Aspettando Wimbledon: di non solo partite si vive

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Aspettando Wimbledon: di non solo partite si vive

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TENNIS WIMBLEDON – Viaggio in tutto quello che ruota attorno al più prestigioso torneo del mondo, dalla stazione di Southfields fino alle fragole con panna e alla coppa mostrata dal vincitore a due metri dal pubblico

Se Wimbledon è Wimbledon un motivo non secondario ci sembra sia da addebitare alla tendenza di trasformare qualsiasi momento che ruota intorno al torneo in una specie di mitologia. Quindi provate ad immaginare di volervi, un giorno, avvicinare a Church Road. Pensate a due amici che si guardano in una sera annoiata e si dicono “ma se provassimo ad andare a Wimbledon?” I due si guarderanno come se si dicessero “ma guarda che razza di idea, figuriamoci”. Torneranno a casa immaginando biondi vichinghi impassibili sballotati dal pubblico, rossi irlandesi che imprecano contro una macchinetta che fischia, americani dal servizio terribile, tea-time e fragole con panna. Si addormenteranno pensando “che razza di idea…” Ma per una volta il sonno tarda ad arrivare, allora si va a dare un’occhiata a wimbledon.org, così, tanto per vedere. Sicuramente qualcuno avrà loro parlato del primo passo: il ballottaggio. “E se per ridere…” si torna a dormire e l’indomani si prende una bella busta bianca e si spedisce il formulario.

Il tempo passa a fine febbraio magari arriva una lettera. Se nella lettera ti comunicano che hai vinto il ballottaggio puoi saltare il pezzo che segue e riprendere….

Se la lettera non arriva, magari non ci pensi più. “Fine giugno o inizio luglio… certo, magari…”. Però Wimbledon è l’unico spettacolo sportivo che consente di acquistare i biglietti al botteghino il giorno stesso delle partite.  Devi però fare una cosa che si chiama “Queue”, la coda. Poca roba, si tratta di arrivare la sera prima e campeggiare a Wimbledon Park. Ti decidi, prendi quel benedetto aereo e ad un certo punto sei sulla district line, la linea verde (e quale colore altrimenti?), diretto verso Wimbledon. La fermata più vicina a Church Road è quella di Southfields. Se ci vai in un qualsiasi periodo dell’anno la casupola è uguale a mille altre che trovi quando scendi da un treno diretto verso la campagna inglese. Se ci vai a fine giugno… Di solo tennis si comincia a respirare, anche se in mano a sponsor, che certo non ne accrescono la dimensione emotiva, ma che nonostante tutto non riescono a svilirne il senso magico. Adesso sei con tanta altra gente, appena uscito dalla stazione davanti a te c’è Wimbledon Park Road, non lo vedi ma sai che dietro la curva c’è Church Road. Ti incammini trasognato, alla tua sinistra un pub, un paio di fast food; qualcuno affitta delle camere. Ci sono i famosi bobbies, ti chiedono qualcosa che non hai troppo tempo per ascoltare, ti guardano e ti dicono di seguire la parte dietro le transenne. Dopo circa 500m a sinistra ci sono dei campi in erba (evviva) e (orrore!) due in terra rossa. Dopo altri 400 m dei signori, che probabilmente erano anziani anche alla fine dell’800, con dei buffi cappelli, ti parlano con severa cortesia, ti spiegano che non puoi continuare su Church Road, è il momento di fare la coda. Qui aggiungiamo che insieme alla Queue Card, ti viene fornito anche un “Queue Code”. Si tratta di una specie di regolamento da rispettare, se vuoi andare in bagno meglio prima chiedere ad uno dei signori anziani. Ma soprattutto, “non tenere comportamenti anti sociali”.

Lo scorrimento della coda è scandito da cartelli che ti segnalano la distanza dall’ingresso delle Doerthy Gates, ti raccontano alcune curiosità (Federer è uno dei due giocatori che ha vinto Wimbledon essendo già padre. Sapete chi è l’altro giocatore?). Ad un certo punto si apre una specie di padiglione dove foto a grandezza naturale di Laver, Rosewall, Borg, Mc, e via via fino a Federer ti circondano. Si cominci a sentire gracchiare radio Wimbledon, dentro stanno giocando. Un cartello ti dice “sei a 300 metri dall’ingresso, ti raccomandiamo di non parlare ad alta voce e di non disturbare”. C’è un ponte da salire ma finalmente arrivi, prendi il biglietto ed entri. Non pensare di vedere partite, sei del tutto stordito da quello che hai attorno. Davanti a te il grande cartellone con gli incontri del singolare maschile e di quello femminile. Corri a cercare il centre court, dei signori ti lasciano passare inarcando il sopracciglio, puoi dare una sbirciata, ma poi ti chiedono il biglietto. Le fragole? Dove sono le fragole? Ti ricordi di aver letto che sono costosissime – e neanche buone – poi vedi il campo numero 1, si entra anche lì. Qualcuno ti spiega che puoi comprare i biglietti per il centrale, c’è un’altra coda da fare, proprio di fronte all’enorme schermo che sovrasta la “Henman Hill”. Ti rivendono biglietti che – non puoi crederci – altri hanno abbandonato (davvero avevano qualcosa di meglio da fare?) ad un prezzo stracciato. Sono solo le 17 ci sono almeno 4 ore di partite, forse 5.

Finalmente ti calmi, cominci a vedere qualche scambio, magari in un campo laterale. Ma pensi di più a cosa ti stai perdendo, non sarai venuto sin qui per vedere giocare Simon? Ti procuri i biglietti non hai la più pallida idea di chi stia giocando e dove. Riconosci i giocatori certo, ma chissà che ci fanno qui. 

Se torni il giorno della finale dopo il punto vincente vedi correre tutti quanti davanti all’ingresso principale. Il vincitore, che appena mezzora prima era col duca di Kent, si concede ad una folla adorante, firma autografi. Non solo ragazzini, vedi attempate signore correre con il loro taccuino. Ma “già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre giú da’ colli e da’ tetti,
al biancheggiar della recente luna”. Giunge il ritorno a casa e  “diman tristezza e noia recheran l’ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.”

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Il rimpianto di Adriano
All’improvviso la meraviglia
La fantastica storia di Jana Novotna

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