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28/12/2011 13:19 CEST - 2011 Review

Un anno di ATP dalla A alla Z

TENNIS - Dopo esserci dedicati alle donne, ripercorriamo la stagione degli uomini. Le stelle Federer, Nadal e Djokovic, le speranze di Berdych e Tsonga, l'infortunio e la lunga assenza di Soderling. Ma anche l'invecchiamento di Roddick, il talento poco celebrato di Granollers e Haase e un luogo che per l'Italia diventerà simbolo di storia: Eastbourne, dove Seppi è diventato il primo azzurro a vincere un torneo sull'erba. Massimo Garlando 

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Seppi dopo il trionfo a Eastbourne
Seppi dopo il trionfo a Eastbourne

Cari appassionati, prima di tutto Buone Feste a tutti. Scusate se turbo l'intimità della vostra casa in questo periodo di tranquillità e stravizi, ma io la passo qui, al computer, perché per me il tennis è preghiera. Dunque ascoltatemi e mettetevi comodi, alla (ri)scoperta di quel che è successo in questa stagione.

A come ACASUSO: ho un rammarico, per questo 2011. Enorme, straziante, inconsolabile. Ho sperato fino all’ultimo in una convocazione del Chucho per la finale di Siviglia e della sua utilizzazione in doppio, in modo da farlo passare alla storia come il giocatore capace di perdere tre match decisivi in tre finali di Davis differenti. Modesto Vazquez non ha ascoltato le mie preghiere, e peste lo colga; si può vincere o perdere, ma con una scelta si può entrare nella leggenda. Peraltro la tristezza è parzialmente mitigata dal fatto che, contro quei due disgraziati di Lopez e Verdasco, con tutta probabilità Josè lo avrebbe pure vinto, quel doppio.

B come BERDYCH: i soliti maligni sostengono che il migliore risultato dell'eterna promessa ceca in questa stagione sia la nuova fidanzata. Cattiverie a parte, classifica molto simile a quella di fine 2010, quando però aveva fatto finale a Wimbledon e semifinale a Parigi. Una maggiore costanza di rendimento nel corso dell'anno (lo so, sembra pazzesco, ma è così) gli ha permesso di qualificarsi nuovamente per le Atp Finals, dove ha mostrato tutto il suo repertorio di talento e dissennatezza, in particolare nel match perso con Djokovic e in quello vinto contro Ferrer. Sappiamo del suono celestiale prodotto dalla pallina che esce dal suo piatto corde, sappiamo che Bertolucci venderebbe un rene pur di vederlo trionfare in uno Slam, sappiamo però anche che le primavere iniziano ad essere 26 e un bel giorno anche Peter Pan è cresciuto. Si sbrighi, se crede.

C come CEDRIK MARCEL STEBE: ottiene una meritata wild card per il mio alfabeto, grazie alla vittoria nel Challenger Masters di San Paolo, nelle intenzioni prologo minore delle Atp Finals e, alla resa dei conti, manifestazione organizzata in modo non del tutto chiaro, promossa poco e seguita meno. Defezioni varie tra i primi del ranking (calcolato, invero, in maniera incomprensibile), rinunce anche tra i ripescati e una finale piuttosto insipida, senza l’idolo di casa Tomaz Bellucci, nella quale il tedeschino in ascesa ha avuto la meglio nei confronti di Dudi Sela, che lo aveva sconfitto nel girone.

D come DJOKOVIC: il più forte dell'anno, 2011 straordinario e difficilmente pronosticabile in questi termini, per nulla scalfito dal finale di stagione sulle ginocchia (se corro tutto l'anno con le gambe in spalla, è normale che alla fine mi faccia male un po' la spalla. D'altra parte il tennis, come la vita, è una lotta spalla a spalla. Ok, la pianto, e chiedo scusa a Rocco Tanica). Niente da aggiungere, se non tanti applausi, per non correre il rischio di essere ripetitivi, il fenomeNole è già stato ampiamente sviscerato in tutti i suoi aspetti, in altre sedi.

E come EASTBOURNE: il tennis italiano aveva una lacuna. Nessuno tra i nostri connazionali era mai riuscito a trionfare in un torneo sull'erba nell'era Open, né Panatta e gli eroi di Davis né, in tempi più recenti, i discreti specialisti Sanguinetti, Bracciali, Pozzi e Tieleman. Ci è riuscito Andreas Seppi, non certo un erbivoro, rompendo tra l'altro un digiuno di titoli del circuito maggiore che per gli azzurri durava dal 2006. La vittoria nel torneo inglese, ottenuta giocando nella stessa giornata la semifinale e la finale contro Tipsarevic (ritirato a tre punti dalla sconfitta), piena di passaggi a vuoto, rimonte, interruzioni per pioggia e varie amenità, gli consentirà di continuare a fare per buona parte del 2012 ciò che gli riesce meglio, ossia galleggiare tra la trentesima e la sessantesima posizione del ranking Atp, senza infamia e senza lode.

F come FEDERER: non vince neanche un titolo Slam, non succedeva dal 2002. Detta così, al brucio, sembra certificazione di declino e, in effetti, la prima parte della stagione ha portato fieno in cascina per le litanie millenaristiche sull'imminente morte del tennis. Poi, la zampata a Parigi, dove secondo molti appassionati ha impedito a Djokovic di realizzare il Grande Slam, inchinandosi solo alla sua nemesi storica in finale; quindi il passo falso a Wimbledon e la quasi-vittoria ancora con Nole, a New York, dove per quasi vittoria mi riferisco al match point annullato dal serbo con una risposta pazzesca, coefficiente di difficoltà da quadruplo salto mortale e mezzo con dodici avvitamenti e bacio alla folla. Il finale di stagione in crescendo, costante degli ultimi anni, ringalluzzisce non poco i suoi fans: con prestazioni brillanti e continue, piazza 17 vittorie consecutive e vince in serie Basilea, Parigi e il Masters ottenendo, a Londra, la settantesima vittoria Atp (su cento finali disputate). Ad oggi, viste le condizioni semipietose dei suoi principali rivali, sembrerebbe il naturale favorito per gli Australian Open, ma la sosta di fine anno generalmente rimescola le carte e le resurrezioni sono sempre dietro l'angolo. Lui, nel dubbio, non esageri con il panettone e metta a nanna presto le gemelline, non si può mai sapere.

G come GRANOLLERS: raggiunge il best ranking al numero 27, impreziosendo l’annata con le vittorie a Gstaad e a Valencia (dove ha migliorato la finale del 2010). Considerato dai più, a causa di un evidente pregiudizio geografico, un orrido pallettaro di seconda fascia, in realtà è piuttosto leggerino, ha un ottimo servizio, sa giocare a rete (anche se esagera con le stop-volley), conosce il back e non disdegna il chip&charge. Per dire, Del Potro sarà senz’altro un campione e il suo recupero in classifica è stato notevole, ma scende a rete solo per dare la mano all’avversario; nella finale di Valencia chi dava spettacolo era decisamente Calimero Granollers. Siamo sempre lì, la nostra serie C1 (lo so che si chiama Prima Divisione, ma sono nostalgico) è piena di signori Rossi che, se si chiamassero Rossinho, sarebbero miliardari osannati e riveriti. Così è il tennis, se sei spagnolo e non hai il look di un tronista di Maria de Filippi, la tua immagine presso l’appassionato medio sarà sempre quella del pedalatore ingobbito, con la fascia tergisudore abnorme e un ovale di sette metri di diametro.

H come HAASE: nel riepilogo degli US Open ho già sottolineato con nostalgia gli ultimi fuochi di uno tra i miei tennisti preferiti, Tommy Haas e, visto che non mi piace ripetermi, aggiungo una e per dedicare due righe al talentuoso olandesino, tornato a discreti livelli dopo il calvario del biennio 2008-09 e capace di portare a casa il suo primo torneo maggiore in carriera, a Kitzbuehel. Un aspetto non pare essere cambiato, nella sua seconda carriera: la predisposizione all’eroica sconfitta al quinto set degli Slam, magari partendo da un vantaggio di due a zero, come sa bene Murray. E’ meglio che sistemi in fretta questo dettaglio, perché va per i venticinque e i treni vanno presi quando passano.

I come ISNER-MAHUT: il caso (ehm…) ha voluto che, a distanza di dodici mesi, il primo turno di Wimbledon presentasse la riedizione della partita dei record dell’anno prima, la maratona di 11 ore (e tre giorni) entrata di diritto nella storia del tennis, con tanto di targa e statua ad imperituro ricordo. Già, la storia. La storia non si scrive con le minestre riscaldate e il match di quest’anno, senza il campo 18, senza Lahyani a gigioneggiare e, soprattutto, senza pathos (3 set a zero per l’americano, pratica piuttosto rapida), è servito solo per realizzare qualche titolo ad effetto alla vigilia, e non lo ricorderà nessuno.

J come JO-WIL TSONGA: il suo fisico da gigante di cristallo gli concede un'annata praticamente libera da infortuni e, dopo un inizio zoppicante (anche lui, come Soderling, nella "sua" Australia resta tramortito dalle affettate di Dolgopolov), Jo ritorna ai livelli del 2008, chiudendo la stagione, come in quell'anno di grazia, al numero sei e dando l'impressione di essere, in condizioni particolari e con il vento a favore, quello più vicino ai fab four (ma sì, l'idea del fotomontaggio della copertina di Abbey Road è davvero carina, quindi ficchiamo dentro anche il buon Murray, naturalmente nel ruolo di Ringo Starr). Da ricordare, senza dubbio, la vittoria su Federer a Wimbledon, recuperando da due set sotto (primo a riuscire nell'impresa, in uno Slam, contro il campione svizzero), i quarti a Flushing Meadows e l'ottimo finale di stagione, con due titoli e le finali a Bercy e alle Atp Finals, nelle tre domeniche di fila in cui ha incrociato la racchetta con Federer, chinando sempre il capo ma con l'onore delle armi. E, già che ci siamo, merita un cenno anche il record di ace in stagione, ben 825.

K come KOELLERER. Espulso da tutte le scuole del Regno a fine maggio, per aver manipolato qualche match (con tanto di recidiva), perla incastonata nel diadema della sua carriera, tra l’insulto sistematico ad avversari e bambini raccattapalle, la scazzottata con Luzzi, i finti infortuni, gli sputazzi ripetuti e le sceneggiate in campo. Qualche suiveur ne giustificava in parte gli atteggiamenti per via di una discreta mano, altri ne lodavano l’iconoclastia meritoria in un gregge dotato di scarsa personalità. A me sembrava piuttosto il guitto di second’ordine, quello che fa le smorfie e dice con orgoglio le parolacce per farsi notare, altrimenti nessuno se lo fila. E non mi mancherà.

L come LACKO: quello che ha rifilato un 6-0 a Nadal in quel di Doha, all’alba dell’anno di grazia 2011, per poi perdere la partita. Storie ordinarie di figli di dio minore.

M come MONFILS: dà il meglio di sé come tombeur des femmes nel video del tormentone musicale primaverile di Martin Solveig & Dragonette "Hello", girato al Roland Garros (con la partecipazione anche dell'onnipresente Djokovic), in cui si racconta in maniera divertente un'improbabile finale del torneo mondiale di tennis dei deejay. E non è un bel segnale.

N come NADAL: può essere considerato negativo un anno durante il quale ha vinto la Davis da protagonista assoluto, ha trionfato per la sesta volta al Roland Garros, ha alzato per la settima volta consecutiva il trofeo di Montecarlo, ha ottenuto due finali Slam e chiuso la stagione al secondo posto? Sembra un paradosso, ma quando perdi sei finali di fila contro lo stesso avversario, quello che ha trovato la chiave per neutralizzare gli schemi che ti rendevano praticamente ingiocabile nel circuito, non si può certo parlare di annata trionfale. Il tarlo del dubbio, lo status di eroe imbattibile messo in discussione, il contrappasso che ti porta a rivivere le stesse sensazioni che tu hai provocato nella mente di Federer, le prime discussioni con lo zio Toni e, da ultimo, una biografia piazzata in maniera inusuale all'apice della carriera avevano fatto ventilare addirittura l'ipotesi di un prossimo ritiro, e la pessima esibizione (con tanto di lezione ricevuta da Federer) al Masters non aveva di certo rincuorato i tifosi del maiorchino. Poi è arrivato il successo di Siviglia, un eccellente brodino in tempi di carestia, ma la vera risposta a tutte queste perplessità la dovrà dare l'anno prossimo, quando si troverà di fronte nuovamente il rovescio di Nole.

O come (ex) OLEKSANDR DOLGOPOLOV: ormai Alexandr anche per l'anagrafe, eliminato di conseguenza pure lo jr, il mio pazzo furioso preferito punta dritto all'ingresso nei top10. Da fenomeno di nicchia all'élite, in pochi mesi, senza perdere l'aria scanzonata, l'acconciatura improbabile e il sorriso in campo come fuori. Si sa benissimo che il rendimento costante non potrà mai essere una sua caratteristica, anche per la fastidiosa malattia del sangue che si fa sentire soprattutto dopo gli spostamenti intercontinentali (e lui, ovviamente, fa il tennista), ma le vittorie con Tsonga e Soderling in Australia - soprattutto quest'ultima partita, clamorosamente contro pronostico e terminata a notte fonda, al quinto set, dopo un inizio agghiacciante - e la volée nel tie break del primo set contro Djokovic, agli US Open, entrano di diritto nella top10 stagionale dei miei ricordi più vivi e piacevoli.

P come PANE, PIZZA, PATATE FRITTE E PANNA: la dieta che ha impedito a Mardy Fish di esprimere, negli scorsi anni, tutte le sue potenzialità. Eliminate queste fonti di cattiva alimentazione, lo yankee ha perso 14 chili ed è riuscito finalmente a scalare la classifica, coronando la stagione con la qualificazione al Masters, dove è stato però limitato da un infortunio. Certamente la zavorra era un problema, ma io ho un’altra teoria: il vero salto di qualità è arrivato quando ha sostituito gli orrendi fantasmini da tedesco in Riviera con un paio di calze sportive decenti, anche l'occhio vuole la sua parte (e non sto parlando della moglie).

Q come QURESHI: insieme a Bopanna ha dato vita al doppio indo-pakistano, dimostrando che a volte lo sport è davvero strumento fortissimo in grado di superare ogni barriera. Il tutto con buoni risultati, fino a Londra, tanto da consacrare i due nell’élite della specialità. L’esperimento sembra essersi concluso proprio con il Masters, probabilmente per dinamiche preolimpiche nella squadra indiana, l’augurio è che il matrimonio tra Sania Mirza e Shoaib Malik duri di più.

R come RODDICK: c'è chi invecchia bene, c'è quello che addirittura migliora, c'è chi ogni tanto piazza ancora la zampata, c'è quello che percorre il viale del tramonto a piedi nudi. Un paio di fotografie: lo straordinario passante in tuffo che gli ha dato la vittoria nel torneo di Memphis, in finale contro Raonic, cercatelo in rete, ne vale la pena; dopo un colpo del genere, sicuramente sul podio tra gli amazing shots del 2011, ancora prima di esultare, la sua reazione immediata è stata quella di recuperare velocemente il cappellino, per mascherare l'incipiente calvizie. Più avanti, a Flushing Meadows, nel match con Benneteau, ha sbagliato sedia al cambio campo, in quella che poteva sembrare una gag ma non lo era. Fuori dai top10 (non succedeva dal 2006), resteranno negli annali una vittoria a New York, 3 finali a Wimbledon (l'ultima, in particolare, dolorosissima), la Davis 2007 da imbattuto e la poltrona di numero uno del mondo, per due mesi, alla fine dell'era prefedereriana. Mica poco, per un tennista con i suoi limiti tecnici.

S come SODERLING: il flop del 2011, tra infortuni, mononucleosi, cambio di coach e le scorie del match australiano con Dolgopolov. Doveva essere l'anno della definitiva consacrazione (e, magari del primo Slam, alzi la mano chi non ci avrebbe scommesso 50 centesimi alla fine del 2010), è arrivato il tracollo. Resteranno i piccoli tornei vinti in scioltezza all'inizio della stagione e l'imbarazzo da parte dei commentatori di Supertennis nel nominare Pistolesi, durante le pause di gioco e le premiazioni.

T come TOMMASI E CLERICI: sarò un inguaribile nostalgico, magari anche un po’ patetico e, di sicuro, non al passo con i tempi. Ma un recente speciale radiofonico di Radio24, che ne ripercorreva l’ineguagliabile carriera, tra un circoletto rosso, uno scriba e un bongo bongo, mi ha fatto ancora una volta riflettere sul pensionamento frettoloso ed avventato dei due mostri sacri del commento tennistico italiano (e non solo). Ovvio, parlo da spettatore che della vicenda conosce solo una versione (peraltro parziale, visto il signorile riserbo con il quale affrontano il tema), ma non sentirli al microfono, almeno per le finali di Montecarlo, Roma e Wimbledon mi lascia sempre un po’ perplesso. Le nuove leve di Sky saranno bravissime nello spulciare la rete in cerca dei risultati, probabilmente non considereranno Melzer un tignoso che non regala neanche un punto e conosceranno a menadito i testa a testa di tutti i top100, ma quella sensazione, ah quella sensazione…

U come USURA FISICA: Andy Murray, moderno Masaniello in lotta per i diritti dei tennisti sfruttati, si lancia a fine settembre in una vibrante protesta per l'eccessiva durata della stagione e di un calendario che costringerebbe, a suo dire, specialmente i big ad un tour de force impossibile da sopportare per il fisico. Minaccia addirittura uno sciopero, amplificando e mettendo sotto i riflettori i mugugni del circus. Tutto molto giusto e sacrosanto, la salute è la prima cosa e molti giocatori hanno pagato un prezzo salatissimo durante la stagione. Tutto vero. Peccato che, subito dopo queste dichiarazioni, il nostro Andy sia partito per la tournee asiatica, dove ha disputato (e vinto) non soltanto il 1000 di Shangai, ma pure il 250 di Bangkok e il 500 di Tokyo, tornei non obbligatori e che quindi poteva risparmiare alle sue stanche membra.

V come VERDASCO: ha anche avuto il coraggio di esultare, il buon Perdasco, per la Davis vinta (dagli altri), pur avendo tentato in tutti i modi, insieme al suo compare, di rimettere in partita l'Argentina. Tra gli highlights del 2011 le magliette improbabili e la racchettata a vuoto, con cui ha involontariamente abbattuto una farfalla a Montecarlo, davanti ai miei occhi.

W come WAWRINKA: Zamparini, per rinvigorire le sorti del suo Palermo, è solito licenziare allenatori con la stessa frequenza del cambio dell’intimo. Il nostro Stan ha provato invece a dare una scossa alla sua carriera licenziando la moglie (e la figlia infante). I risultati, dopo un inizio promettente, non sono stati eccezionali ed è rimasta come costante la sensazione sgradevole che mi provoca il suo atteggiamento in campo. Tempi duri per l’eroe svizzero del decennio sbagliato, in altra epoca sarebbe stato un idolo delle folle rossocrociate e invece resta lì, all’ombra del fenomeno. Non è un caso isolato, spesso il fuoriclasse spinge il movimento a innalzare l’asticella, anche solo per tensioni competitive; chissà, quando l’Italia avrà di nuovo un top5, forse spunterà anche da noi un Wawrinka (speriamo più simpatico).

X come XAVIER MALISSE: Wimbledon, ancora Wimbledon, dopo l’attacco di panico nella semifinale del 2002, è la fotografia di una carriera, tutta vissuta al costante grido di “Vorrei, potrei benissimo, avrei tranquillamente i mezzi ma non ce la faccio proprio”. La facilità con la quale ha buttato fuori Florian Mayer e Melzer (non dico Zverev, ormai con Del Bonis scheletro nel mio armadio che mi invita a riflettere molto prima di lanciarmi in pronostici avventati), la capacità di fare tutto in apparente scioltezza e poi, al momento di accelerare per arrivare ai quarti, con un avversario apparentemente alla portata come Tomic, la resa incondizionata. Ma lui è così, a 31 anni anche i suoi tifosi più accaniti si saranno rassegnati, e se qualcuno avesse ancora qualche remota speranza, consiglio la visione del match di primo turno con Djokovic a Basilea.

Y come YOUZHNY: quindi qualche anno fa, prima della rasatura, qualcuno lo avrà senz'altro apostrofato con "caro il mio barba rossa, studente in filosofia".

Z come ZIBALDONE: la conferma ad altissimi livelli di Ferrer (sfigatissimo, sarà dura infilarlo in qualche alfabeto: la F del cognome è prenotata da Federer, la D del nome da Djokovic), il ritorno di Del Potro, fino alla mancata consacrazione nella sfortunata finale Davis, il trionfo spagnolo nell'arena di Siviglia, i quarti di Fognini a Parigi, quelli di Tomic a Wimbledon, la prima parte di stagione folgorante di Raonic, il finale a tutta birra di Tipsarevic, le incertezze di Dimitrov (ma che bello, quel match con Tsonga a Wimbledon), il ritorno in Serie A dell'Italtennis, i passi avanti e indietro di Penelope-Gasquet, la vittoria di Cipolla con Roddick a Madrid, il record di permanenza in testa alla classifica di doppio realizzato dai gemelli Bryan, l'ascesa di Nishikori (che non mi entusiasma), i timidi segnali di Donald Young (che, invece, non mi dispiace per niente). Ci sarebbe quasi materiale per un altro alfabeto, ma non esageriamo.

E buon 2012 a tutti.

Massimo Garlando

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