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14/01/2012 20:49 CEST - Storie di tennis

Quando Mac fu cacciato davvero

TENNIS - Infinite volte, di fronte alle proteste di John McEnroe ed alle successive blande o mancate punizioni nei suoi confronti, telecronisti e giornalisti erano soliti dire "i giudici avranno fatto finta di non sentire". Ma a Melbourne arrivò un giorno, il 21 gennaio del 1990, in cui non fecero finta. SuperBrat, che affrontava Pernfors, dovette andarsene davveroLuca Pasta

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John McEnroe è un personaggio mitico del nostro sport, una leggenda vivente. Leggendari sono il suo talento, il suo istinto offensivo, i suoi colpi irripetibili. Famoso è però anche il suo carattere bizzoso ed irrascibile. Le proteste, i siparietti, le scene sul campo da parte sua sono state innumerevoli. I suoi bersagli erano variegati: giudici di linea, di sedia, ma anche giudici arbitri, supervisori, fotografi, cameramen, spettatori.

Alcune sue frasi sono diventate celebri, prima fra tutte la mitica "you cannot be serious" pronunciata a Wimbledon nel 1981 mentre si rivolgeva al giudice Ted James in un match contro Tom Gullikson, che gli costerà sì 1500 dollari di multa ma che poi si trasformerà addirittura nel titolo della sua autobiografia. In casi come questo, Mac sapeva tingere di spirito la sua invettiva, in altri invece la sua virulenza e la sua volgarità toccavano livelli clamorosi.

Indimenticabile l’episodio del Queen’s, con Mac che, accusato da alcune raffinate signore (tra le quali la moglie di importante membro del club) di allenarsi su un campo che era invece stato riservato per un doppio misto, reagì con inaudita violenza verbale aggredendole con irripetibili oscenità che le lasciarono “extremely shocked”, ebbene sì, “estremamente scioccate”, secondo alcuni articoli dell’epoca. Potete immaginare da soli che trattamento possa aver riservato Mac alle sofisticate ladies britanniche!

La reazione gli costò la sospensione temporanea da membro onorario del club che si era guadagnato vincendo ripetutamente il noto torneo lì organizzato, cosa peraltro che, ho il vago sospetto, non abbia scosso nel profondo il nostro "monello". Spesso poi seppe usare le proteste a suo uso e consumo: parecchie sono state le situazioni nelle quali le sue rimostranze diventavano vere e proprie intimidazioni delle quali giudici di linea e di sedia potevano risentire nel prosieguo dell'incontro al punto tale da prendere successivamente decisioni a lui favorevoli o da assumere verso di lui atteggiamenti particolarmente indulgenti, sotto l'effetto di un condizionamento psicologico inconscio.

Talvolta invece i suoi scatti d'ira gli si ritorsero contro facendogli perdere la concentrazione e l'ispirazione. Molti sono convinti che il momento in cui, infastidito da un cameramen, gridò un "shut up" (“zitti, chiudete il becco!”) in un microfono a bordo campo all'inizio del terzo set della storica finale di Roland Garros 1984 abbia coinciso con il momento in cui la sua concentrazione si ruppe e la magica armonia che lo aveva portato a dominare Lendl e ad un vantaggio di due set a zero svanì nel nulla aprendo la strada alla rimonta del cecoslovacco.

Ricordo poi un caso in cui Mac arrivò a lasciare il campo volontariamente. Accadde a Dusseldorf nel 1987, in un match della World Team Cup contro Mecir, nel quale il nostro, dopo aver ricevuto prima un warning e poi un penalty point da Richard Kaufman, decise al termine di una furibonda discussione con quest'ultimo di agguantare borsa e racchette ed andarsene dal campo, addebitando in seguito sfacciatamente l'abbandono a problemi fisici in maniera tale da mascherare così un atto clamoroso ed illegittimo.

Complessivamente, a mio modesto parere, in rapporto alla frequenza, alla gravità, alla violenza delle proteste e dei comportamenti, Mac non venne mai punito in maniera direttamente proporzionale da giudici che, come spesso commentavano giornalisti e telecronisti, o non sentivano, o più probabilmente “facevano finta di non sentire. Tutto questo almeno fino a quel giorno, il 21 gennaio del 1990, in cui il quasi trentunenne John giocava gli ottavi di finale degli Australian Open a Melbourne.

Un tranquillo e caldo tardo pomeriggio assolato sul campo centrale dell'impianto di Flinders Park. Il suo avversario di quel giorno era Mikael Pernfors, discreto giocatore svedese, noto soprattutto per aver raggiunto nel 1986 la finale del Roland Garros, persa poi contro Ivan Lendl. Un McEnroe nella fase calante della carriera, ma che ben si era preparato per la prima prova dello Slam della stagione ed appariva in buona condizione. La mitica Koper Capodistria, allora l’emittente del tennis, trasmette una sintesi del match, con al microfono il grande Rino Tommasi e, guardate un po’, il nostro direttore, Ubaldo! Mac, con le labbra imbiancate dalla crema per difendersi dal violento sole australe, in vantaggio per due set ad uno, già sul 2-1 in suo favore nel quarto set comincia a dare segni di nervosismo, quando al cambio di campo ha da ridire con una giudice di linea responsabile secondo lui di una cattiva chiamata a suoi danni ricevendo così dall’esperto giudice di sedia Armstrong una prima ammonizione per cattivo comportamento.

Poi, nel settimo game il fattaccio: servendo sul 3-2 per il suo avversario, mette largo un dritto che lo porta sotto 15-30 e per la rabbia sbatte la racchetta per terra facendola rimbalzare sul gommoso rebound ace, il lento cemento usato allora in Australia. Mac è molto nervoso, disturbato anche da un bambino piangente in tribuna. Il bimbo e la mamma vengono allontanati e qualche spettatore chiede addirittura a McEnroe se è consentito respirare! Poco dopo, sul 40 pari, altro errore di dritto, altro violento lancio di racchetta (questa volta con danni all’attrezzo), ed altro richiamo di Armstrong, stavolta con la classica motivazione del “racket abuse”, una formula che certo non suona nuova alle orecchie del mancino americano.

Scatta così il penalty point che però di fatto, essendo il punteggio già sul “vantaggio Pernfors”, è anche un penalty game che consegna a Pernfors il break. E’ da questo momento che la situazione precipita: Mac, furioso, pretende che venga chiamato il supervisore Ken Farrar, che infatti giunge trafelato in compagnia del giudice arbitro Ballanger (un signore calvo i rapporti con il quale non dovevano essere esattamente idilliaci se è vero, come Rino ricorda amabilmente in telecronaca, che John un giorno gli si rivolse dicendogli “se questa palla è buona tu sei un capellone”, il tutto sempre in Australia, nel 1985).

Dopo una concitata discussione, nella quale Farrar annuncia che il penalty point rimarrà, tutto sembra risolto, Farrar e Ballanger tornano sui loro passi e Mac sembra riguadagnare la linea di fondo: all’improvviso però le immagini mostrano Farrar e Ballenger fare un deciso dietro front: tornano da Armstrong; ed è lui poco dopo, tra lo stupore generale, ad annunciare: “Code violation—further abuse. Default, mister McEnroe. Game, set, match Pernfors"! Evidentemente tornando indietro Mac non si è trattenuto ha insultato pesantemente Farrar.

Il pubblico fa un baccano infernale, Mac è impietrito, guarda il giudice di sedia con le mani sui fianchi. Alla fine, dopo aver ricevuto una pacca sulle schiena da un Pernfors anch'egli attonito e che John non degna di uno sguardo, lascia il campo. La folla grida “We want McEnroe, we want McEnroe!, arriva a fischiare l'incolpevole svedese che esce dal campo, ma ormai è troppo tardi. Negli spogliatoi poi il nostro fenomeno dirà che non conosceva il nuovo regolamento (uno step in meno per essere cacciati rispetto a prima), ma che non era comunque necessario squalificarlo per una “four-letters word” “(pare un apprezzamento sulla madre di Farrar...). Dirà anche, in piena sindrome da complotto, che “da tempo avevano in mente di squalificarlo in un grande torneo”. Nella telecronaca originale di Koper Capodistria Rino ed Ubaldo esprimono rincrescimento per l'uscita di Mac dal torneo, anche se inTommasi si coglie forse una maggiore severità rispetto ad un Ubaldo sinceramente molto dispiaciuto.

Gli spettatori “aussies” avranno comunque ancora modo di godere di alcuni scampoli di classe di John McEnroe, in particolare nel 1992, quando di fronte ad una folla in estasi batterà al terzo turno il campione in carica Becker in tre set e negli ottavi Emilio Sanchez in una maratona di 4 ore e 42 minuti, prima di perdere da Ferreira nei quarti di finale.

Davvero un episodio singolare comunque quello del 1990, che segna la prima squalifica di un giocatore per cattiva condotta in un torneo del Grande Slam nell’era open (l’ultimo era stato lo spagnolo di origine colombiana Willie Alvarez nel 1963). E chi poteva essere se non lui, il mitico Mac?

Luca Pasta

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