TENNIS AL FEMMINILE – Anno caratterizzato da alti e bassi, il 2014 di Flavia Pennetta. Negli Slam buoni risultati sul cemento e delusioni su terra ed erba; ma su tutto spicca il successo ad Indian Wells. Forse, a quasi 33 anni, Pennetta comincia a interpretare il tennis con uno spirito particolarmente maturoQUI la presentazione dei sedici articoli.
Dicembre 2014
Di Flavia Pennetta avevo scritto il 18 marzo, in occasione della vittoria di Indian Wells.
L’articolo (che tentava di individuare alcuni punti cruciali della carriera di Flavia, attribuendole un ruolo importante per il movimento tennistico italiano) non si sbilanciava sul futuro. Ma devo riconoscere che anche se l’avessi fatto non penso proprio sarei riuscito a ipotizzare quanto sarebbe effettivamente accaduto.
Lo dico perché, perfino con il senno di poi, per quanto mi riguarda la stagione appena conclusa di Pennetta è risultata piuttosto indecifrabile: negli ultimi anni non ricordo un tale alternarsi di risultati nel bene e nel male senza che ci fossero cause evidenti.
E così agli ottimi Australian Open e al più che soddisfacente US Open si contrappongono la delusione di Wimbledon (fuori contro Lauren Davis) e la partita davvero negativa contro Johanna Larsson al Roland Garros.
Ancora: in un finale di stagione affrontato in riserva di energie (con diversi cali alla distanza nelle partite lunghe) è pur sempre arrivato il traguardo importante della finale al Masters B di Sofia.
Quest’anno Flavia non ha rispettato nemmeno il suo classico picco di gioco alle US Open Series: di solito era l’estate sul cemento americano a farla rendere al meglio, mentre l’accoppiata Indian Wells/Miami pareva molto più complicata da affrontare. E invece è accaduto l’opposto.
Dare una spiegazione non è facile: in questi casi spesso si guarda la carta di identità (visto che Pennetta sta per compiere 33 anni, il 25 febbraio 2015) e si comincia a dire che il fisico di un’atleta piuttosto “chilometrata” non sempre riesce a rispondere al meglio.
A questo aggiungo una possibile interpretazione psicologica più specifica (e quando si entra in questa sfera diventa molto più difficile argomentare): la mia sensazione è che la Pennetta rientrata dopo l’intervento al polso sia una giocatrice più “saggia”. Dopo un’operazione non semplice e un travagliato periodo di recupero, in cui è anche arrivata a pensare al ritiro, mi pare che abbia cominciato a guardare al circuito e agli impegni con meno stress: con un certo disincanto che forse può esaltare meno in occasione dei successi, ma di sicuro fa metabolizzare più facilmente le sconfitte.
Non dico che non viva la tensione della partite, perchè vorrebbe dire non avere più voglia; al contrario, secondo me è proprio perché la passione c’è ancora che Flavia ha scelto di continuare a giocare.
La mia ipotesi è che si sia detta: “che cosa posso trovare di meglio che fare qualcosa che mi piace, che mi fa guadagnare bene e che mi fa ancora raggiungere ottimi risultati? E allora io continuo, mi impegno sempre al massimo”, con la serenità di chi ha la consapevolezza di essersi costruita una carriera dal bilancio ampiamente positivo.
Il tennis quasi ogni settimana offre l’occasione di vincere un torneo, e se va male, pazienza: sarà per la prossima volta. Se si perde a Doha (dalla numero 99 Hsieh), ci si può rifare a Dubai (eccola intervistata dopo la vittoria contro Radwanska).
https://www.youtube.com/watch?v=qk0KLTeVwbw#t=811
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Ecco l’articolo pubblicato il 18 marzo 2014:
Flavia Pennetta, apripista del tennis italiano
Se settimanalmente trovate questa rubrica sul tennis femminile, e se oggi state leggendo questo articolo, il merito (o la colpa, decidete voi) è di Flavia Pennetta.
Detta così sembra una frase senza senso, ma in realtà è una semplice constatazione. Mi spiego: senza Flavia Pennetta non so quando avrei scoperto Ubitennis, e quindi non so se avrei mai cominciato a scrivere dei commenti da semplice lettore, per poi passare a scrivere dei pezzi, con tutto quello che ne è seguito.
Bisogna ritornare al 2009, in agosto: mese anomalo, di vacanze e viaggi. Non avevo a disposizione il satellite né le pay tv: potevo solo contare su Internet.
Nel tennis non sono particolarmente patriottico, ma ugualmente ero interessato a seguire la rincorsa di una giocatrice italiana che cercava un risultato senza precedenti: l’ingresso nella Top ten. Per il movimento tennistico sarebbe stato il ritorno nei primi dieci a distanza di circa trent’anni (Panatta e Barazzutti); e per una donna sarebbe stata la prima volta in assoluto.
Come sappiamo, avere come obiettivo un particolare posto nel ranking è una faccenda complicata: non basta solo vincere partite, occorre anche tenere presente i risultati di chi precede e segue in classifica, quali sono i punti da scartare etc. etc.
Da assoluto incapace nei conteggi del ranking (anche oggi non provo nemmeno a farli) avevo bisogno di un aiuto, e trattandosi di una questione soprattutto italiana, dovevo trovare qualche sito italiano che desse le indicazioni giuste. Ecco perché ho cercato su Internet e scoperto Ubitennis.
Non avrei raccontato questo episodio personale, del tutto trascurabile, se non pensassi che il mio interesse per la rincorsa di Pennetta fosse il sintomo di qualcosa di più diffuso, che stimolava e incuriosiva molti altri appassionati.
Quanto era rilevante quel traguardo? In fondo era un semplice dato numerico: dieci o undici, concretamente non fa grande differenza; e altre tenniste la posizione undici l’avevano già ottenuta.
E però la conquista di quel decimo posto a mio avviso era importante, perché il raggiungimento aveva un valore simbolico: finalmente una giocatrice italiana sarebbe stata capace di andare oltre il limite della (pure ottima) mediocrità, raggiungendo la vera élite del tennis. Sarebbe stato abbattuto quel muro che confinava il tennis italiano alla provincia dell’impero, e che impediva di allargare lo sguardo verso l’orizzonte aperto del vero, grande tennis mondiale.
Sappiamo che ci fu il lieto fine: gli ottimi risultati (15 vittorie consecutive) le consentirono di ottenere quel traguardo storico. A questo Flavia aggiunse subito dopo una partecipazione agli US Open di grande qualità (la fermò solo Serena Williams nei quarti di finale), impreziosita dalla vittoria contro Vera Zvonareva, allora n° 7 del mondo, dopo sei match point salvati (3-6, 7-6, 6-0).
Quella memorabile partita, vinta in una “night session” dell’enorme centrale di Flushing Meadows, non fu solo la consacrazione di una giocatrice; no, secondo me fu anche un segnale per le sue colleghe italiane: era davvero possibile diventare protagoniste del circuito ai massimi livelli.
L’anno dopo (2010) Francesca Schiavone avrebbe vinto il Roland Garros. Le imprese di Pennetta avevano influito sull’exploit di Schiavone? Io penso di sì. Così come penso che difficilmente Errani e Vinci avrebbero avuto la stessa convinzione nel cercare di migliorarsi anno dopo anno senza l’esempio e lo stimolo di quei successi.
Intendiamoci: non che il tennis femminile italiano non avesse avuto risultati di rilievo prima di quella estate; ma se si vuole individuare un punto di svolta, un momento significativo per datare l’innegabile salto di qualità di questi ultimi anni, credo non si possa che scegliere l’ingresso nella Top ten di Flavia Pennetta.
Nelle interviste di quei giorni Flavia, ventisettenne, diceva di sentirsi altri tre, quattro anni di carriera davanti. E invece dopo cinque anni è ancora capace di abbattere barriere, essendo di nuovo la prima italiana a vincere un torneo Premier Mandatory (il livello massimo della WTA) come Indian Wells.
La Pennetta del 2009 era una giocatrice che stava vivendo una seconda fase di carriera, dopo le difficoltà del 2006-7, in cui aveva avuto problemi fisici e sentimentali molto seri, tanto da portarla ad una crisi che aveva richiesto pazienza e tempi lunghi per poter risalire.
Finalmente aveva trovato l’equilibrio e la forza per affrontare anche le migliori, e stava raccogliendo il frutto di anni di lavoro grazie ad un tennis di ritmo, basato sulla grande capacità di muoversi in orizzontale con rapidità e leggerezza, e poter così giocare bene sia in difesa che in attacco.
Non disponendo di una potenza devastante, Flavia doveva costruirsi il punto attraverso scambi articolati, con cui mettere sotto pressione in modo progressivo le avversarie. E tutto sommato, a parte Serena, con questa impostazione Pennetta è riuscita a tenere testa e a sconfiggere anche tenniste molto potenti come Venus Williams e Sharapova.
Il colpo di Pennetta è sempre stato il rovescio, quello che normalmente la sorregge nei momenti di difficoltà; e con il lungolinea, eseguito con un movimento di naturale eleganza, ha spesso ottenuto i punti decisivi nei match più importanti; non solo nello scambio ma anche con le risposte. Di rovescio non teme nemmeno le esecuzioni di mezzo volo su palle profonde, e questo le consente di stare nel palleggio senza essere costretta ad arretrare e a cedere campo. E con il rovescio gioca efficaci drop-shot.
Il dritto è invece un colpo più costruito, quello che può tradirla nei frangenti di difficoltà, e che nei periodi di cattiva forma fa viaggiare poco la palla. In sostanza è un po’ la cartina di tornasole della sua condizione: se il dritto funziona, significa che il momento è positivo.
Per quanto riguarda i colpi di inizio gioco, direi che Pennetta ha una risposta più che discreta, che le consente di cavarsela bene anche sui kick delle giocatrici più potenti. Nel servizio ha rendimento incostante, più legato alla condizione psicologica che a quella fisica. Per questo anche quando è in forma può capitare la giornata di tensione che fa scendere drasticamente (sotto il 50%) la percentuale di prime.
Del resto la componente caratteriale è per Flavia un aspetto non sempre facile da gestire. In alcuni match la sua ansia diventa tangibile, e può crescere al punto da comprometterle la respirazione. Lei stessa ha raccontato che fin dal suo primissimo incontro, ancora bambina, aveva dovuto fare fronte a un attacco di panico.
Pennetta è stata anche numero uno del mondo di doppio (e ha vinto Masters e Australian Open in coppia con Gisela Dulko) e senza dubbio di volo ci sa fare. Però su questo aspetto del gioco ho un’opinione che penso non convincerà tutti: non credo che in singolare debba cercare molto la rete. Dopo tante partite seguite negli anni, mi sono convinto che faccia troppa fatica nel volleare sulla corsa (con percentuali basse di colpi eseguiti al meglio) per potersi basare su tattiche che richiedano di affrontare spesso la transizione verso la rete.
A questo proposito, farei un ragionamento più generale: secondo me il movimento in verticale è un punto debole di Flavia. In confronto alla sua esemplare mobilità orizzontale, sono sorprendenti le incertezze che incontra nel colpire in modo altrettanto efficace dopo le corse in avanti, e questo anche nelle esecuzioni al rimbalzo nel pressi della rete.
Negli ultimi anni la ricordo davvero incisiva in questa ambito del gioco nei due match vinti contro le italiane (Errani e VInci) agli US Open 2013. Ma più spesso, invece, le doti di tocco e di riflesso che mostra nei pressi della rete durante i match di doppio vengono meno se non può contare su una posizione statica.
Dicevo che nel 2009 Pennetta stava vivendo la seconda fase di carriera. Oggi, nel 2014, possiamo dire che sia alla terza. Dopo seri dolori al polso e alcuni conseguenti ritiri, nell’agosto 2012 Flavia si è dovuta operare. Non solo, ha cambiato il suo storico allenatore, Gabriel Urpi e ha smesso di giocare con Gisela Dulko, la sua compagna dei maggiori successi in doppio, che ha deciso di ritirarsi.
In sostanza nel giro di pochi mesi Pennetta ha perso tutti insieme i principali riferimenti della sua attività di tennista: allenatore, compagna di doppio (e migliore amica nel circuito) ed efficienza fisica.
Dopo l’operazione Flavia ha iniziato a collaborare con un nuovo coach, sempre spagnolo: Salvador Navarro. La ricordo nei primi match di rientro a Bogotà (febbraio 2013) affrontare le tipiche difficoltà di chi non gioca partite da parecchio tempo: incertezze nel timing, nella posizione durante il palleggio, nell’anticipo dei colpi avversari.
Il recupero è stato lungo e faticoso; faticoso a tal punto che per la mancanza di risultati era arrivata a pensare al ritiro: in fondo a 31 anni compiuti poteva anche essere arrivato il momento di dire basta. Ma il talento non può scomparire nel nulla: dopo grandi disagi, quasi improvvisamente Pennetta ha ritrovato il suo gioco, risalendo in poche settimane dal 166mo posto (24 giugno 2013, prima di Wimbledon) al 31mo del ranking (9 settembre, dopo gli US Open).
Oggi possiamo dire che il lavoro con il nuovo allenatore le ha procurato ulteriori progressi tecnici: ha aumentato la potenza del servizio (e in diversi match i punti ottenuti grazie alla battuta hanno fatto la differenza) e ha imparato a ”sporcare” il dritto. Con un dritto più carico di spin, finalmente Pennetta ha limitato uno dei suoi maggiori problemi: la tendenza che aveva, grazie ai colpi molto puliti, a mettere in palla con il passare dei game le sue avversarie. Questa caratteristica finiva spesso per rendere i suoi match molto “ben giocati”: non solo però da lei, ma anche da chi aveva di fronte, che si ritrovava con il miglior assetto tecnico proprio nelle fasi conclusive e determinanti delle partite. Ed evidentemente Flavia aveva tutto da perdere da questa situazione.
Ancora una volta sono stati gli US Open (2013), con il raggiungimento della prima semifinale Slam, a dare vigore alla terza fase di carriera. Non è stata impresa da poco arrivare in fondo ad un Major avendo come compagne di semifinale Serena, Azarenka e Li Na. Traguardo ottenuto dopo aver sconfitto le teste di serie numero 4, 27, 21, 10 (Errani, Kuznetsova, Halep, Vinci).
Nata sui campi in terra battuta italiani (e poi spagnoli) in realtà Pennetta ha raggiunto sul cemento americano i migliori risultati: a New York negli Slam; e in California (Los Angeles) nel 2009 aveva anche vinto il torneo tecnicamente più qualitativo della sua carriera.
Raccontavo all’inizio come con la conquista della Top ten Pennetta abbia in un certo senso fatto da apripista per l’intero movimento tennistico italiano, e il fatto che la nazione in cui si esprime meglio siano proprio gli Stati Uniti si sposa perfettamente con il ruolo di Flavia.
Infatti nessun popolo quanto quello americano ha radicato nella propria cultura il mito del pioniere; la figura coraggiosa e intraprendente che per prima è capace di raggiungere una nuova meta: è una classica storia dei film western. E come ai tempi della “Gold Rush”, con la vittoria ad Indian Wells per Pennetta la Callifornia è di nuovo tornata terra promessa.