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09/11/2011 12:22 CEST - TENNIS E LIBRI

Più dritti, vero Aaadriaanooo?

TENNIS - Breve recensione del libro che racconta in prima persona le gesta dell’ultimo vero campione italiano. Uno che era amico di Borg e lo batteva due volte a Parigi, ma anche di Nastase, di Hoad, e di molti altri… Uno che agli occhi dei più grandi avrebbe dovuto vincere Wimbledon… Uno che ha saputo ricominciare avendo perso ogni centesimo dei propri risparmi… Uno che fa dire ad Ubaldo: “Quanta nostalgia”TRA I COMMENTI UN BEL RICORDO DI DANIELE AZZOLINI Enos Mantoani

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Dopo la recensione della biografia di Paolo Bertolucci non poteva mancare su Ubitennis l’autobiografia di Panatta per la penna di Daniele Azzolini.

Adriano Panatta, Daniele Azzolini

Più dritti che rovesci. Incontri, sogni e successi dentro e fuori dal campo.

Milano : Rizzoli, 2009 - Collana Storie e miti, 116 - 211 p. - Eur : 17,00

ISBN : 9788817034753

Penso, come diversi colleghi e lettori di Ubitennis, di essere in debito con una generazione tennistica che però conosciamo solo attraverso l’aura ormai del quasi mito. Un po’ come le rovesciate di Bonimba e le cannonate di Rombo di Tuono. A livello mondiale, gli anni ’70 sono stati gli anni dell’esplosione del tennis che si diffuse in tutte le classi sociali e iniziò ad essere visto e considerato uno sport per tutti. In Italia è legato praticamente a un nome solo: Adriano Panatta. Tutti i tennisti in erba dell’epoca avrebbero voluto essere Panatta. Per l’Italia è stato una vera e propria icona; che ne so, un po’ come la Vespa… Almeno io, che non c’ero, la vedo così…

Il pregio di questa autobiografia è quello di aiutare a grattar via un po’ la superficie scintillante del “brand” Panatta e iniziare a far intravedere come Adriano abbia vissuto quegli anni, con il senno di poi, ovviamente… L’autobiografia ha una forma classica, divisa in brevi capitoli che in ordine temporale fanno parlare Adriano della sua vita; il corredo di fotografie non è molto esaustivo, e manca di un’appendice statistica che nel libro di Bertolucci, ad esempio, davano un valore aggiunto alla semplice biografia raccontata. Ci sono però dei capitoli monografici dedicati a dei tennisti o a dei temi che evidentemente Adriano sente di più: Borg, Hoad, Nastase, Connors, ma soprattutto Wimbledon. Forse il suo rimpianto, ma questo lo diciamo noi, non di certo lui, che di rimpianti con la racchetta ne ha pochi…

Traspare da questo libro un Panatta leggermente diverso da quello che le cronache rosa del tempo hanno tramandato… Meno frivolo di quanto potesse sembrare, mettiamola così! Dagli inizi della sua infanzia (lo chiamavano Ascenzietto: Ascenzio era suo padre, custode dei campi dove Adriano vide il primo tennis e i primi tennisti della “vecchia scuola”, come Pietrangeli) ai vertici del tennis nazionale e mondiale (da Ascenzietto ad Aaadriaanooo, insomma) Panatta non ha perso uno sguardo alle volte ironico e un po’ dubbioso su quello che gli capitava attorno…Di natura schivo, ma estroverso all’occorrenza (so che sembra un ossimoro, ma nessuno è mai bianco o nero) Adriano ci racconta le amicizie durature, ma soprattutto gli scontri con situazioni, persone e personaggi che fanno godibile questo libro. Non mi dilungo nel raccontare gli episodi già noti a tutti del suo rapporto con la Federazione o delle sue storie di Davis o del magico 1976.

Una delle cose ammirevoli nella sua vita è quella, come recita una famosa poesia di Kipling che Adriano ha letto anche a Wimbledon, di aver saputo considerare sia il trionfo sia la sventura degli impostori e di aver saputo ricominciare daccapo una volta perso tutto quello che aveva. Ad esempio in occasione della sfortunata carriera imprenditoriale, ma anche nella sua permanenza in federazione. Mi dà l’idea di una persona che crede in quello che fa e nelle sue potenzialità, ma non vuol scendere a certi compromessi (non è sempre vero, anzi quasi mai, che il fine giustifichi i mezzi). Questa è la sua grandezza e il limite del suo raggio d’azione. Anche nell’amicizia racconta di essere così: la chiarezza innanzitutto, poi si può accettare tranquillamente qualunque decisione degli amici (ad esempio quando Bertolucci accettò di capitanare la Davis al posto suo).

Non per questo è un bonaccione o una persona che possa accettare tutto. È caustico nel suo giudizio, ad esempio, verso Lendl. In una serie di commenti su questo sito, dei tifosi Lendliani hanno fatto notare come le frasi nel libro di Adriano verso i supporters del ceco li abbiano in qualche modo offesi. Questo è anche comprensibile. Perlomeno Panatta non si trincera dietro un buonismo di facciata, in cui tutti nel circuito sono considerati praticamente degli amici o quasi (vero Nadal?). Sono raccontate le litigate furibonde e i piccoli screzi, gli scherzi e le mattane di una generazione che vive il tennis in fondo per quello che era: un gioco che dava loro da vivere (più che dignitosamente, senza per questo raggiungere i montepremi vertiginosi del presente). E il suo stile in campo era così, mai banale, nel bene come nel male; si stufava a scambiare lunghi e noiosi pallettoni da fondo campo; spesso era lui a rischiare, e dotato di una classe e di un fisico adeguato raggiunse i risultati che sappiamo.

Come chiude il nostro direttore Ubaldo il breve profilo dedicato all’ultimo vero campione italiano nell'ultimo libro presentato agli Internazionali d'Italia 2011: “Quanta nostalgia...”

Enos Mantoani

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