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05/02/2012 19:31 CEST - Personaggi

C'eravamo tanto amati

TENNIS - La vittoria di Djokovic in finale a melbourne su Nadal ha riportato alla luce alcune crepe venutasi a creare già nella passata stagione nel rapporto tra i due. Determinati atteggiamenti del campione serbo ricordano un altro grande del passato, Jimmy Connors. Mentre Rafa si sente sempre più tremendamente solo: il serbo ha violato le uniche condizioni che lui abbia mai conosciuto. Stefano Pentagallo

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"All'amore alle mie condizioni. Sono le uniche che chiunque abbia mai conosciuto, le proprie." Sono le parole pronunciate da Orson Welles, prima di brindare, al suo ex amico Jedediah nel film Quarto Potere. Un concetto poi ripreso da Joel Drucker nel libro "Connors mi ha salvato la vita", una doppia autobiografia sulla vita dell'autore e del suo atleta preferito, nonché coetaneo, quel Jimmy Connors, icona del tennis anni 70', passato da antipatico dominatore del circuito a idolo delle folle tennistiche negli ultimi anni della sua carriera. Le stesse utili a descrivere un'amicizia, ormai, scricchiolante, quella tra Rafael Nadal e Novak Djokovic.

S'erano tanto amati Rafa e Novak, almeno fino al momento in cui il serbo non ha iniziato a ribellarsi alla sconfitta. Un'opzione mai contemplata dallo spagnolo. Lui, da sempre cattivo perdente, abituato a sottomettere i propri avversari di testa e di fisico, ha dovuto sopportare l'onta della sconfitta soverchiato dalle sue stesse certezze. Così, di colpo, il simpatico Djoker, quello sempre pronto alla battuta, quello delle imitazioni di inizio carriera, ha lasciato spazio a Nole l'antipatico, quello che vince e che lo fa in un modo fin qui sconosciuto, con personalità.

"Rispetto molto tutti: Nadal, Federer, Murray. Sono molto forti, ma in maniera simile. Novak è uno che mischia: il gioco con la personalità," diceva Boris Becker. La stessa dimostrata dal serbo in finale agli Australian Open, prima in battaglia contro Nadal, poi nei festeggiamenti al termine del match. Quell'urlo, con tanto di maglietta strappata in stile "Hulk", è un gesto forte, lontano anni luce dal modo di intendere una rivalità da parte di Rafa e ancor di più dalla signorilità di Roger, ma insito di soddisfazione, per il tennis espresso, e di sofferenza per essersi fatto spazio nell'arena e nel cuore della gente. Proprio come accadeva con Jimmy Connors allorquando spingeva in avanti il bacino verso le tribune, non un vero e proprio atto d'amore ma una richiesta di approvazione, di affetto, d'aiuto.

La ricerca estrema dell'anticipo sulla palla, il rovescio e la risposta, veri e propri colpi da numeri uno, non sono le uniche peculiarità condivise da Jimbo e Nole. Entrambi si sono anche contraddistinti - e Djokovic continua a farlo - per un carisma fuori dal comune e per le loro capacità da "entertainers", in grado di scaldare ed accattivare il pubblico, fino a trascinarlo dalla propria parte. Come accaduto nell'ormai celeberrima semifinale degli Us Open dello scorso anno contro Federer: quando il serbo sotto 5-3, 40-15, scagliò quell'imprendibile risposta di dritto sulla riga invocando il supporto degli spettatori e cambiando, di fatto lì, il corso della partita. Proprio in maniera analoga a quanto accade nella sfida - passata alla storia - tra Jimmy Connors e Aaron Krickstein sempre agli Us Open, in ottavi nel 1991, quando nel giorno del suo 39° compleanno, Jimbo, anche lui sotto 5-3 nel quinto set, poté contare sulla spinta del pubblico, tutto schierato dalla sua parte, a tal punto che un intero settore dello stadio chiamò fuori un passante di Krickstein sul 15-15. Ad onor di cronaca, per i pochi che non lo sapessero, Connors vinse quel match al tiebreak, prima di vedere arrestata la propria corsa verso la finale, in semi, da Jim Courier. Così diversi nel modo di aizzare la folla, ma così profondamente legati da un unico intento.

Il rovescio della medaglia, di tali comportamenti, è però quello di mettere in luce una certa arroganza. Un'arroganza ben permeata non solo in Djokovic, ma nell'intero angolo del numero uno del mondo, a partire dai suoi genitori mai abituati a tenere un basso profilo - dalle magliette raffiguranti l'immagine del figlio, passando per alcune esultanze non propriamente controllate, fino ad arrivare alle dichiarazioni della madre, la prima a predire l'inizio dell'era Djokovic. Una qualità questa certamente poco apprezzata dai suoi avversari e men che meno da uno che ha battuto per ben sette volte consecutive. E l'abbraccio con il quale si son salutati al termine della finalissima di Melbourne ne è il chiaro segnale.

Si sente solo Rafa, proprio come Orson Welles in Quarto Potere, rivuole indietro Roger, lui sì suo amico, lui sì profondamente rispettato nella vittoria come nella sconfitta. Per Rafa, Roger rappresenta quello che lui sa di non poter mai essere, un giocatore speciale, impeccabile nei comportamenti, pronto a stringergli la mano senza una goccia di sudore in viso, senza eccessi. Ma soprattutto Roger per Rafa rappresenta quell'amore alle sue condizioni, le uniche che lui abbia mai conosciuto, le proprie. Nole, invece no. Rappresenta, dal punto di vista di Rafa, tutto quanto di più marcio e sbagliato ci sia a questo mondo, un fenomeno da debellare, l'unico capace di sovvertire i suoi dogmi fondamentali e di violarle quelle uniche condizioni a lui conosciute.

S'erano tanto amati Rafa e Novak, ma da oggi ad ogni partita che passerà si ameranno sempre un tantino di meno.

Stefano Pentagallo

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