Ripensando al duello n.59 vinto da Rafa Nadal su Nole Djokovic: quanto conta il fattore campo nel tennis?

Editoriali del Direttore

Ripensando al duello n.59 vinto da Rafa Nadal su Nole Djokovic: quanto conta il fattore campo nel tennis?

Rafa Nadal aveva tutto il pubblico dalla sua parte contro Djokovic. Quanto ha pesato? Nole c’è abituato, ma ne è stato forse intimidito?

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Dal titolo spero che non si fraintenda. Il mio scopo non è trovare un alibi che giustifichi la pesante sconfitta di Djokovic, certamente dominato nel corso del match con Nadal (anche se avrebbe potuto raggiungere il quinto set).

Nadal ha meritato ampiamente la vittoria, ha giocato certamente meglio e con maggiore continuità contro il serbo che era il favorito dei più alla vigilia del loro 59mo duello.

Ma secondo me il tema e la mia domanda hanno un senso che prescinde da chi abbia vinto e perso la partita dell’altra sera. E’, poi, una domanda che faccio prima di tutto a me stesso. 

Il fattore campo, spesso così incisivo nel calcio e negli sport di squadra, tanto che ci sono squadre che quando giocano in casa si trasformano letteralmente e magari battono squadroni molto più titolati– penso anche alla mia Fiorentina di quest’anno, mutatis mutandis – quanto può incidere nel tennis?

Pensavo, nel pormela sulla base dell’ultimo esempio e delle dichiarazioni di Novak ai suoi connazionali, fino a che punto Nadal si possa essere caricato nel sentire tutta quella straordinaria atmosfera del 95% del pubblico che lo sosteneva con un calore enorme, pazzesco, adrenalico,  e fino a che punto né possa – a contrario – essere stato condizionato Djokovic che pure c’è abituato perché gli è successo mille volte, e in ogni dove, di vivere condizioni simile, contro Federer, contro Nadal e pure  (alla 02 Arena e nel Regno Unito) con Murray.

Al di là della indiscutibile maggiore efficacia del tennis di Rafa martedì notte – e sì che Rafa pensava di essere svantaggiato a giocare di notte per via dei campi più lenti e delle palle più pesanti meno adatte al lift; Carlos Moya se ne era lamentato decisamente – e della strana remissività di un Djokovic meno aggressivo del solito, ho avuto la sensazione che mentre Nadal non poteva avvertire il minimo imbarazzo – anzi! – a mostrare i pugni al cielo dopo un gran punto vinto, a saltare, ad autoincitarsi sicuro che quelle sue manifestazioni sarebbero state apprezzate, incoraggiate, condivise dai suoi fans, invece Djokovic provasse quasi imbarazzo a farlo, quasi che temesse di poter risultare ancora più inviso, se non addirittura ridicolo agli occhi di chi non lo voleva veder vincere.

E ho pensato che deve essere una sensazione francamente brutta, perfino, orribile.  Non ti senti di essere te stesso. Non sempre almeno. Puoi permetterti di caricarti, di autoincitarti, ma solo fino a un certo punto, solo dopo un punto conquistato davvero in maniera straordinaria. Ma davvero non per un mezzo errore dell’avversario, o un mezzo vincente tuo.

Mentre l’altro, in questo caso Nadal, non doveva limitarsi in nulla, in nessuna manifestazione gioiosa, sapendo quanto essa fosse condivisa da tutti i presenti. 

Che ne dite? Forse è argomento che non è stato affrontato con la dovuta profondità. Ma non poter esultare come vorresti, alla fine, secondo me, può davvero frenare il tuo entusiasmo, la tua carica. Fino a che il tuo tennis non possa non risentirne.

Mi chiedo e infine VI chiedo perché il fattore campo debba essere necessariamente più importante per uno sport di squadra che per uno sport individuale.
Può essere giusto in generale, ma non potrebbe dipendere anche dal tipo di influenza psicologica che può avere sui due giocatori avversari, in positivo per uno e in negativo per un altro?

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