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12/10/2011 17:50 CEST - L'ARGOMENTO

A un passo dalla gloria

TENNIS - Dopo esserci dedicati agli "One Slam Winners", proviamo ad elencare i più forti giocatori a non aver mai vinto una prova del Grande Slam. Talenti sopraffini, spesso molto amati dal pubblico, mai capaci di sigillare un "Major". Da Marcelo Rios a Mary Joe Fernandez, passando per i "contemporanei" Wozniacki e Murray, abbiamo stilato la nostra top 10. Voi cosa ne pensate? Massimiliano Di Russo

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Nello sport, tennis compreso, c’è una regola alla quale è impossibile sottrarsi: il risultato. Eppure ci sono atleti che, pur senza vincere guerre, partendo da una scintilla hanno scatenato un incendio che li ha elevati nell’immaginario comune al rango di re, seppur senza corona. Di esempi ce ne sono molti, basti pensare a Gilles Villeneuve o Ronnie Peterson nella Formula 1 o Charles Barkley e John Stockton nell’Nba, per non parlare della Nazionale di calcio olandese bella e perdente degli anni ’70. E nel tennis? Se si prendono come punto di riferimento i quattro Slam, intesi come massima realizzazione sportiva professionale insieme alla vetta dei ranking Atp e Wta, possiamo notare come vi sia una vasta corte dei miracoli composta da tennisti distanti tra loro anni luce per carattere e stile di gioco ma accomunati da quel successo a volte sfiorato, altre assaporato, sempre sfuggito. Qui, memori delle volte in cui sui banchi del liceo si tifava Troia e si piangeva Ettore, si vuol ricordare con affetto una manciata di tennisti che ci hanno insegnato quanto nello sport i dolori contino quanto le gioie.

Marcelo Rios
Lui nell’anno di grazia 1998 sullo scranno più alto si è assiso per davvero, quando raggiunse il primo posto nel ranking Atp grazie alle vittorie a Indian Wells e Miami e alla finale persa a inizio anno in Australia contro il Korda in odore di doping che lo surclassò sia sul piano fisico che su quello tattico. Il tennista cileno, nonostante all’epoca avesse solo 22 anni, non si avvicinerà mai più alla vittoria di uno Slam, fatto imputabile tanto a una fragilità fisica che mal si confaceva con la resistenza necessaria per poter affrontare un torneo al meglio dei 3 set su 5, quanto a una certa allergia al pensiero razionale che ha fatto le fortune di gente infinitamente meno talentuosa del “Chino”. Nella sua carriera pesa come un macigno la sufficienza con la quale ha approcciato i campi di Wimbledon, a suo dire più idonei al pasto di una mucca piuttosto che al gioco del tennis. Risultato: tre sole partecipazioni e un ottavo di finale raggiunto e perso malamente contro Boris Becker come miglior prestazione. Di lui ci resta il meraviglioso quarto di finale disputato e perso agli Us Open del 1997 contro Michael Chang e la cavalcata in Australia dell’anno successivo, quando sembrava che il tennis avesse trovato un nuovo padrone.

Caroline Wozniacki
Statisticamente la tennista danese occupa in questa classifica un posto di riguardo, in realtà permangono molti dubbi sul fatto che effettivamente meriti di essere considerata tra le migliori giocatrici che non abbiano (ancora?) mai vinto uno Slam. Saldamente al primo posto in una classifica che conta attualmente tra le prime dieci tenniste solo due (Sharapova e Clijsters) plurivincitrici Slam e tre che hanno vinto in carriera un solo major e per di più quest’anno (Li, Kvitova e Stosur), vanta una finale agli Us Open persa nel 2009 contro la rientrante Clijsters e qualche piazzamento. La ragazza si farà, in fondo ha solo 21 anni, ma la discrepanza tra quello che ha ottenuto negli Slam e il suo ranking attuale non può che essere considerata lo specchio dell’attuale momento del tennis femminile. Una migliore programmazione potrebbe essere un buon viatico: tornei come quelli di Bruxelles , Eastbourne e New Haven , giocati a ridosso degli Slam, sottraggono energie importanti in vista di impegni più adatti alle ambizioni di una tennista del suo (relativo?) valore.

David Nalbandian
Carriera a tinte forti quella del “Gordo”, bravo nel 2002 a sfruttare a Wimbledon un tabellone favorevole e a presentarsi a soli 20 anni in finale contro un Lleyton Hewitt ingiocabile. “E’ ancora presto per lui” si diceva, lasciando sottendere un futuro roseo per il tennista di Còrdoba. Niente di più sbagliato: tra l’avvento di Federer e vari infortuni non riuscirà a superare lo scoglio delle semifinali in tutti i tornei dello Slam, coltivando grandi rimpianti contro Roddick agli Us Open del 2003 e Baghdatis in Australia nel 2006. Oggi, alla soglia dei 30 anni, sogna la Davis e naviga lontano dalle partite che contano.

Andy Murray
Fresco vincitore dei tornei di Bangkok e Tokyo, avrebbe tutto per poter vincere (almeno) uno Slam a parte forse una guida tecnica che lo indirizzi verso un gioco più aggressivo. A 24 anni vanta un curriculum sulla carta di tutto rispetto, con 20 tornei vinti e tre finali Slam disputate, ma sono proprio queste ultime a lasciare perplessi per il modo in cui sono sopravvenute. Troppo passivo e rinunciatario perché potesse trattarsi di un problema esclusivamente tecnico, si è consegnato per due volte a Federer e una a un Djokovic dall’atteggiamento totalmente diverso e in piena rampa di lancio. Nulla è perduto, Federer e Nadal non sono eterni e dopo Djokovic c’è lui, così come all’orizzonte non si intravedono extraterrestri (ma occhio agli stabilimenti Dimitrov, dove tutte le macchine iniziano a funzionare a pieni giri). Va aggiunto che quest’anno lo scozzese, pur senza strafare, a livello degli Slam ha ottenuto risultati di tutto rispetto con tre semifinali e la già citata finale in Australia persa contro Djokovic. In un’epoca in cui vincere tutti e 4 gli Slam non è una chimera, lo scozzese potrebbe scrivere una parte importante di questo sport. A patto che inizi a vincerne uno.

Elena Dementieva
Povera Elena, con tutti quegli infortuni e quel servizio un po’ così. Finalista nel 2004 al Roland Garros e agli Us Open, ha perso entrambe le partite contro Anastasia Myskina e Svetlana Kuznetsova, all’epoca debuttanti in partite di questa importanza. Forse avrebbe meritato un’altra occasione, d’altro canto la capacità di adattarsi su tutte le superfici e di esaltarsi negli Slam ricordava per certi versi il miglior Nalbandian, invece l’anno scorso ha annunciato il ritiro dalle competizioni a 29 anni dopo la partita persa al Masters di Doha contro Francesca Schiavone. Proprio contro la Leonessa si era infortunata durante le semifinali del Roland Garros dello stesso anno, perdendo l’ultimo treno di una carriera che ha toccato l’apice con una sentitissima medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi di Pechino ma priva di un acuto nel Tour.

Tim Henman
Quando nel 2004 Henman si trovò a condurre per 6-3, 4-2 su Coria durante le semifinali del Roland Garros, sembrava potesse verificarsi un evento straordinario: il tennista inglese che aveva dedicato tutta la sua carriera alla ricerca della vittoria nel torneo di casa che lo aveva visto frequentare i campi in erba fin da quando si trovava ancora nel pancione della madre, d’un tratto intravedeva il traguardo dello Slam per certi versi “sbagliato”, quello meno adatto alle caratteristiche d’attacco che lo avevano sempre contraddistinto. Non per questo il buon Tim si era mai permesso di snobbare la terra battuta, troppo signorile e corretto per dimenticare le sacre regole dello sport, tuttavia per ottenere un risultato di rilievo era evidente che un tipo come lui avrebbe avuto bisogno di un tabellone favorevole, cosa che accadde proprio nel 2004. Sarebbe stata una bella storia di sport, la realtà dice invece che Coria vinse in rimonta per poi infortunarsi e perdere in finale contro il connazionale Gaudio. Si diceva di Wimbledon: quando cogli quattro semifinali e altrettanti quarti e difficile non fiutare un feeling particolare, quasi sovrannaturale tra l’officiante e il Tempio. Ma quelli, per sfortuna di Tim, erano gli anni di Sampras. E quando Pete passò la mano qualcosa di sovrannaturale accadde davvero, con la vittoria di Ivanisevic in finale su Rafter e in semifinale proprio su Henman, in una partita interrotta due volte per pioggia e terminata al quinto set. Tornerà l’anno successivo, ma questa volta sarà Hewitt, futuro vincitore del torneo, a negargli la gioia della finale. Il 2004 sarà l’ultimo giocato ad alti livelli negli Slam, con le succitate semifinali raggiunte al Roland Garros e ancora una finale negatagli, questa volta da Federer, agli Us Open. Quasi un destino, quello di consacrare il percorso dei futuri campioni.

Miloslav Mecir
Variabile impazzita del tennis degli anni ‘80, “Gattone”, come fu soprannominato da Gianni Clerici a causa dei modi sornioni che lo contraddistinguevano, si aggirava con passo indolente nel circuito preoccupandosi come un professore di chimica alle prese con qualche esperimento. Sebbene questo l’avesse condotto alla scoperta della formula per sconfiggere il plotone di tennisti svedesi che in quegli anni presidiava il circuito, non vincerà mai uno Slam nonostante le due finali disputate e perse contro Lendl agli Us Open nel 1986 agli Australian Open nel 1989. Indimenticabile la sconfitta patita contro Edberg durante la semifinale a Wimbledon nel 1988: nonostante fosse in vantaggio di due set e un break nel quinto, fu il tennista scandinavo ad andare in finale e vincere i suoi primi Championships. Martoriato da problemi alla schiena, si ritirerà a soli 26 anni dopo aver vinto una manciata di tornei, la medaglia d’oro olimpica a Seul nel singolare e la medaglia di bronzo nel doppio.

Pam Shriver
Nonostante gli innumerevoli successi ottenuti in doppio, compresi dieci titoli Slam conquistati in coppia con Martina Navratilova, Pam Shriver ha conseguito risultati di assoluto prestigio anche in singolare dove nel 1978 ha disputato a sedici anni una finale agli Us Open (sconfitta da Chris Evert) e una manciata di semifinali in Australia e a Wimbledon, toccando nel 1984 la terza posizione del ranking Wta. A suo agio sulle superfici veloci, partecipò in singolare solo un paio di volte al Roland Garros dove ottenne come miglior risultato un terzo turno.

Alex Corretja
Quando nel 1998 fu sconfitto da Carlos Moya nella finale del Roland Garros, destò scalpore il modo in cui Alex Corretja andò a complimentarsi con il connazionale: eccesso di fair play o profondo senso di amicizia che fosse, resta il fatto che nessuno era preparato alla visione di un atleta che pur perdendo esulti con sincera partecipazione insieme al rivale. Eppure il tennista catalano finchè ha giocato nel Tour non ha mai smesso di comportarsi con profondo rispetto nei confronti degli avversari senza che questo ne compromettesse la cattiveria agonistica: proprio contro Moya nello stesso anno fu in grado di rimontare due set di svantaggio prima di aggiudicarsi al quinto il Masters di Hannover. Nel 2001, dopo i quarti disputati nei due anni precedenti, tornò in finale a Parigi dove fu sconfitto da Guga Kuerten, mentre l’anno successivo si arrese in semifinale contro il futuro vincitore Albert Costa. Sicuramente più a suo agio sulla terra battuta, nel 1996 disputò una partita memorabile nei quarti di finale degli Us Open, quando si arrese a Pete Sampras nel tie break del quinto set dopo aver avuto un match point.

Mary Joe Fernandez
Faceva tenerezza Mary Joe, così minuta eppure così determinata. I primi anni ’90 erano anni duri, difficile emergere quando nel grande acquario della Wta si aggiravano predatori del calibro di Steffi Graf, Monica Seles e Arantxa Sanchez. Eppure questo soldatino capace di far girare la testa a David Wheaton riuscì per due volte a raggiungere la finale degli Australian Open, sconfitta guarda caso nel 1990 da Steffi Graf e nel 1992 da Monica Seles, e nel 1993 l’atto conclusivo a Parigi dove fu battuta ancora dalla Graf. Si spinse fino alle semifinali in tutti gli Slam ma per alzare un trofeo importante dovette affidarsi al doppio, che gli permise di conquistare un Australian Open, un Roland Garros e le Olimpiadi di Barcellona e Atlanta. A testimonianza della grande abnegazione che metteva quando giocava, ricordiamo la vittoria ottenuta contro Gabriela Sabatini nei quarti di finale del Roland Garros del 1983 quando, dopo aver perso il primo set e recuperato da 1-5 nel secondo, si aggiudicò il match con il punteggio di 1-6, 7-6, 10-8.

Meritevoli di citazione sono Henry Leconte, genio e sregolatezza dal fisico di cristallo capace di raggiungere la finale del Roland Garros nel 1988 e poco altro se si pensa all’enorme talento spesso lasciato inespresso; Robin Soderling, unico per il momento in grado di estromettere Nadal dal Roland Garros e capace di ripetersi l’anno successivo contro Federer raggiungendo per due volte la finale a Parigi; Mark Philippoussis, troppe volte funestato dagli infortuni ma comunque finalista a Wimbledon e agli Us Open e distintosi nel 1996 quando non ancora ventenne sconfisse Sampras agli Australian Open; Todd Martin, sconfitto da Sampras in finale in Australia e da Agassi agli Us Open, ebbe l’occasione della vita a Wimbledon nel 1996 quando perse clamorosamente in semifinale contro MaliVai Washington. E voi? Avete in mente qualcun altro?

Massimiliano Di Russo

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