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29/09/2011 16:59 CEST - Storie di tennis

La (dura) legge del padre

TENNIS – La riappacificazione tra Jelena Dokic e papà Damir, già anticipata da Ubitennis, è stata confermata. “Ora è molto cambiato” ha detto l’ex bambina prodigio di una delle figure paterne più ingombranti del tennis femminile. Resta in piedi la causa di Aravane Rezai contro papà Arsalan, senza dimenticare le storie passate di Lucic, Graf, Capriati. Il primo caso di questo tipo risale agli anni 40-50 Alessandro Mastroluca

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Le indiscrezioni, già anticipate dal nostro Giacomo Fazio sabato, sono state confermate. Jelena Dokic si è riconciliata con il padre, Damir, con cui aveva rotto da otto anni. “Sono andata da lui con il mio fidanzato Tin Bikic per mettere fine a tutto questo. Sono in momento molto positivo e desideravo davvero farlo perché credo sia la cosa giusta per me e per tutta la mia famiglia. Mio padre è stato molto ricettivo, credo sia molto cambiato. Ha capito che sono io a prendere le decisioni. Ora ha accettato Tin” che accusò nel 2006 di voler rapire Jelena, che ha detto di guardare con fiducia al futuro.

Ne ho dovute passare tante quando mio padre seguiva il tour. Ma ero troppo piccola e non mi rendevo ben conto di cosa stesse succedendo. Giocavo con una enorme pressione sulle spalle. A 19 anni sono finita praticamente a pezzidiceva qualche anno fa la ex bambina prodigio del tennis mondiale, nata in Jugoslavia, naturalizzata australiana nel 1994, poi tornata sotto le insegne serbe.

Jelena, che a Wimbledon 1999 da qualificata e numero 129 del mondo eliminò la numero 1 Martina Hingis al primo turno, nel 2000 a 17 anni arrivò in semifinale ai Championships e nel 2001 vinse anche il torneo di Roma, finisce in depressione e non gioca per mesi. Damir “vanta” allontanamenti coatti dai tornei di Birmingham e Wimbledon, l’espulsione dagli Us Open del 2000 per un litigio furibondo sul prezzo del salmone alla cafeteria di Flushing Meadows e le escandescenze agli Australian Open per un sorteggio pilotato ai danni della figlia.

Damir, bandito come persona sgradita dalla WTA come Jim Pierce, ex marine e padre di Mary che sottoponeva ad allenamenti certo non ortodossi, venne raggiunto dalla telefonata del giornalista slovacco Andrej Bucko della SBS dopo la vittoria sulla Chakvetadze e la qualificazione per il terzo turno agli Australian Open. “Il tennis non mi interessa più”, “ho chiamato amici comuni perché si congratulassero con Jelena da parte mia” disse Damir. Jelena arrivò fino ai quarti di finale, battendo tra le altre Caroline Wozniacki e arrendendosi solo a Dinara Safina.

Sono numerosi i casi di padri “ingombranti”. Laura Lou Kunnen, campionessa degli anni ‘40 e ‘50, rivale di Little Mo Connelly, ha vinto un processo contro il padre, Leslie Jahn, per stupro, avvenuto quando lei aveva 13 anni.

In tempi più recenti, Steffi Graf ha avuto problemi seri con Peter, allenatore e amministratore dei capitali della figlia, finito in carcere con l’accusa di evasione fiscale nel 1995. Condannato a 45 mesi di carcere, è uscito di prigione dopo 25: gli avvocati hanno fatto cadere le accuse nel 1997 dopo che Steffi ha accettato di pagare una multa di 1,3 milioni di marchi.

Il rapporto complicato con papà Stefano è alla base della ribellione adolescenziale di Jennifer Capriati, che nel 1993, dopo l’eliminazione al primo turno agli Us Open, gli grida “mi stai rovinando la vita” e abbandona il tennis per 14 mesi. In questo periodo viene arrestata per furto in un grande magazzino e possesso di marijuana.

Percosse, violenze verbali e psicologiche hanno contraddistinto il rapporto tra Mirjana Lucic e il padre Marinko, ex campione di decathlon. Votato nel 2003 il peggior padre di tennista di sempre da un quotidiano britannico, nel 1998 confessò di picchiare la figlia per aiutarla a concentrarsi. “Anche se pochi sarebbero d’accordo con me, facevo quello che credevo fosse meglio per lei”. Pochi mesi dopo Mirjana, aiutata da Goran Ivanisevic, scappò negli Stati Uniti.

Nel 2005 c’è stata un po’ di maretta anche tra Serena Williams e l’onnipresente papà Richard. La società CCKR, acronimo che racchiude le iniziali dei fondatori Carol Clarke e Keith Rodes, aveva querelato la giocatrice per la rottura di un impegno risalente al 2001 che la vincolavano a prendere parte a una “Battaglia dei sessi” contro i fratelli McEnroe per un business da 45 milioni di dollari, di cui l’80% sarebbe andato a Richard Williams. “L’unica persona ad avere l’autorità per prendere una simile decisione ero io e nessuno mi ha chiesto niente del genere. Del resto ho sempre fatto da me le mie scelte e ho firmato i miei documenti", ha testimoniato Serena. Il contratto, però, è stato firmato da Richard, che ha discusso alcuni importanti contratti di sponsorizzazione delle figlie all’inizio della loro carriera, e dalla sua compagnia “Richard Williams & Tennis Associates”. Dopo cinque anni, la battaglia legale si è conclusa: Richard è stato riconosciuto colpevole di non aver rispettato il contratto ma non condannato ad alcun risarcimento dei danni.

L’ultimo capitolo delle Guerre dei Roses in salsa tennistica, oltre alla relazione controversa e totalizzante tra Walter e Marion Bartoli, coinvolge Aravane Rezai, che ha denunciato il padre Arsalan per violenza, estorsione e minacce di morte e da mesi non parla con nessuno dei familiari.

La mia è una battaglia innanzitutto contro me stessa” ha dichiarato prima del Roland Garros, “perché per 24 anni i miei mi hanno inculcato l'idea che dipendessi solo da loro e oggi devo resistere alla tentazione di sospendere la guerra per ottenere la mia libertà di donna. Voglio essere esempio per migliaia di donne che non sono ancora riuscite a emanciparsi. E' dura e ci piango ogni giorno”.

Arsalan, accusato dalla figlia di aver ostacolato la sua volontà di trovarsi un allenatore e frequentare un ragazzo non gradito dalla famiglia, ha risposto sulle pagine del Journal de Dimanche lo scorso giugno: “Il nostro successo ha creato molte gelosie ma se avessi davvero voluto negare la libertà a mia figlia le avrei imposto un velo e libri religiosi. Ho solo cercato di proteggere i miei figli, da immigrato iraniano in un paese straniero”.

Alessandro Mastroluca

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