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01/12/2011 11:30 CEST - L'intervista

Emilio Sanchez: "Spagna favorita"

TENNIS - Intervista all'ex capitano spagnolo di Davis, Emilio Sanchez. "Siamo favoriti, abbiamo i nostri migliori giocatori, Nadal, Ferrer, Lopez. Ma l'Argentina è forse l'unica nazione che può competere con noi sulla terra". Sanchez parla anche del successo del movimento spagnolo: "Deriva da molti fattori: la rete di circoli sul territorio, lo spirito di sacrificio degli atleti, la professionalità". Teo Gallo

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Cominciamo parlando della sua accademia: come funziona la selezione e a che età entrano i ragazzi?
Dunque, la selezione in realtà si fa prima e chi viene a giocare qui di solito sta già giocando tornei a vari livelli ed è alla ricerca di un posto dove possa sviluppare il proprio tennis e allo stesso tempo continuare gli studi. L’accademia funziona come una scuola, dove i ragazzi possono crescere dal punto di vista sportivo ma anche studiare. Prendendo spunto dal sistema americano i ragazzi entrano a nove anni, ma l’età media dei nuovi arrivati è in realtà di 12-13. Di solito giocano già abbastanza bene: alcuni arrivano con i genitori, altri provengono da circoli di Barcellona e passano all’accademia quando decidono di dedicarsi al tennis in maniera professionale.

La sua accademia gode di una buonissima fama ed è considerata una delle migliori del mondo: qual è il segreto per acquisire così tanto prestigio?
Principalmente credo dipenda dalla squadra di allenatori che lavora per noi, professionisti di alto livello che hanno dedicato la loro vita a questa scuola. I ragazzi si sentono trattati bene, protetti, sanno che ci importa molto il loro sviluppo tennistico ma anche umano. È ciò che cerca un genitore quando deve scegliere un posto dove mandare un figlio a giocare. Si usa un approccio professionale ma anche informale, abbiamo ottimi allenatori e questo la gente lo nota. Ovviamente il fatto di avere avuto gente come Murray, la Kutznetzova, Monaco, che hanno frequentato l’Accademia e hanno parlato molto bene di noi, ci ha aiutato.

Quanti anni si fermano i ragazzi solitamente?
Di solito rimangono fino alla fine degli studi secondari, fino alla maturità, 18-19 anni; quello è il momento in cui si decide se andare avanti con lo sport o andare all’università. Alcuni a quell’età ricevono borse di studio da qualche college americano, e questo consente loro di fare entrambe le cose, aspettando magari per fare il grande salto qualche anno più tardi. In questo momento ci sono ragazzi e ragazze provenienti da 41 paesi.

Ultimamente sono usciti giocatori di ottimo livello da paesi senza tradizione tennistica, come Cina e Giappone; c’è qualche paese in cui vede nascere un buon movimento tennistico?
Il tennis è uno sport duro, che richiede molti sacrifici, e per arrivare ad avere successo è necessario che si uniscano molti fattori. Ci sono paesi dell’Europa dell’Est per esempio dove non ci sono grandi infrastrutture né tradizione in questo sport e già da diversi anni hanno cominciato a cercare fuori quello che non hanno a casa loro. In Spagna, negli Usa, posti dove il livello degli allenamenti è molto alto. Frequentando accademie di un certo livello sono riusciti ad ottenere dei risultati. Per vincere nel tennis è necessario un grande spirito di sacrificio, ci vuole la fame, e in questi paesi emergenti dell’Est europeo o dell’Asia escono giocatori buoni perché di solito posseggono quella capacità di soffrire e quella fame di successo che li porta a competere allo stesso livello dei giocatori dei paesi con tradizione, come Francia, Australia o Italia.

Secondo lei qual è il segreto di questa generazione incredibile di tennisti spagnoli?
Credo che si siano trovate a convergere diverse circostanze: innanzitutto c’è una struttura di circoli molto forte e presente sul territorio. Ci sono un sacco di tennis club con buoni allenatori, i cui ragazzi partecipano a tornei nazionali e internazionali. I circoli sono fondamentali per i bambini e per i tifosi. Poi c’è da dire che il clima in Spagna consente di giocare all’aperto tutto l’anno; inoltre giocare a tennis qui non è per niente caro (affittare buon un campo in cemento a Madrid costa tra i 5,60 e i 7 euro all’ora, ndr) è questo è un altro fattore fondamentale. Va detto poi che, a parte la crisi che stiamo attraversando ora, siamo un paese che negli ultimi decenni è molto cresciuto, mentre prima la qualità della vita era più bassa e fare sport era più complicato. Molte delle problematiche sono state risolte negli ultimi 20 anni. I tennisti spagnoli che stanno avendo successo oggi vengono da una tappa precedente, da un periodo in cui si dava molta importanza a certi valori: lo spirito di sacrificio, la capacità di soffrire, e la fame di successo. A questo va aggiunto che gli sportivi in Spagna sono sempre stati molto professionali e questo concetto si è esteso a tutte le federazioni: nel tennis la professionalità è importantissima.

Possiamo dire che i successi di Nadal abbiano cambiato il modo in cui gli spagnoli vivono il tennis?
Mah, diciamo che Rafa è una icona del tennis mondiale e ha catapultato l’immagine del tennis spagnolo a livello planetario, ma non credo che abbia cambiato la prospettiva. Già prima di lui avevamo avuto gente come Moya, Ferrero, che sono arrivati al numero 1 come Nadal. Diciamo che Rafa si è dimostrato più costante nei risultati e poi la rivalità con Federer è diventata una delle più importanti nella storia dello sport e questo ha fatto sì che l’immagine del tennista spagnolo diventasse internazionale. Il fatto che Rafa sia testimonial di Armani, per esempio, gli conferisce un’aura speciale, però alle sue spalle c’è una storia di successi da parte dei tennisti che ho nominato e altri ancora, come mia sorella Arantxa.

Quest’anno Rafa ha mantenuto un livello molto alto, ma Djokovic è riuscito a prendergli le misure e a batterlo in tutte le finali che hanno disputato. I tifosi di Nadal sono un po’ preoccupati per questo: lei pensa che tornerà ad essere il numero 1 del ranking?
Credo che puó tornare ad esserlo, fintanto che mantenga la fiducia e la voglia di farlo. In terra rossa rimane il migliore del mondo e anche sulle altre superfici è ancora molto competitivo. Il numero 1 della Atp dipende molto dai grandi tornei, alla fine è lì che si mettono insieme molti punti e penso che Rafa avrà almeno una opportunità l’anno prossimo. Djokovic può continuare a giocare ad un altissimo livello, ma bisognerà vedere se riuscirà a farlo di nuovo nei momenti chiave, se saprà mantenere la stessa fiducia che ha avuto in questo 2011. Appena il serbo abbasserà leggermente il livello, Rafa tornerà ad essere competitivo contro di lui. Questo comunque vale anche per Federer.

Come vede la finale di Davis?
Credo che siamo favoriti, innanzitutto perché non perdiamo una eliminatoria sulla terra rossa da 22 turni e in casa mi sembra che siamo imbattuti dal 2000. Abbiamo a disposizione i nostri migliori giocatori, Rafa, Ferrer e Feliciano. Ma dovremo stare attenti perché l’Argentina schiera due tennisti che sono stati top 5, Nalbandian e Del Potro. In questo senso direi che siamo alla pari. È sicuramente la finale più difficile che le potesse toccare, anche perché sulla terra rossa gli argentini hanno grande tradizione e sono forse gli unici in grado di competere con gli spagnoli. Credo che sarà una finale molto bella: il fatto che Rafa e Ferrer abbiano giocato il Master solo pochi giorni fa li penalizza, perché la preparazione per loro sarà breve, mentre gli argentini si stanno allenando da mesi per questo appuntamento. Nadal e Ferrer potrebbero avere problemi a giocare al livello cui ci hanno abituati.

Feliciano Lopez sta attraversando il miglior momento della carriera. Quanto è importante il fatto che abbia iniziato a lavorare con Berasategui?
Credo che Feliciano si trovi nel momento migliore perché è maturato molto e in Berasategui ha trovato la sua anima gemella, un allenatore che lo ascolta e lo capisce. Si sono posti degli obbiettivi e sono stati capaci di organizzare un programma; è la cosa migliore che poteva succedere a Feli. Sta giocando benissimo e credo che sia nel miglior momento della sua carriera.

Il 2011 di Verdasco invece è stato molto deludente: non è più riuscito a raggiungere il livello della semi in Australia del 2009. Come mai secondo lei?
Per arrivare a quel livello Verdasco dovette costruire un certo grado di fiducia che veniva da una serie di ottime partite e di vittorie, come quella in Davis nel 2008. Dovette lavorare sodo per arrivare a quel livello. E quando raggiungi a quel punto, se non continui a lavorare ed allenarti come prima, arriva un momento in cui cominci a perdere partite e insieme perdi la fiducia che avevi prima. È sempre necessario avere un obbiettivo, essere motivati, per poter ribaltare una situazione come quella in cui si trova lui ora, altrimenti cominci a fare passi indietro. Quello che gli è successo è che ha iniziato a perdere partite che non si aspettava di perdere, la fiducia nei propri mezzi è svanita ed è tornato ad occupare il posto in cui è stato per la maggior parte della carriera, intorno al numero 25-30. Fernando aveva fatto un gran lavoro dal punto di vista fisico con Vicente Calvo ed era diventato molto forte fisicamente. La vittoria in Davis gli aveva dato un boost importante in termini di fiducia. Poi però ha deciso di stare un certo periodo senza allenatore, perdeva partite e non aveva nessuno che gli spiegava il perché. Anche Federer è rimasto per lunghi tratti senza coach, però poi ha sentito il bisogno di avere qualcuno, ha lavorato con Figueras e ora con Annacone. Credo che a Verdasco sia mancato principalmente questo: avere un tecnico al suo fianco che lo aiutasse ad analizzare e superare i momenti difficili.

Durante lo Us Open Rafa Nadal e Murray si sono lamentati della cattiva organizzazione e sono arrivati a minacciare lo sciopero. Cosa pensa di questa possibilità?
Dunque, credo che la situazione sia un op’ complicata, perché ci sono diverse organizzazioni in gioco. C’è la Atp, che gestisce i 1000, 500 e 250. Poi c’è la ITF che si occupa della Davis, e poi ci sono le federazioni nazionali che si occupano dei tornei dello Slam. Questo fa sí che non ci sia un interlocutore unico quando ci sono problemi generali da risolvere, come il calendario. Rafa e Murray possono lamentarsi con la Atp, e senz’altro verranno ascoltati. Ma quando si tratta di discutere con la federazione americana, per esempio, che si occupa dello Us Open, le cose cambiano. È possibile che l’attenzione nei loro confronti e la voglia di ascoltarli non sia la stessa. C’è poi un problema di mancata collaborazione: la Atp e le varie federazioni collaborano molto poco tra di loro e questo è un punto importante che crea problemi di comunicazione e non aiuta a risolvere le questioni sul tavolo. A volte i giocatori sono come burattini in mano dell’organizzazione: guadagnano un mare di soldi, è vero, ma si tratta più o meno del 10% di ciò che incassano gli organizzatori.
C’è infine un conflitto di interessi che riguarda i managers dei giocatori; molti di loro lavorano per le stesse agenzie che organizzano i tornei e quindi personalmente credo che sia molto difficile che arrivino ad uno sciopero, perché andrebbe contro gli stessi manager. Metterebbe giocatori e managers gli uni contro gli altri. E i managers hanno molto potere: non credo che permetterebbero uno sciopero, andrebbe contro i propri interessi.

Torniamo al gioco: lei preferisce il tennis di adesso o quello che si giocava negli anni ’80 e ’90?
Il tennis è uno sport che si è evoluto: diciamo che a quei tempi c’erano diversi giocatori leggendari: McEnroe, Borg, Connors, Noah, Becker, Wilander, Edberg, Cash… c’era grande attesa perché erano spesso sullo stesso livello ed erano molto amati dal pubblico. C’era più varietà di campioni forse. Oggi il tennis è più rapido, due o tre volte più rapido di quando giocavo io per esempio, però i fattori che fanno grande un tennista sono rimasti gli stessi. Credo che bisogna prendere il meglio da ogni epoca e in questo periodo il tennis maschile sta vivendo un gran momento grazie al livello che dei top players.

Ha pensato di tornare ad allenare qualche giocatore?
Si tratta di un lavoro molto impegnativo e difficilmente compatibile ora che ho tre bambini piccoli: difficile che possa allenare qualcuno full time e passare tutto l’anno viaggiando.

Ma se dovesse sceglierne uno da allenare, chi sarebbe?
Mi piacerebbe che si trattasse di qualcuno che ha bisogno di tornare a vincere. Credo che il compito più difficile di un allenatore sia far tornare a vincere un giocatore che ha perso la rotta. Se dovessi allenare qualcuno vorrei che fosse un tennista in questa situazione, qualcuno che possa aiutare ad uscire da una tappa complicata della carriera. Oppure che si trattasse di una sfida, tipo aiutare Federer a vincere un altro Slam o Rafa a battere Djokovic.

Il suo pronostico per la finale di Davis
Credo che sarà durissima ma il favore del pronostico va alla Spagna per la striscia di vittorie e perché gioca in casa. Sarà in ogni caso un grande spettacolo.

Gli articoli di Teo Gallo su www.vavel.com/it

Teo Gallo

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