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Tutti i bei sogni prima o poi finiscono: quanto tempo avremo ancora insieme a Rafael Nadal?
La fine di una carriera leggendaria sta per arrivare in modo inesorabile, ma manca ancora un po’ prima che la sveglia suoni e Rafa Nadal appartenga solo più al passato

“Sed fugit interea, fugit irreparabile tempus“ (Virgilio, Georgiche). Il tempo passa, fugge, scappa, vola, ditelo un po’ come vi pare. È una situazione con cui l’uomo ha ormai imparato a convivere da secoli, eppure ci sono alcuni casi eccezionali che, talvolta, sembrano voler sfuggire a questa dura e terribile legge. E in rare occasioni paiono anche riuscirci.
È proprio lì che sta l’inganno. Ci sono momenti, situazioni, persone o cose che, per un periodo più o meno lungo, riescono ad apparire eterni. Ma quando anche loro, come tutti, si scoprono inevitabilmente soggetti al trascorrere del tempo è come se si svegliassero di soprassalto, suscitando la stessa reazione su chi quei momenti, situazioni, persone o cose le ha fedelmente seguite o accompagnate.
Come quando, dopo un bel sogno, apri gli occhi e per qualche secondo ti domandi se quanto hai vissuto – o creduto di vivere – nelle ore della notte fosse vero oppure no. All’inizio provi anche a darti una spiegazione logica, quanto meno plausibile, ma dopo qualche secondo ti rendi amaramente conto che è tutto finito. Quindi non puoi fare altro che alzarti dal letto, accettare la realtà (quella vera, non quella che avresti voluto lo fosse) e iniziare la giornata cercando di mettere quanto appena sognato nel cassetto delle memorie felici.
Rafael Nadal non è stato un sogno. È stata per anni una realtà meravigliosa e leggendaria che, tuttavia, ha da poco iniziato a svanire. Il sole sta per sorgere, la sveglia squillerà tra poco e, non appena avremo aperto gli occhi, proveremo la sensazione di aver vissuto qualcosa di irripetibilmente bello. Qualcosa che però, da quel momento in avanti, apparterrà esclusivamente alla sezione dolci ricordi, destinati lentamente ad evaporare. A perdere col tempo forma, contorni e nitidezza.
L’aura del maiorchino appare oggi ancora troppo intensa e luminosa, sebbene non lo si veda calcare un campo da tennis dallo scorso 18 gennaio. L’infortunio all’anca patito durante il match contro McDonald avrebbe dovuto tenerlo ai box per 6/8 settimane, che però sono via via aumentate fino a costringerlo a saltare tutta la parte di stagione sulla terra battuta, da sempre la sua prediletta. Ultima in ordine di tempo la rinuncia al Roland Garros, annunciata in conferenza stampa, che non lo vedrà ai nastri di partenza per la prima volta dal 2004. Dal 1998 che né lui né Roger Federer parteciperanno allo Slam parigino.
“Dovrò fermarmi per diversi mesi, non ho una data definita per il rientro” – ha esordito Rafa nell’attesissima conferenza da lui stesso indetta. “Riprenderò quando sentirò di poterlo fare. Il 2024 sarà probabilmente il mio ultimo anno, voglio dire addio a tutti i tornei che sono stati importanti nella mia carriera e farlo essendo competitivo“.
Il succo di una quarantina di minuti lucidamente tristi di conferenza sta nelle righe qui sopra, insieme alla rinuncia a giocare nella capitale francese. Sono istanti cupi, dai quali l’universo tennistico non attendeva poi niente di diverso. Tutti sanno che la fine è vicina, eppure sentirlo dire in modo esplicito dal diretto interessato provoca comunque uno strano effetto. Come quando ci si sente mancare il terreno da sotto i piedi e si resta per qualche attimo sospesi, in balia delle emozioni.
Nell’immaginario collettivo la momentanea (per ora) pausa dal tennis è passata subito in secondo piano. Lo sguardo si è immediatamente proiettato al 2024, come dimostrato anche da un giornalista che ha domandato a Rafa quello che avremmo voluto chiedergli tutti: “Ma sei proprio sicuro che il prossimo anno sarà l’ultimo?”. Come un genitore che fa giocare un figlio e, quando decide di smettere, il piccolo lo supplica: “Giochiamo ancora un po’!?”.
Noi rivestiamo tutti un po’ i panni del figlio: ingenuamente irrazionale, mai contento e pronto a dare tutto per qualche secondo in più. Rafa è invece un po’ il papà – razionale, lucido e realista – che non vuole aprioristicamente escludere nessuna possibilità, ma non lascia neanche troppo spazio all’immaginazione: “Mai dire mai, ma credo sia molto complicato che il mio corpo possa proseguire oltre il 2024”.
La grandezza di un campione sta anche nel rendersi conto di quando è il momento di dire basta. Una decisione che Nadal ha certamente ponderato con attenzione, costretto controvoglia ad ascoltare un corpo negli anni dilaniato da infortuni di ogni genere che, alla soglia dei 37 anni, gli ha presentato il conto.
Se sarà l’ultima volta non è al momento dato sapelo, anche se il 22 volte campione Slam ha sicuramente altri piani. “Penso di essermi guadagnato in questi anni la possibilità di chiudere la mia carriera sul campo, non durante una conferenza stampa“ – ha dichiarato Rafa con umile e chiara franchezza. Noi non possiamo che augurarci di vederlo almeno ancora una volta con la racchetta in mano, le dita fasciate, la solita voglia di vincere e le bottigliette posizionate in modo maniacalmente preciso.
Consapevoli che, per quanto potremo essere abituati all’idea di un tennis senza Nadal, non saremo mai davvero pronti per scoprire ciò che verrà dopo.
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Asian Games, l’ossessione dei tennisti sudcoreani: Kwon distrugge la racchetta e si rifiuta di stringere la mano all’avversario
I retroscena della più importante competizione tennistica asiatica: racchette distrutte e strette di mano negate, quando l’oro vale più di una medaglia

L’Asia da prestazione. Che gli Asian Games siano per i tennisti orientali la competizione più sentita è fuori di dubbio: le migliori racchette cinesi hanno saltato i tornei della settimana per essere presenti a Hangzhou e, ancora più emblematico, vincendo l’oro i sudcoreani hanno diritto a saltare la leva militare (Son Heung-min, attaccante del Tottenham, ne sa qualcosa). Sumit Nagal – recentemente critico per le scarse finanze dei tennisti di bassa fascia – li preferisce ai tornei ATP 250 e 500: “È tutto magnifico qui, se non fosse per il cibo… (sorride, ndr)“. Tutti ne parlano, e non solo per il tennis giocato: ecco il fuoriprogramma che ha finito per diventare virale.
Dopo aver perso al secondo turno in un intenso testa a testa (3-6 7-5 3-6) con il tailandese Kasidit Samrej (n.636 del ranking), il giocatore della nazionale coreana Kwon Soon-woo (n.112) dapprima si è rifiutato di stringere la mano all’avversario e poi ha iniziato a sbattere violentemente a terra la sua racchetta, continuando a fracassarla fino a distruggerla mentre si dirigeva verso la sedia a bordo cambio. Nell’imbarazzo generale, il giocatore tailandese si è inchinato davanti agli spalti, ma – come ogni pubblico che si rispetti – l’attenzione in quel momento era tutta sul colpo di scena. Non ha tardato ad arrivare una fitta pioggia di critiche da parte dei media coreani: “Kwon dovrebbe essere penalizzato”, scrivono in molti.
La Korea Tennis Association prova a mettere una pezza, riferendo poco dopo le scuse del tennista: “Ha visitato il ritiro della Thailandia e ha chiesto scusa a Samrej aggiungendo parole di incoraggiamento per il prossimo match”. Ci riesce: niente ostracismo per Kwon, che gareggerà ora per la medaglia d’oro nel doppio maschile insieme a Hong Seong-chan. Se da una parte sembra che il tennista tailandese abbia accettato le sue scuse, la controversia in patria si spegne con più difficoltà: “Mi scuso sinceramente con tutti coloro che hanno sostenuto la competizione della loro squadra nazionale e con coloro che erano sugli spalti”, afferma Kwon. Parole che possono bastare per le scuse, meno per far riporre meno amaramente a una nazione intera la speranza di vittoria: due titoli ATP, un terzo turno al Roland Garros nel 2021 e posizione numero 52 del ranking mondiale nello stesso anno. Difficile da digerire.
Contro pronostico anche l’uscita al secondo turno del tandem indiano guidato da Rohan Bopanna – favorito per la medaglia d’oro –, battuto insieme a Yuki Bhambri dalla coppia uzbeka composta da Sergey Fomin e Khumoyun Sultanov. L’ex numero 3 di specialità si consola con una vittoria facile in doppio misto con Rutuja Bhosale. Almeno lui l’ha digerita meglio.
Tra le donne citiamo la bella prestazione della 18enne filippina Alex Eala, lo scorso anno vincitrice allo US Open junior. La numero 190 del mondo è alla quinta settimana consecutiva in campo nel tour ed è in semifinale agli Asian Games nel tabellone di singolare.
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Ljudmila Samsonova: “Una parte di me è sempre italiana” [ESCLUSIVA]
Da speranza azzurra ad allieva di Pizzorno e finalista Mille con (senza) bandiera russa: Ljudmila “Ljuda” Samsonova è già stata molte cose, e questo, forse, è solo l’inizio

Essere chiamati al doppio turno nella giornata conclusiva di un 1000 è certo un avvenimento quantomeno inusuale: e infatti a Montreal, uscita vincitrice da un match combattuto con la testa di serie numero tre, Elena Rybakina, Ljudmila Samsonova, russa, ventiquattro anni, è costretta ad arrendersi poche ore dopo a Jessica Pegula, racimolando un solo game alla sua prima finale 1000 (“fa male rendersi conto che agli organizzatori non importi nulla di noi tennisti”, ha dichiarato a margine dell’incontro).
Un torneo in cui, in fila, “Ljuda” aveva eliminato la testa di serie numero due (Sabalenka), la dodici (Bencic), e la tre (appunto Rybakina) prima di arrendersi alla quarta forza del seeding. Il lunedì 14 agosto, Ljudmila si “accontenta” della posizione numero dodici, suo best ranking. Una classifica costruita nel tempo, da quel 2013 in cui, per la prima volta, scese in campo da professionista.
Probabilmente, il momento della svolta è stata l’estate scorsa, quella del 2022: fra Washington e Tokyo, passando per Cleveland, Samsonova si porta a casa tre tornei, due 500 e un 250. Se diamo uno sguardo alle sue principali affermazioni, è facile notare una particolare predilezione per il nord America. “Entrambe le volte che sono arrivata negli Stati Uniti in quel periodo avevo la testa libera: ho come resettato da zero il periodo precedente. È forse per la mia leggerezza in quel periodo che sono venuti fuori i risultati migliori.”
Samsonova, che mentre scriviamo è numero ventidue del mondo, si trova ora a dover confermare i risultati raggiunti, iniziando dalla difesa del titolo di Tokyo. Ora, però, riavvolgiamo un po’ il nastro.
“A casa non puoi non praticare un minimo di sport” sorride Ljuda: Samsonova proviene da Olenegorsk, una cittadina della Russia europea settentrionale, dell’Oblast di Murmansk. Insomma, il polo nord non è poi così distante. Tuttavia, lo sport è arrivato fin lassù, peraltro con ottimi risultati: il padre è stato campione europeo di Ping-pong, il nonno uno sciatore. “Penso di essere stata comunque fortunata ad essere una bambina dotata per lo sport; la mia famiglia mi ha trasmesso tanto anche in quest’ambito.”
Ljudmila, però, ci risponde in italiano fluente. Fa un certo effetto apprendere come Samsonova abbia vissuto diciotto anni in Italia, e si sia sentita, in tutta la sua giovinezza, una tennista azzurra. Al compimento dei diciotto anni, avrebbe dovuto ricevere il passaporto italiano. Ciò, tuttavia, non è avvenuto, ed oggi gareggia per la Russia (o meglio, gareggiava, ora è tennisticamente “apolide” a causa della guerra in Ucraina). A quanto pare, l’ostacolo sarebbe stato la mancanza di un “reddito certo”, carenza che avrebbe impedito alla Federazione di assegnarle il passaporto. Ljudmila, insomma, avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro: una condizione spesso non richiesta da molte altre federazioni nel mondo. Da quel 2017 sono passati sei anni, e Ljudmila oggi si sente “metà e metà: ho una parte di me a cui l’Italia, quando sono via, mancherà sempre, e un’altra che è invece molto legata alle origini; essendo cresciuta in una famiglia che ha sempre tenuto molto a mantenere le tradizioni e la lingua mi sento di far parte anche di quel mondo.”
La carriera di Samsonova ha dunque preso davvero il via da quel momento; solamente due anni fa, tuttavia (era il luglio 2021) Ljuda era appena entrata in top 100, e ancora non si delineava l’exploit che l’avrebbe portata alle vette della classifica mondiale. “È stato il coraggio a permettermi di fare il decisivo salto in avanti. Il coraggio che ho avuto nel fare determinate scelte, a credere sempre in me stessa nonostante prendessi batoste in continuazione, anche da parte di chi mi fidavo: è stata la mia determinazione a farmi arrivare qui, più di tutto il resto.”
Un forte legame con l’Italia Ljudmila l’ha, comunque, indubbiamente preservato: il suo coach è Danilo Pizzorno, torinese che ha acquisito una grande importanza nel panorama italiano e internazionale per il suo utilizzo metodico e “scientifico” della videoanalisi. “Penso che Danilo, oltre ad essere il miglior coach WTA, sia anche e soprattutto una bellissima persona; dopo le esperienze che ho vissuto, cerco di guardare prima al lato umano e poi a quello professionale.”
Un circuito, quello WTA, che solo recentemente sembra incamminarsi verso una sorta di stabilità ai vertici, con il dominio di Iga Swiatek (interrotto ora da Aryna Sabalenka). Nel confronto con quello maschile, che ha vissuto di un triumvirato (ad eccezione, forse, di un effimero quadrumviro) per oltre vent’anni, non tutti vedono l’incertezza femminile come un qualcosa di positivo per la WTA. “Io invece credo che sia un bene – ci dice Ljudmila -. In questo modo c’è posto per più giocatrici: il livello si è alzato e chiunque può ambire a fare grandi cose.”
L’incertezza non è solamente tennistica: dal febbraio 2022, la guerra fredda, le cui fiamme pensavamo definitivamente spente da anni, si è riaccesa e porta con sé il pericolo di scatenare un grande incendio. Il primo focolare si è acceso in Ucraina, a causa dell’invasione russa. Come sempre, lo sport non può considerarsi del tutto scisso dalla realtà che lo circonda. È forse per quella chiamata di Hitler che il barone Von Cramm perse quella finale di Wimbledon. Riguardo a quale sia il suo ruolo in certi contesti, comunque, il dibattito è aperto e certo di non facile risoluzione.
La situazione è indubbiamente controversa: le atlete russe e bielorusse non possono più giocare sotto la loro bandiera, le loro nazionali non possono più partecipare alle competizioni internazionali. “Lo sport può mandare certi messaggi – dice Ljuda, che oltre ad essere russa è vissuta, lo ricordiamo, diciotto anni in Italia –, ma non credo possa avere un vero impatto, cambiare ciò che avviene nel mondo.”
Ljudmila ha solo ventiquattro anni; eppure ha già vissuto molto, fra l’Italia, il Polo nord e il tennis professionistico. Forse, però, il meglio deve ancora arrivare. “Il mio desiderio per il futuro è essere una persona felice e realizzata: nessun premio o classifica può essere tanto importante quanto lo stare veramente bene con sé stessi.”
Di Ljudmila “Ljuda” Samsonova, nativa di Olenegorsk, il cuore diviso fra Russia e Italia, sentiremo – non c’è dubbio – ancora parlare.
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Djokovic contro i bassi salari dei colleghi: “È un fallimento per il mondo del tennis”
Il giocatore più vincente di sempre scende dal trono per abbracciare per primo la causa comune dei tennisti oltre la top 100: l’attacco di Nole ai bassi salari

Il lavoro nobilita l’uomo. Il tennis professionistico è un lavoro. Il tennis professionistico nobilita l’uomo. Siamo sicuri? Novak Djokovic non sarebbe d’accordo. Da sempre attento ai diritti del mondo della racchetta, il campione serbo tuona sulla situazione dei salari per i colleghi al di fuori della top 100. E sì, perché né lui né Carlitos né tantomeno il nostro caro Jannik rischiano di restare con le tasche vuote: oneri e onori di aver scalato l’Olimpo del tennis e sedere sulla cima. Ma tutti gli altri?
“Sono stato al posto di tutti quei tennisti che ora hanno gravi difficoltà economiche. Capisco la loro fatica e le loro difficoltà, so i problemi che hanno nel dover pagare le trasferte, gli allenatori e i fisioterapisti”, dichiara Nole in un’intervista. “Alla fine, se non hai il sostegno di una federazione forte, avrai sempre grossi problemi. Io vengo dalla Serbia e non avevo aiuti. Ora ho una certa influenza e voglio utilizzarla per migliorare le condizioni degli altri“, asserisce convinto. Insieme al canadese Vasek Pospisil, il campione serbo è attualmente il principale esponente – oltre che fondatore – della PTPA (Professional Tennis Players Association), nata nel 2020 tra non poche critiche di divisionismo: tra le altre, quelle di un certo Roger Federer e di un altro che si chiama Rafael Nadal. Ma non roviniamo il panegirico a Djokovic, chiusa parentesi.
“Solitamente si parla di tennisti che partecipano allo US Open e che guadagnano tanto, degli altri nessuna traccia”. Ma ci sono, e sono tanti: molti di più di quelli (più) conosciuti, tifati e pagati. “Ci sono tantissimi tennisti che non riescono a guadagnarsi da vivere con il tennis: maschile, femminile o doppio. Solo quattrocento giocatori tra tutti riescono a vivere di tennis, il resto no. È una cifra bassissima per uno sport mondiale come il nostro, un vero fallimento per il mondo del tennis”, prosegue Nole. A mettere il dito nella piaga ci pensa Ons Jabeur che – coinvolta anch’ella nei progetti PTPA – sottolinea: “Prima nessuno mi prestava attenzione, ora che sono in top 10 tutti ascoltano quello che dicono. Questo non è affatto bello”. E neanche nobile, per rispondere alla domanda su.