Nadal, un prezzo troppo alto per continuare a giocare

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Nadal, un prezzo troppo alto per continuare a giocare

Fino a che punto ci si può spingere oltre i limiti per una vittoria in più, per un trofeo in più, per un record in più? Nadal sta andando oltre quei limiti, pagando un prezzo salato alla sua integrità fisica

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Rafael Nadal (ESP) in action against Botic Van De Zandschulp (NED) in the fourth round of the Gentlemen's Singles on Centre Court at The Championships 2022. Held at The All England Lawn Tennis Club, Wimbledon. Day 8 Monday 04/07/2022. Credit: AELTC/Simon Bruty
 

Non diremmo nulla di nuovo nel considerare Rafael Nadal uno dei più grandi tennisti, uno dei più grandi sportivi, di quest’epoca moderna. Le sue vittorie, i suoi record sono lì a testimoniarlo. Aggiungere ridondanza all’ovvio è esercizio retorico di cui facciamo volentieri a meno. “L’intelligenza è la capacità di evitare di dilungarsi con l’ovvio”, citando lo scrittore americano Alfred Bester e non volendoci attribuire, con questo, nessuna attestato d’intelligenza, diciamo soltanto che è giusto andare oltre. Guardare oltre.

L’oltre è l’ingestibile e a tratti insopportabile retorica che gira intorno al fenomeno Nadal. Chi vi scrive riconosce in lui una semi divinità tennistica, un punto di riferimento per chi ama questo sport, per chi lo pratica o per chi semplicemente, ne ha sentito talmente tante volte il nome, da conoscerlo pur non sapendo chi sia: in poche parole un esempio. Rettitudine in campo, rettitudine fuori dal campo; mai una macchia nera, mai un sospetto, mai uno scandalo. Mai un gesto fuori posto. Insomma si potrebbe parlare di un immacolato campione dedito esclusivamente al gioco del tennis, e così in fondo è. Il tema è un altro: a che prezzo?

Da qualche mese a questa parte, per essere chiari dal post vittoria in Australia, e dalla frattura da stress che gli è costato la vittoria in finale ad Indian Wells, il leit motiv delle sue interviste e conferenze stampa è più o meno sempre lo stesso ed assomiglia ad una perpetuo rosario o se volete, ad una perpetua Via Crucis: “non so se giocherò domani”, “il dolore al piede è insopportabile”, “non so quando rientrerò”, “Wimbledon? Vedremo…”, “baratterei le mie vittorie per non avere più dolore al piede e poter vivere una vita normale”. Ecco, quest’ultima dichiarazione, rilasciata da Nadal nella sala stampa del Roland Garros poco prima della semifinale con Sasha Zverev, è il centro focale della grande ipocrisia profusa attorno al giocatore spagnolo. Per continuare a giocare e vincere deve ormai sistematicamente anestetizzare il proprio piede sinistro affetto da un problema cronico noto come sindrome di Muller-Weiss, ovvero una displasia dello scafoide tarsale, inoperabile e che peggiora ogni volta che, puntura dopo puntura, trattamento dopo trattamento, l’osso continua a deformarsi fino all’artrosi. Vi ricordate il tema di fondo e la relativa domanda? Ecco, questo è il prezzo da pagare.

E che dire invece dello strappo addominale di circa 7 mm con il quale, nonostante gli ampi gesti del suo box, del padre in primis, visibilmente preoccupato della salute del figlio e forse l’unico in grado di mantenere evidentemente un po’ di lucidità all’interno del team dello spagnolo, Rafa ha comunque portato a termine e vinto il match di quarti di finale a Wimbledon con Fritz? A cosa è servito tutto ciò? Presumibilmente ad incensare lo story telling dello spagnolo combattente, e nulla più. Sportivamente ha giocato e vinto, ma ha messo a repentaglio, ancora una volta, la sua salute; come se non bastasse il piede, come se non fossero sufficienti già i trattamenti e le iniezioni che gli permettono di camminare, correre, giocare.

Cosa c’è di lecito in tutto questo? Assolutamente tutto. Sia chiaro, nessuno grida al doping e nessuno dotato di un minimo di intelligenza può minimamente pensare che lo staff di Nadal possa incunearsi nel solco dell’immoralità sportiva, utilizzando sostanze e prodotti non leciti. La questione è molto più morale. Fino a che punto ci si può spingere oltre il limite? Esiste un punto di non ritorno? Esiste ed è la propria salute che va tutelata secondo i principi dello sport che è un mezzo e non un fine. Il mezzo per sentirsi bene, per gioire, per competere, per sentirsi campioni. Perché essere campioni significa anche, se sei un semidio come Nadal, trasmettere dei messaggi che siano positivi perché volente o nolente, parliamo di esempi. E se per gioire, competere, sentirsi campioni il prezzo da pagare è la propria salute, se il limite è questo, è un limite invalicabile. Quasi immorale e deprimente. Come la scena in cui Rafa, il giorno dopo la vittoria di Parigi, la quattordicesima, il ventiduesimo Slam, era sorretto dalle stampelle, come un infortunato qualsiasi. Peccato avesse corso come un dannato fino a qualche ora prima e per 14 giorni consecutivi. “Non ti dico neanche quante punture ho fatto per giocare oggi” ha dichiarato a Barbara Schett subito dopo la vittoria parigina, come se fosse tutto normale.

Le persone lodano Nadal per essere riuscito ad arrivare così lontano nel dolore, passa per eroe perché lo allontana, ma in realtà usa sostanze per farlo. Se lo facessimo noi ciclisti, ci aggredirebbero dicendoci che siamo dopati”. Ecco cos’è la retorica nadaliana, spiegata magistralmente da Thibaut Pinot che di professione fa il ciclista e non certo il sociologo o il giornalista.

Per qualche strano motivo vogliamo bene a Rafa; è un affetto sincero che nasce dall’aver condiviso con lui alcuni momenti della vita (che lui ovviamente sconosce totalmente) ed è per questo che non possiamo accettare ciò; non possiamo accettare che per un titolo in più a rimetterci sia la sua salute. La vita va oltre il tennis, la sua vita andrà avanti e non può essere una vita menomata per un record da aggiungere o una coppa da esporre. E questo ci sembra ovvio, ci dispiace che non lo sia a lui o a qualcuno del suo team, che evidentemente continua a consigliarlo male. Ma, utilizzando nuovamente parole che non ci appartengono e che sono di Sir Arthur Conan Doyle, “nulla è più ingannevole di un fatto ovvio”.

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