16/02/2013 18:09 CEST - TENNIS E LIBRI

Auguri John: McEnroe secondo McEnroe

TENNIS - Oggi è il 54mo compleanno di John McEnroe. Vi riproponiamo la sua recensione dell'autobiografia di Superbrat, "You cannot be serious", recentemente edita in Italia con il titolo "Non puoi dire sul serio".Molteplici sono gli spunti sul tennis attuale e su quello passato: dal magico Super Saturday dello Us Open 1984 e la rivalità con Bjorn Borg. Enos Mantoani

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John McEnroe
John McEnroe

Contravvengo ai miei primi propositi (recensire libri italiani di qualche tempo fa per riscoprirli) facendo un’eccezione succulenta. M’hanno graziosamente regalato "Serious" di John McEnroe, in lingua originale: autobiografia scritta nel 2002 con, o meglio, da James Kaplan (giornalista, sceneggiatore e scrittore). Ho notato che nessuno ne ha scritto in questo sito perciò pensai, come avrebbe detto un mio avo: chi non peccherebbe?

Questa è l’edizione inglese; quella americana ha un altro titolo: You cannot be serious. Titolo non esattamente originale; curiosità: chi di voi sa davvero quando fu pronunciata questa frase? Per chi non lo sapesse era martedì 23 giugno 1981, Mac e Tom Gullikson sono in campo, sul campo 1, per un match di primo turno a Wimbledon, 1-1 nel primo set, 15-40 servizio McEnroe.

Insomma, signori, come si fa a resistere dal leggerla? E come si fa a desistere dal raccontarla quando se ne ha la possibilità (non dico le capacità)? Tanto più che non mi risulta tradotta in italiano (ma potrei sbagliarmi: attendo vostre eventuali rimostranze). Tra l’altro proprio in questi giorni (scrivo durante e poco dopo gli US Open 2011) c’è stata una sorta di battibecco tra il commentatore McEnroe e Andy Roddick. Cos’è successo? Semplicemente che Roddick, dopo il primo turno agli US Open, s’è rifiutato di farsi intervistare se John si fosse anche solo presentato nello studio ESPN. Questo perché McEnroe si era permesso di criticare il gioco di Andy durante lo scorso Wimbledon e per un altro paio di commenti in generale sui giocatori attuali. Roddick nell’intervista poi parlò anche dei commentatori sportivi e del tennis, dicendo che è il lavoro più facile del mondo e che ognuno può essere un esperto. Anche noi di Ubitennis, aggiungo io…

Si sono poi ovviamente susseguite le dichiarazioni di stima dei due uffici stampa, ma questa volta John si è astenuto dal fare polemiche (e soprattutto dal presenziare all’intervista). Negli ultimi tempi Roddick sta un po’ deludendo dal punto di vista comportamentale, fuori e dentro il campo. Già ne scrissi (curiosamente intitolando Super Brat Andy) dopo la partita contro Cipolla a Madrid 2011 e che potete rileggere qui: la sensazione è che l’ex numero uno degli USA sia decisamente sotto pressione. Ad ogni modo, questa è un’altra storia…

Tornando alla biografia: visti i numerosi spunti di riflessione che sono sorti sul tennis attuale e su quello passato divideremo questo pezzo in due, sperando di interessarvi un po’: Ecco gli spunti sorti, leggendo il testo, sul mondo del tennis attuale:

1. Volevo anche iniziare questa recensione così:

Ho letto l’autobiografia di un famoso tennista americano, scritta molto bene più che altro da un professionista della scrittura. Questo giocatore era uno che sin da giovane cercava di andare contro l’estabilishment ingessato del tennis della propria epoca soprattutto con il comportamento e a Wimbledon trovava il suo palco principe; fu uno dei primi ad avere contratti e sponsorizzazioni (anche con una nota marca di vestiti americani che ha uno swoosh come logo), che è passato attraverso alcuni periodi di crisi tennistica (tanto da ritirarsi per qualche tempo per riprendere la “voglia” di giocare e per allenarsi meglio). Fece uso di droghe, si sentiva molto solo e vuoto nella sua vita personale e nel circuito anche se era al top delle classifiche e solo dopo un matrimonio fallito con una nota attrice e altre storie minori ha trovato una donna (famosa pure lei) con la quale sentirsi finalmente “realizzato e felice”. Dopo aver appeso la racchetta professionistica al chiodo ha trovato occupazioni che ancora lo mettono sotto i riflettori e spesso lo si vede comunque a esibizioni tennistiche che richiamano sempre molti spettatori: di chi sto parlando? Nossignori non è Agassi, ma McEnroe.

Insomma, questo per dire un paio di cose: che ultimamente le biografie dei tennisti sono molto migliorate dai tempi di Tracy Austin grazie agli scrittori che le rendono decisamente godibili, nello specifico, sembra davvero di sentire John o Andre parlare, nel senso che lo stile adottato si avvicina molto al personaggio che si racconta (quella di Agassi più di quella di McEnroe).

Sembra quasi che l’autobiografia di McEnroe sia la sorella maggiore di quella di Agassi, e non solo dal punto di vista della trama, come sopra ho raccontato), ma anche come tipologia di prodotto editoriale.

Curiosità: ultimo match in singolare di John a Wimbledon fu proprio contro Agassi nell’anno in cui Andre vinse il suo primo Slam; va da sé che McEnroe sostiene che fossero proprio i consigli che diede ad Andre qualche settimana prima a far vincere il Kid di Las Vegas.


2. Super Saturday. McEnroe parla del primo Super Saturday agli US Open (8 settembre 1984). Lui stesso andò in campo alle sette di sera dopo che Lendl aveva sconfitto Cash in cinque set e Martina Navratilova battuto in tre set la Evert in finale. John invece affrontava il suo vero nemico di sempre: Jimmy Connors. Anche McEnroe vinse al quinto: era quasi mezzanotte. Il giorno dopo non riusciva a camminare, Ivan negli spogliatoi faceva fatica a piegarsi per toccare le punte dei piedi… Da allora non è che gli organizzatori abbiano saputo migliorare le cose, visto che anche quest'anno le discussioni si sono sprecate… Certo, se già da allora i giocatori avessero fatto più pressioni, chissà…Per inciso: che sabato di tennis quello!!!!!


3. Quando si ritirò Borg (praticamente subito dopo la finale US Open del 1981, ufficialmente qualche tempo dopo: si vede il bell'articolo nel 30esimo anniversario dell'ultimo torneo vinto dallo svedese, John non aveva più punti di riferimento. Sia dal punto di vista sportivo, sia, in un certo senso, da quello umano. In effetti, Borg fu in un certo senso un mentore per McEnroe, e in campo era uno dei pochi a riuscire un po’ a calmarlo (mi ricorda la vicenda Sivori-John Charles, il Gigante buono). Fin da quando s’affacciò tra i pro, McEnroe aveva in Borg l’Orso da battere; insomma, faceva corsa su di lui… Rimasto solo, gli stimoli scemarono; per qualche anno non sapeva più dove girarsi per cercare qualcuno da battere, certo, rimaneva lui stesso: l’avversario più difficile per tutti, il proprio Io…

Perciò mi chiedo: cosa succederà quando si ritirerà Roger? E Rafa? Che cosa farà Nole? Alla fine penso sia proprio quello che sia successo a Nadal e a Wimbledon e a Flushing Meadows: quando in finale s’è visto negli spogliatoi Djokovic son sicuro abbia detto tra sé e sé: “Ehi, un momento, dov’è quel vecchietto svizzero che di solito trovo in questi lidi?”. E durante la partita si sarà certo detto: “Ma com’è che il mio gioco non fa più male a questo giovanotto?”. Ed è quello che avrà pensato qualche anno fa Federer. Ed è quello che pensò McEnroe quando con Sampras diciannovenne pensava bastasse stare un po’ più dietro per batterlo (in realtà gli era accaduto anche prima con Becker, Lendl e altri): “It’s never possible to be prepared when the future takes over from the past”. È impossibile essere preparati quando il futuro sopravanza il passato, chiosa Johnny…

ecco gli spunti sulla vita di John legati al passato e all’analisi del libro in sé...

Riassumo brevemente la vita di John extra-tennis.

Dopo un primo matrimonio abbastanza disastroso con Tatum O’ Neal (attrice americana, famosissima da bambina e figlia d'arte) dalla quale ebbe tre figli, si è risposato con Patty Smyth (da non confondersi con la quasi omonima super-star del rock; sebbene anche questa Patty Smyth sia famosa come cantante); anche da Patty Smyth ha avuto due figli, a cui aggiungerne un altro che Patty ebbe da una precedente relazione. Dopo la carriera tennistica John ha intrapreso attività legate al tennis (capitano di Davis, commentatore per le tv americane e inglese), ma anche extra (dagli esiti alterni): chitarrista, mercante d’arte, conduttore tv e chissà cos’altro… Alla fine dell’autobiografia stava meditando di entrare in politica… Inquieto…

1. La solitudine dei numeri primi. Sgombriamo dubbi di storie di infanzie infelici: John ebbe una famiglia ottima alle spalle (anzi, povera mamma: vi immaginate essere la mamma di McEnroe che a ogni cosa che gli diciate lui risponde: "you cannot be serious" o amenità del genere: scherzo, disse che spesso invece si vergognò, col senno di poi, di quanto asino sia stato con lei). Insomma, i suoi lo spinsero, ma non lo tormentarono con il tennis. Lui fu comunque anche da piccolo piuttosto ribelle, o meglio, io lo definirei autonomo e in un certo senso, solitario…Non fu però una solitudine cercata se non fino a un certo livello. Quello che non fece il suo carattere lo fece il mondo del tennis. Ad esempio non ebbe quasi mai allenatori o un entourage allargato quando era in auge! Un po’ perché all’epoca non usava (sarebbe stato eccentrico vedere un clan Djokovic o un clan Nadal), un po’ perché non riusciva a lavorare con altri (soprattutto gli altri non riuscivano a lavorare con lui, temo)… Nei primi anni si accompagnava agli altri tennisti; con alcuni dei quali fece amicizie durature, altri addirittura lo svezzarono sotto diversi punti di vista (Borg, ma soprattutto Vitas Gerulaitis)

2. Il suo comportamento: non che si scusi, per carità, però John dà un'interpretazione ai suoi celeberrimi atteggiamenti. C'è da dire che ormai, forse come allora, non si è molto obiettivi nel ricordare com'era e quello che faceva in campo perché a un certo punto la cronaca si fa mito. Lui stesso dice di rendersene conto, di sapere di non essere stato Arthur Ashe, ma ne cerca anche le spiegazioni. Più o meno tutto il libro verte su questo lato del suo carattere, a partire dal titolo. Non lo faceva né per procurarsi dei vantaggi, né per provocazione, né per ostentazione. Dice semplicemente che gli scattava un qualcosina n testa e si aprivano le bocche dell'inferno... Se avesse saputo domarsi un po' forse avrebbe vinto partite che invece gettò al vento (una su tutte, finale Roland Garros '84); però non sarebbe stato John McEnroe! Dice anche, e credo sia la verità, che era un business per tutti: per gli organizzatori, per gli arbitri, per gli spettatori, per gli altri giocatori.

Ha e aveva comunque il senso e il rispetto per la storia, contrariamente a quanto si pensi; un esempio su tutti, ricorda che fu Don Budge in una telefonata a suggerirgli come giocare contro Lendl. Era reduce da un filotto niente male di sconfitte contro Ivan il Terribile. Donald gli consigliò di smetterla di dare angoli a Ivan per i suoi passanti. Da quel momento fu lui a rendergli una sequenza di vittorie... Poi Ivan lo sopravanzò ancora, soprattutto sul piano fisico! Di certo, quello che non sopportava, erano i provilegi accordati a qualcuno (parlo soprattutto di Wimbledon, dell'etichetta formale, o del Queen's e delle regole asfissianti e per lui, giovanotto americano degli anni '70del XX secolo, ormai un cumulo di ipocrisie insopportabili). Però, però... Ricordiamoci che è un'autobiografia, ergo, ognuno tira l'acqua al suo mulino...Per capirne un po' di più consiglio la lettura del bel libretto: Essere John McEnroe di Tim Adams edito nel 2005 da Mondadori. Adams spiega il personaggio McEnroe e quello che ha rappresentato per moltissimi.

3. Ancora sul suo carattere. Diciamocelo: chi, al giorno d'oggi, non fa il tifo per McEnroe? Chi può permettersi di dire che lo detesta? È una di quelle cosa che tra gli appassionati di tennis non si può dire; un tabù, insomma... Questo oggi, naturalmente! All’epoca aveva il particolare dono di farsi odiare dal pubblico (e dai giornali) che all’inizio del match praticamente era tutto per lui e alla fine lo fischiava sonoramente! Per capirsi, il New York Times una volta lo etichettò come “the worst advertisement for our system of values since Al Capone” (la peggior immagine del nostro sistema di valori dai tempi di Al Capone). A differenza di Connors: il quale, pur essendo discolo come lui, lo era in maniera totalmente diversa e sapeva trascinar dietro a sé le folle (soprattutto alla fine della sua carriera). Lui non riusciva a farsi amare dagli spettatori, anzi; quello che rivediamo delle sue sceneggiate ora lo rivediamo con disincanto, con affetto, come la testata di Zidane: ma lì, sul momento, a caldo, John sapeva farsi proprio detestare anche dal pubblico. Al contrario di Connors o Nastase, lui non rideva né faceva ridere. Come si può d'altra parte odiare uno che giocava in quel modo, che ci metteva quella passione, che affrontava, nel bene o nel male e bene o male, la sua vita senza nascondersi dietro chicchessia! Questo gliene va dato atto... Sono proprio curioso di sentire come la pensate voi…

4. La Davis: conosciamo tutti il rapporto che ebbe con la squadra del suo Paese. Ne scrissi anche su questo sito. John ci tiene e ci teneva molto e anche questo aspetto lo allontanava da Connors. Sono molti gli episodi che ricorda. E pensare che per due anni, per non aver accettato di firmare un documento che la Federazione americana pretendeva (un codice di autoregolamentazione), saltò diversi incontri che lo avrebbero portato ben più in alto come recordman assoluto. Forse non aveva la stoffa del capitano di Davis (cosa che il fratello, invece, ebbe in abbondanza), ma anche così fece buoni risultati (certo, avere Sampras e Agassi in squadra aiuta un pochino); l'ultimo match poi lo giocò in doppio con Pete facendogli uscire dall'animo un po' della furia agonistica tipica di John! Straordinario...

5. Droga e doping. Argomento sempre delicato. John sostiene di aver fatto uso di droghe leggere, leggasi marijuana, e che nelle scorribande con Vitas e Borg, probabilmente circolava anche qualcosa di più dell'alcool o di qualche spinello... In una intervista del 2000 ammette anche l'utilizzo di cocaina, negando sempre che queste sostanze lo abbiano aiutato nel suo gioco. I tempi erano quelli, le leggi non c'erano o comunque non erano severe. Di doping dunque non ne parla. Parla di come lo avessero accusato di doping quando dopo circa sette mesi di rinuncia alle competizioni per ritrovare la voglia si presentò con un corpo trasformato: lui dà la colpa a un eccesso di allenamento e basta (e di scarsi risultati). C'è da dire che di droga si parla spesso in questo libro anche in relazione alla ex moglie, la bella Tatum, la quale aveva sviluppato una seria dipendenza a diverse droghe, ma anche ad anti-depressivi (tanto che poi i figli vennero affidati a John). Nelle polemiche seguite alla pubblicazione dell'autobiografia, tra altre cose, la moglie denuncia anche l'ultilizzo da parte di John di steroidi. Forse non sapremo mai la verità, ma dei dubbi su quel periodo paiono quantomeno leciti, e non solo su John...

6. Chicche. Il libro si chiude con 10 suggerimenti di John su come migliorare il tennis di oggi (ve li risparmio), ma soprattutto con 25 aneddoti davvero niente male. Quello che mi piace di più è questo: John aveva sempre con sé una chitarra per gli attimi liberi; a Wimbledon 1982 stava nella sua camera strimpellando quando bussa alla porta David Bowie per invitarlo a bere qualcosa nella sua camera: “Solo non portare la chitarra, mi raccomando”, chiuse l’invito...

Nota personalissima: se c’è una cosa extra-tennistica che invidio a McEnroe è una e una sola (vabbè, oltre ai soldi): aver conosciuto Bob Dylan! Che ci volete fare, contro i sogni di gioventù non ci si può far nulla… (attendo a testa alta i vostri commenti sprezzanti a riguardo!)

7. Impressione finale: alle volte i libri sono come le persone, più di quello che vedi ti colpiscono le sensazioni. È un libro scritto bene, in prima persona, con il piglio che uno si aspetterebbe da McEnroe, ma che alle volte dà l’idea dell’autoassoluzione, ma attenzione: mai dell’autocelebrazione; McEnroe avrà, lo dice lui stesso, un ego smisurato, ma non mi sembra uno che si gonfia troppo a sproposito. Parlando di ego, dice, giustamente, che per essere al top di uno sport individuale come il tennis è impossibile non avere un ego smisurato; che alle volte si veda (Connors) e altre volte no (Borg?) è un altro paio di maniche. Non è un male né un peccato. Alle volte magari è dettato dalle circostanze e da chi vi circonda. Sposando questa tesi sostengo che anche uno come Federer abbia un ego molto accentuato, e perciò certi errori, col senno di poi e da questo divano (seppur scomodo), si spieghino anche con questo aspetto del carattere di Roger. Anche se penso Roger abbia avuto abbastanza umiltà tennistica da cercare aiuto in alcuni coach. Di Nadal e Djokovic non dico nulla, si vede lontano un chilometro quanto il loro “ego” sia spiccato, sebbene siano due “ego” diversissimi tra loro.

Concludo ribadendo un concetto già espresso: è la verità quella che racconta John? I dubbi sono forti, certo, però è una visione della realtà molto molto vicina a quello che uno si aspetterebbe se potesse entrare nel cervello di McEnroe..

Enos Mantoani

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