Ben Shelton e quella prima volta lontano da casa

Australian Open

Ben Shelton e quella prima volta lontano da casa

Prima vera stagione tra i professionisti, e primo viaggio fuori dagli USA per il prospetto americano, pronto ad alzare ancor di più l’asticella

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Ben Shelton - ATP Atlanta 2022 (foto via Instagram @bloggeroftennis)
 

La seconda parte di 2022, tra i tanti volti nuovi affacciatisi sul circuito, e le vecchie volpi ancora a gironzolare in cerca di potenziali soddisfazioni, ha svelato un nome che sembriamo destinati a sentire spesso nei prossimi anni: Ben Shelton. Il mancino americano, attuale n.89 del mondo (a giugno, sei mesi fa, era n.587), ha avuto una crescita vertiginosa, sia in termini di gioco che di risultati, e così in questo gennaio per la prima volta ha lasciato gli USA in vesti professionistiche. Mai Shelton aveva giocato fuori dal proprio Paese d’origine prima di approdare in Australia per il secondo Slam della carriera, anche con la soddisfazione di entrare direttamente in tabellone principale grazie al ranking, e non approfittando della wildcard, che comunque gli spettava essendo risultato il primo giocatore nel torneo americano interno che determina chi riceverà l’invito da Melbourne Park. “L’atteggiamento di Ben era tipo ‘non voglio vedere W.C. accanto al mio nome“, ha dichiarato Dean Goldfine, uno dei suoi coach, “e così è emerso nella finale di quell’ultimo Challenger. Penso che molti ragazzi sarebbero stati soddisfatti, e lui era esauto dopo aver giocato tre settimane di fila. Ma lui ha tratto ulteriore energia da ciò, e così è arrivato tra i primi 100“.

Già, perché la scalata di Shelton fino alla top 100, di quasi 500 posizioni in sei mesi, è figlia non solo di grandi palcoscenici e stadi pieni, ma soprattutto di tanta fatica e sacrifici. Infatti, anche se a farlo salire alla ribalta delle cronache è stata la vittoria contro Ruud a Cincinnati, a costruirgli lo status di giocatore solido e costante, da piano superiore, è stata la parte finale di stagione. Tra il 25 ottobre e il 14 novembre Shelton ha vinto 15 partite di fila, portandosi a casa la bellezza di tre Challenger consecutivi negli Stati Uniti, tutti sul cemento, che gli hanno permesso di progredire e arrivare qui in Australia come uno che l’ingresso se lo è guadagnato andando a sudare anche sui campi secondari. Un esempio di umiltà e comprensione dell’importanza di fare un passo indietro che non è sempre usuale per una giovane promessa con tanti occhi addosso.

L’americano, come ormai è noto alle cronache, è figlio d’arte: il padre (nonché coach) Bryan Shelton è stato n.55 al mondo, ed è stato decisivo per la crescita di Ben, che nella trasferta australiana è però seguito soltanto da Goldfine, che in passato ha allenato anche gente del calibro di Todd Martin e Andy Roddick. Bryan non è potuto volare a Melbourne (dove manca dal 1997) per gli impegni connessi al ruolo di coach del tennis maschile dell’Università della Florida, dove tra l’altro si è formato anche Ben, che a pensarci bene deve tutto all’Australia…Non solo da un mero punto di vista tennistico, essendo il primo Slam e primo torneo importante fuori dal “territorio amico”, ma perché è qui che i genitori si conobbero, nel 1993: Bryan era a Melbourne come giocatore, la madre Lysa Witsken ad aiutare il fratello Todd (ex n.34 al mondo e tra gli ultimi 8 dell’AO 1988), poi morto di cancro al cervello a soli 34 anni. Eppure a far compagnia alla next big thing del tennis americano c’è “solo” Goldfine, che non manca mai di spendere una buona parola per il suo pupillo.

Penso che con i doni naturali che ha“, dice il coach, – il suo atletismo, il suo amore per la competizione e per affrontare le sfide a testa alta e la sua forza mentale – Ben abbia la possibilità di diventare un grande giocatore che un giorno potrà lottare per i titoli del Grande Slam. Ha tutte le variabili che si vedono nei migliori giocatori, ed essere un mancino aiuta, decisamente“. Già, il fatto che Shelton giochi dal lato sinistro del campo, da cui spesso e volentieri fa piovere sassate con il suo marchio di fabbrica, il dritto, non solo gli dà un vantaggio nel gioco, ma gli ha permesso di compiere un ulteriore passo nel mondo dei grandi. Prima dell’inizio del torneo ha infatti avuto la possibilità di allenarsi nientemeno che con il mancino più forte della storia, Rafa Nadal, che in vista del proprio primo turno contro lo scomodo Draper aveva bisogno di palleggiare con un avversario anch’esso mancino e che, come il britannico, giocasse un tennis aggressivo. E la scelta è caduta proprio su Shelton, ulteriore segnale che ormai anche lui appartiene al mondo dei pro.

L’americano, prima della scalata ai piani alti partita lo scorso giugno, si è laureato campione NCAA, ed è il primo da Tim Mayotte nel 1981 ad entrare poi in top 100 ancora come campione in carica. Una conferma che il più giovane dei quattordici americani presenti in tabellone a Melbourne, guidati da Taylor Fritz, abbia bruciato ben più di qualche tappa, arrivando a livelli davvero alti in tempi davvero brevi. E l’entusiasmo di un ragazzo di soli 20 anni, che sei mesi fa giocava nei campi universitari, è misurabile soprattutto dalle considerazioni apparentemente più banali su cose che sembrerebbero di scarso rilievo: “Un sacco di blu; quasi non sembra reale. É come un mondo alternativo“. Queste le parole di un entusiasta e felicissimo Shelton al giorno dell’approdo a Melbourne Park, dopo aver passeggiato per il complesso, tra l’azzurro dei campi e della segnaletica.

Sono davvero eccitato di giocare il tabellone principale del primo Slam fuori dal mio Paese“, conferma sognante l’americano, ” otto mesi fa non avrei pensato di essere in questa posizione“. Be’, otto mesi fa Ben Shelton in effetti era fuori dai primi 550 al mondo, e non aveva mai giocato in tour neanche negli USA, figurarsi fuori. Oggi il figlio di Bryan, che compirà 21 anni solo il 9 ottobre, è una delle stelle più fulgide del panorama del tennis americano, e mondiale. Un giocatore fisico, dotato di gran servizio e dritto poderoso, ma soprattutto della mentalità e la voglia di dare il massimo anche quando forse non serve, che spesso contraddistingue il buonissimo giocatore del campione. Ma parlare di queste cose, per uno che è appena alla prima esperienza lontano da casa, appare forse un po’ prematuro, no? La risposta dipende in fin dei conti da Ben Shelton, che di solito va dritto al sodo, e anche velocemente (la NCAA, tanto per precisare, l’ha lasciata solo 4 mesi fa per diventare un professionista).

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