordo benissimo, rimasi estasiato nel vedere Nadal sedicenne nel 2003 battere a tarda sera e sotto la luce dei riflettori Albert Costa, campione in carica al Roland Garros 2002.

Alcaraz non è Nadal prima di tutto perchè i Nadal non nascono come le margherite. E poi perché il tennis di Carlitos è molto più rischioso. Con i suoi topspin Rafa faceva passare la palla sopra la rete di almeno un metro. Il rischio che la rete rappresentasse un vero ostacolo era quasi inesistente.

Alcaraz gioca più sull’anticipo, più rasorete, è più aggressivo e infatti sul cemento è forse più determinante di quanto lo fosse Rafa, ma sulla terra rossa quando gli scambi si prolungano finisce per sbagliare di più rispetto al Rafa di 19 anni fa. Di Nadal, per ora, non ha neppure il servizio: è stato brekkato sette volte.

Eppoi mentre il figlio (e fratello) d’arte Sebastian Korda, cresciuto sulla terra verde della Florida – ma un po’ anche su quella rossa della Cechia di papà Petr – ha perso prima a Miami e ha avuto il tempo di venire in Europa e prepararsi come si deve, Carlitos tutto quel tempo non ce l’ha avuto. E ha pagato pegno. A Parigi, dove i campi sono anche più veloci che qui, giocherà certamente molto meglio. Forse già a Roma. Mentre Korda giocherà in ottavi contro l’amico Fritz, un derby. Quindi almeno un americano nei quarti lo vedremo di certo e non era così scontato. In ogni caso, Korda è stato capace di ritardare l’arrivo di Alcaraz nei primi 10 del mondo.

Come scrivevo l’altro giorno i tennisti americani non hanno mai troppo brillato da queste parti. Si sappia che l’ultimo americano ad aver trionfato a Montecarlo è stato Hugh Stewart, un gigante di talento abbastanza modesto (cui mi capitò di far da raccattapalle nel torneo internazionale di Firenze: giocava contro Beppe Merlo, che mi aveva appena insegnato a tenere la racchettina con le due mani per fare il rovescio;: ho ricordi confusi del loro duello, ma uno dei due ebbe i crampi (forse Stewart) e la partita fu interrotta per un bel po’. Stewart qui a Montecarlo vinse su un altro americano, Tony Vincent, quando correva l’anno 1956. Sono trascorsi soltanto 66 anni da quel giorno e il 1956 era l’anno degli ultimi due film di Grace Kelly e del suo matrimonio con Ranieri III. Stewart era un californiano altissimo che aveva giocato bene anche a basket. Da allora l’ultimo finalista made in USA è stato Aronne Krickstein, pupillo di Bollettieri, nel 1992 e l’ultimo semifinalista Spadea nel 2003. Nel ’91 Krickstein giocò e perse un match pazzesco all’US Open contro Jimmy Connors, match che io commentai con Roberto Lombardi per Tele+ e il cui video è stato riproposto mille volte durante l’US Open ogni volta che pioveva e non c’era ancora il tetto, perchè fu un match davvero epico con Connors che fece letteralmente impazzire il pubblico.

Tornando a noi, e scusandomi per le eccessive divagazioni amarcord, il vincente di questoderby Fritz-Korda troverà o il giustiziere di Djokovic, Fokina (che vorrebbe fare il bis dei quarti già raggiunti qua) oppure Goffin che è un altro che qua ha battuto Djokovic (2017). A proposito del serbo, ho avuto una lunga e interessante intervista esclusiva nello stand Sergio Tacchini con Goran Ivanisevic. La dovreste poter leggere in mattinata. Posso anticiparvi che mi ha detto che Novak è stato male, con la febbre anche alta (40?) nei giorni scorsi, ma non ha detto nulla, non ha cercato alibi. Goran, che parla anche di tutto il “vissuto” di Nole in questi mesi, mi ha detto: “Io non volevo che lui giocasse. Fosse stato per me non avrebbe giocato”.

Ammirevole il fatto che l’orgoglioso Nole che non abbia cercato scuse.

Resta il fatto che i due più giovani tennisti negli ottavi sono i nostri due piccoli grandi eroi. Sinner non ha davvero entusiasmato contro il finnico Ruusuvuori in un match che Gianluca Sartori nella sua cronaca ha segnalato “piena di errori da entrambe le parti” – 28 solo vincenti, 79 gli errori gratuiti! – mentre invece Musetti ha fatto stropicciare gli occhi a Laura Guidobaldi per la continuità delle sue prodezze, lob in top-spin di rovescio, passanti che parevano traccianti. E’ arrivata così la sua seconda vittoria su un numero 9 del mondo, Schwartzman un anno fa ad Acapulco, Auger Aliassime questo mercoledì da leone. Se, già che si trova qui, Lorenzo dovesse fare un salto al Casinò gli consiglio di puntare sul 9.

Ribattere Schwartzman sarà più difficile, però. Siamo tutti d’accordo con quel che mi ha detto il suo allenatore Simone Tartarini. Stavolta l’argentino non lo sottovaluterà di sicuro, ormai lo ha conosciuto…a sue spese in Messico. Ma Lorenzo, lo abbiamo ormai notato più volte, se comincia bene e ha il pubblico che lo esalta, si scatena. Giocare contro un giocatore che non ti fa caterve di servizi vincenti, che puoi ribrekkare anche se ti è capitato di servire male, è un bell’aiuto psicologico. Vedremo. Io sono abbastanza ottimista, a dispetto delle…”montagne russe” di cui mi ha parlato Tartarini con il suo linguaggio colorito.

E Sinner contro Rublev? Una vittoria per Jannik a Barcellona. Quella di Rublev a Vienna per il ritiro a inizio match di Sinner piagato dalle solite vesciche non conta. Non ho visto giocare bene né Rublev né Sinner, quindi è come andare alla roulette e giocare sul rosso o il nero…ah no, che dico? Non potrà che uscire il rosso, sono rossi tutti e due. Sono curioso di vedere le quote dei bookmakers. Noi le pubblichiamo al mattino tutti i giorni, soprattutto quando ci sono due italiani in gara. O, stavo dimenticando, anche se non sia notizia da farci il titolo: i due ragazzi italiani in ottavi sono anche i due “ambassador” – ormai si dice così, testimonial sembra passato di moda, è meno chic – di Intesa Sanpaolo. Bravi ad aver puntato su loro (e non al Casinò).

Ma sembrano avere puntato sull’Italtennis anche parecchi sponsor: il Ranieri III è costellato di firme italiane, Generali, Replay, Valmora, Maserati, Sergio Tacchini.

Lorenzo Sonego, testimonial Valmora, durante il torneo di Montecarlo

Quest’ultimo è ormai brand franco-americano, ma come si può dimenticarne le origini e il suo fondatore? Credo che sia intenzione dei nuovi proprietari di far tornare in pista, se lui accetterà, proprio Sergio Tacchini in persona, magari come presidente onorario, perché gli entusiasti imprenditori francesi sembrano molto interessati a far rivivere la storia di un marchio che negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, è diventato famoso nel mondo, avendo come “indossatori” – non ambassador e non testimonial – campioni come Nastase, Kodes, Fibak, Connors, McEnroe, Gerulaitis, Cash, Wilander, Sampras, Ivanisevic, Gabriela Sabatini, Djokovic e …sto citando a memoria eh, ma mi stava sfuggendo un altro tennista assai noto e promettente, ah sì, ma certo, Ubaldo Scanagatta! Fu un contratto che stava per mettere a terra economicamente l’azienda di Novara: 8 pantaloncini, 8 magliette, 10 paia di calzini, almeno otto polsini, una tuta, un maglione a maniche lunghe e uno senza maniche, ma con la sigla U.S.all’altezza del cuore. Qualche… reperto archeologico ce l’ho ancora.

Il tabellone completo di Montecarlo

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