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05/10/2011 15:10 CEST - IL RITIRO

Arrivederci Dinara Safina

TENNIS - Manca ancora l'annuncio ufficiale, ma dopo le parole del fratello Marat, sembra ormai certo che la carriera di Dinara Safina, numero uno del mondo per 27 settimane e 3 volte finalista Slam, sia giunta al capolinea ad appena 25 anni. Il suo fisico le ha concesso appena un anno e mezzo di rendimento al top. Roberto Paterlini

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“Solo la sorella di Marat”, si diceva un tempo, credendo che non sarebbe riuscita a diventare altro, con ventidue anni suonati, pochi risultati di vero rilievo e un tennis drammaticamente monocorde e allo stesso tempo scostante. “Un giorno sarò io ad essere ricordato come il fratello di Dinara” fece notare però proprio lui, il tennista più famoso di Russia, ben prima che la sorella facesse finali Slam e diventasse numero uno del mondo, forse per quella protettività che i fratelli maggiori si dice abbiano sempre nei confronti delle sorelle minori, o forse per lungimiranza. Entrambe le frasi, alle lunghe, si sono rivelate sbagliate, sproporzionate, e anche se manca l’ufficialità di una dichiarazione della diretta interessata, la carriera di Dinara Safina resterà ormai, probabilmente per sempre, sigillata tra l’una e l’altra. La russa è stata ben altro che la sorella di suo fratello, numero uno del mondo per 26 settimane (17 in più di Marat), vincitrice di 12 titoli in singolare sul circuito maggiore tra i quali i Premier Mandatory/Five di Roma, Madrid, Berlino, Canada e Tokyo, medaglia d’argento olimpica e finalista tre volte in un Major; ma proprio la mancanza di un grandissimo trionfo, e lo scomodo ruolo – diviso con Jankovic e Wozniacki – di numero uno senza Slam, fanno sì che sia stata considerata negli anni quasi un’intrusa – uno dei simboli ambulanti della malattia del tennis femminile e del disinteresse delle Williams - e di altra categoria rispetto al fratello.

Dinara avrebbe meritato almeno uno dei tre titoli dello Slam persi in finale, e non solo perché oggi il suo personaggio e la sua sfortuna intristiscono e inteneriscono, ma perché, con il senno di poi, ci si rende conto che è stata probabilmente una tennista più forte - o almeno alla pari - sia di Ana Ivanovic che di Svetlana Kuznetsova, le due giocatrici che l’hanno battuta a Parigi nel 2008 e nel 2009. Avrebbe meritato il primo titolo al Roland Garros per le maratone – con match point eliminati – contro le connazionali Sharapova e Dementieva, quanto ancora nessuno la credeva di quel livello e dopo aver vinto a gran sorpresa il Tier I di Berlino (sconfiggendo la regina della terra battuta, Justine Henin, nell’ultimo incontro della sua prima carriera); ma soprattutto avrebbe meritato il secondo, al termine di una stagione sul rosso che l’aveva vista dominare i tornei di Roma e Madrid (più la finale a Stoccarda) e perdere appena 5 game sino ai quarti a Parigi.

Lasciando perdere l’Australian Open del 2009 e i 3 giochi striminziti che una Serena Williams straordinaria le concesse, pensando a quelle finali ci si rende conto che ad accumunare davvero Dinara e Marat sono stati la fragilità fisica e quella mentale, in entrambi i casi più drammaticamente per Dinara, forse anche perché il fratello, più dotato di puro talento tecnico, in certi momenti di furore coincisi per sua fortuna con i due (pochissimi, comunque) titoli dello Slam vinti è stato in grado di soffocare le proprie paure e la propria discontinuità con un tennis talmente straordinario da permettergli di battere Federer e addirittura dominare Sampras.

Per una tennista con il gioco di Dinara, fatto di potenza e solidità, la fragilità mentale, a partire dalla semantica dei termini, è stata il più imperdonabile dei difetti, e non a caso resterà emblema della sua carriera il doppio fallo sul match-point della finale di Parigi 2009, la sua seconda di servizio che si impenna sul nastro e poi esce, in quel sabato pomeriggio uggioso e pieno di lacrime. Di pari passo, per una giocatrice muscolare e “di forza”, la delicatezza del corpo è risultata in questo caso deleteria, e l’infortunio, anzi il calvario iniziato al Master del 2009 – si ritirò al primo incontro di Round Robin, per la prima volta a causa di problemi alla schiena, rinunciando alla possibilità di chiudere la stagione in testa alla classifica – e parso di volta in volta più grave, sembra infine essere riuscito a sconfiggere quella tenacia che l’aveva vista partecipare, quest’anno, persino a tornei ai quali una giocatrice della sua caratura non sarebbe stata normalmente interessata.

“Lunedì tornerò in Germania per controllare di nuovo la mia schiena,” riportano le ultime laconiche parole di Dinara sul suo sito web, datate 30 Settembre. “Sfortunatamente non so se e quando ritornerò.” Più esplicito, proprio Marat ha invece dichiarato: “Dinara ha bisogno di riportare la sua schiena alla normalità in modo da camminare e vivere normalmente. Continuerà a curarsi ma non giocherà più. Farà un annuncio ufficiale ma come suo fratello credo che non ci siano possibilità di ritorno.”

Dopo aver terminato il 2009 al 2° posto in classifica, alla fine di un 2010 a dir poco accidentato dall’infortunio, Dinara chiuse la stagione numero 62 del ranking. Di questo 2011 il solo capitolo che resterà indelebile è purtroppo il doppio 6-0 subito per mano di Kim Cljisters al primo turno dell’Australian Open, l’unico patito da una ex numero uno a livello Slam nell’era Open, e altre pesantissime sconfitte (1 game contro Bartolì a Horbat, 2 con Sharapova a Indian Wells), sino all’ultimo torneo, a Madrid. Ripercorrendo la sua carriera, ci si rende conto che il fisico le ha concesso davvero appena pochi mesi ai più alti livelli - dalla primavera del 2008 all’autunno del 2009 - e che con un po’ di tempo in più, vista anche la situazione così frammentata e discontinua del tennis femminile, e pensando ad altre che hanno faticato prima di imparare ad affrontare certe situazioni – Kim Cljisters su tutte - verosimilmente anche lei sarebbe riuscita a vincere uno o più grandi tornei, e forse a trasformare davvero Marat solo in suo fratello.

Roberto Paterlini

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