Grigor Dimitrov: "Mi porto dietro la rabbia di un'adolescenza difficile. Il tennis non è tutta la mia vita"

Interviste

Grigor Dimitrov: “Mi porto dietro la rabbia di un’adolescenza difficile. Il tennis non è tutta la mia vita”

Nonostante l’aspetto da bello del tennis e una compagna di talento, Grigor Dimitrov confessa in un’intervista a Joe Shute del Telegraph “di non aver mai conosciuto il benessere da piccolo”. Cresciuto in un ambiente difficile, di cui si porta dietro la ribellione e la rabbia, il 24enne bulgaro ha chiari i suoi obiettivi: “Voglio uno Slam, ma nella vita c’è tanto oltre il tennis”

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Grigor Dimitrov ricorda bene la sua prima visita ai lussureggianti prati del Queen’s Park di Londra. “Avevo 17 anni e ero con degli amici alla fine della Linea Nord. Non avevo un coach, non avevo nessuno, e prendevo la metro ogni giorno alle 6 del mattino. Impiegavo un’ora e mezza per arrivare al Barons Court. Avevo la mia Oyster card, ed ero solo un ragazzo con una borsa per le racchette che ascoltava musica.”
Quello era un torneo junior nel 2008. Probabilmente i suoi compagni pendolari avranno notato appena quello smilzo teenager con il cappello da baseball che ciondolava con le cuffie alle orecchie. Andiamo rapidamente avanti alla scorsa estate dove le cose apparivano differenti. Dimitrov ha appena trionfato agli Aegon Championships del Queen’s, battendo Feliciano Lopez per rivendicare il trofeo, ed ha successivamente eliminato Andy Murray nei quarti di finale a Wimbledon in una imperiosa dimostrazione di ritmo e potenza.
Il pubblico del Centrale, inclusi il Duca e la Duchessa di Cambridge, sussurrava in un collettivo apprezzamento di fronte ai fragorosi servizi e ai letali rovesci in slice, divenuti il suo marchio. Per la fine di quella partita, il già citato bulgaro semi sconosciuto era stato adottato come uno di noi, con il tipico e banale soprannome British per gli sportivi. Alzati, ‘Grigsy’, perché siamo tutti colpiti.

L’ascesa di ‘Baby Fed’

Ci dice qualcosa sulla rapida ascesa dell’attuale n. 11 del mondo, il fatto che questa estate Dimitrov abbia da difendere il titolo al Queen’s, e che nei suoi obiettivi c’è la vittoria a Wimbledon. Dopo aver estromesso Murray nel 2014 è stato eliminato da Novak Djokovic in semifinale, ma resta convinto che, avendo vinto un match cruciale al quarto set, possa procedere per assicurarsi il suo primo Grande Slam. “Ho giocato contro una futura stella”, ammise poi Djokovic.
Il ricordo di ‘Grigsy’ fa ancora sorridere Dimitrov, anche se è solo l’ultimo di una lunga serie di soprannomi: ‘Showtime’ e ‘Primetime’, per la sua audacia e stravaganza in campo, e ‘Baby Fed’ in onore di Roger Federer, del cui semplice stile si suppone sia l’erede. Ma il successo lo ha trovato anche al di là delle sue abilità sportive.

Da tre anni ha una relazione con Maria Sharapova, ex campionessa a Wimbledon. Sono la ‘coppia d’oro’ del tennis, che vola tra una casa condivisa a Monaco e Los Angeles, inseguiti dai paparazzi all’aeroporto. Lo abbiamo incontrato in Aprile al Montecarlo Country Club, sede del Montecarlo Rolex Masters. Dimitrov, che era stato sconfitto nei quarti da Gael Monfils, si presenta indossando un paio di occhiali da sole tartarugati, una felpa blu della Nike, pantaloncini, ed un Rolex d’oro che brilla al sole della Riviera. Nonostante si sia allenato la mattina stessa, i suoi calzini bianchi e le scarpe da tennis nuove sono risparmiati dalla minima spolverata d’argilla – e non è una sorpresa, è l’uomo che ammette che prima di ogni apparizione a Wimbledon, insiste affinché i suoi pantaloncini e t-shirt vengano accuratamente stirati. “Devo essere completamente ordinato”, ammette. Amore per gli abiti a parte, possiede un parco auto di lusso che comprende una Mercedes SLS argentata con sportello ad ali di gabbiano e, si vocifera, una Porche 911 Carrera 4S blu, regalo di Sharapova. “Tutto è personalizzato, dai miei orologi al telefono. Mi piace che ciò che possiedo sia differente. Capisco che possa passare come uno che se la tira, ma fa parte di ciò che sono”. Questo equipaggiamento e il suo bell’aspetto – quelle fossette e l’abbronzatura da tennista – lo hanno etichettato come il bello del circuito. Prima di Sharapova, molti credono abbia avuto una breve relazione con Serena Williams. Nessuna delle parti in causa ha mai parlato di questo, anche se Williams ha fatto un riferimento indiretto a Sharapova, dichiarandosi felice del suo ‘ragazzo dal cuore nero’ durante un’intervista per Rolling Stone magazine del 2013.
Dimitrov, 24 anni, solitamente preferisce evitare le domande personali su Sharapova, ma quando gli ho chiesto cosa avesse regalato alla compagna per il suo 28esimo compleanno, festeggiato il giorno prima che ci incontrassimo, sul suo viso è comparso un grande sorriso innamorato e ha ammesso di aver inviato un enorme mazzo di rose rosse a Stoccarda, dove in quel momento Maria stava giocando. “Sono le sue preferite, e anche le mie. A volte faccio la follia di inviargliene centinaia, una volta le ho inviato 500 rose, il numero più grande.”
Nonostante tutti gli sfarzi di Dimitrov (ha anche guadagnato 5 milioni di dollari in prize money, mentre Nike e Adidas se lo sono conteso per vestirlo in campo), in lui brilla un’aria di spontanea umiltà. Ci incontriamo senza alcuna guardia del corpo o PR – una rarità fra le stelle dello sport – e parla energicamente e minuziosamente durante tutta la nostra conversazione.

“Sono sempre stato un ragazzo che si è adattato a tutto”, racconta. “ Non mi è mai importato di dove andassi a dormire o su quale campo mi sarei allenato. Sicuramente adesso posso permettermi una bella macchina e una bella casa, ma non sono queste le cose che mi rendono felice. In questo momento sei al top, e le persone ti riconoscono, ma quante persone ricorderanno il tuo nome quando tutto sarà finito e i soldi non ti pioveranno più dal cielo?”

Crescere in Bulgaria

Gran parte di questa attitudine trova radici nella sua educazione. Figlio unico, è cresciuto ad Haskovo, una città difficile ad un paio d’ore di auto dalla capitale della Bulgaria, Sofia. Sua madre, Maria, era un’insegnante e giocatrice di pallavolo; il padre, Dimitar, un coach di tennis – sport poco apprezzato in un paese dove dominano attività più mascoline come il calcio, sollevamento pesi e pugilato. Al di là dello straordinario successo delle sorelle Maleeva, che giocarono durante gli anni ‘80 e ‘90, ad oggi le uniche tre sorelle a raggiungere la top 10 nello stesso momento, la Bulgaria non ha mai avuto una storia tennistica. “Benessere è una parola sconosciuta nel nostro vocabolario”, dice. “Sono cresciuto in un quartiere molto povero, circondato da molti ostacoli, per così dire. Era un’area davvero difficile. Non era facile andare in giro per strada. Succedevano sempre delle cose. Era una miscela di crimine e di ambiente poco sano”.

All’età di tre anni, il padre gli diede la sua prima racchetta da tennis, con una parte dell’impugnatura tagliata per adattarsi alla sua presa. “E’ incredibile, ma ricordo quel momento come fosse accaduto ieri”. Suo padre resta il suo eroe. ”Mi ha insegnato tutto: come giocare, come pensare, mi ha spiegato un po’ cos’è la vita.” Anche se Dimitar è rimasto sempre coinvolto nella sua crescita sportiva ( insieme al coach australiano e guru del fitness Roger Rasheed), ed è una presenza regolare durante i suoi tornei, Dimitrov insiste nel dire che non è stata affatto una figura genitoriale dominante, uno spettacolo fin troppo familiare nello sport. “Quando eravamo in campo non l’ho mai considerato come mio padre, era il mio coach. Ovviamente litigavamo. Molte volte mi ha cacciato dagli allenamenti a causa del mio comportamento. Mi trattava come chiunque altro. È stata una delle mie più grandi risorse e mi ha aiutato a diventare la persona che sono. Non mi ha mai viziato. È sempre stato chiaro ed onesto fin dall’inizio.

Questo tipo di onestà è diventato chiaro quando Dimitrov era solo un ragazzo, e suo padre ammise che un’educazione sui campi rotti di Haskovo lo avrebbe condotto lontano. All’età di 15 anni venne mandato alla Sánchez-Casal Academy, una scuola d’elite di Barcellona, l’alma mater di Andy Murray. Il bulgaro, cresciuto in una città difficile, si scontrò con l’austero regime giornaliero segnato da infinite ore di allenamento. “Ero molto ribelle, facevo qualunque cosa volessi. Volevo divertirmi continuamente, uscire con gli amici ed ero sempre in ritardo agli allenamenti. Sono stato espulso dall’accademia un paio di volte – per motivi diversi, non posso dirli tutti”. Racconta allegramente di quando rientrava furtivamente all’alba, scavalcando i cancelli di sicurezza e i cani da guardia. “Quei momenti posso dire che sono stati i migliori della mia vita”. Eppure, nonostante le feste, non ha mai toccato alcool, né fumato una sigaretta. “Avevo visto quello che l’alcool aveva fatto alla gente”.

Allenarsi per diventare una star

Al di là delle ribellioni di gioventù, non è passato molto tempo prima che si iniziasse a parlare di lui come di una potenziale star. Al torneo di Rotterdam, all’età di 17 anni, ha estromesso dal torneo Tomas Berdych e ha strappato un set al numero 1 del mondo Rafael Nadal. Quello stesso anno, il 2008, vinse il titolo juniores sia agli US Open che a Wimbledon. Guardando i suoi vecchi filmati lo si vede vagare senza sosta attraverso il campo scattando alla ricerca del punto. Troviamo volée in tuffo, pallonetti dalla linea di fondo giocati fra le gambe e smash agganciati da dietro la schiena.

Dimitrov parla un inglese quasi perfetto, con quell’accento indefinibile che deriva da una vita passata nel tour. Ha vissuto all’estero da quando ha lasciato casa per trasferirsi a Barcellona. La vita da globetrotter – quando ci incontriamo si sta preparando per andare ad Istanbul – rende ovviamente più faticosa la sua relazione con Sharapova. Spesso giocano tornei in parti opposte del mondo e anche quando il tour femminile e il tour maschile coincidono, cosa che capita 15 volte all’anno – l’allenamento li tiene lontani. “Non è così facile come tutti credono; ok, ci capiamo benissimo e tutto, ma l’assenza dell’altra persona a volte è davvero forte”. I suoi genitori sono rimasti ad Hoskovo – “Ovviamente adesso vivono in un posto migliore” – e quando torna in Bulgaria viene assalito per strada. Così tanto fervore lo si ritrova soltanto nelle raccattapalle del Queen’s Club che svengono alla sua vista, riconoscendo in lui – scherzano gli organizzatori del torneo – l’equivalente di un membro degli One Direction. Mi racconta che a volte al momento di passargli le palle nuove, qualcuna gli sussurra un “in bocca al lupo”. Nel 2013, mentre si trovava sotto di un break nel suo incontro contro l’israeliano Dudi Sela, notò una raccattapalle singhiozzare al lato del campo. “Le dissi di non preoccuparsi, che lo avrei recuperato”. E lo fece.

Dimitrov ha un altro estimatore sulla scena britannica e si tratta di Chris Kermode, ex direttore del torneo del Queen’s e adesso Presidente dell’ATP, il governo del tennis. Offrì una wild card a Dimitrov per il torneo del Queen’s nel 2009 e nel 2010, suscitando le ire della stampa britannica che la considerò una scelta che sarebbe andata a discapito dei giovani talenti cresciuti in casa. I due sono rimasti molto amici, e quando Dimitrov ha vinto il torneo lo scorso anno ha regalato la sua racchetta a Kermode, proprio lì sul campo. “Pensare ad una cosa del genere nel momento della vittoria è straordinario e ovviamente da una misura della persona” ha detto Kermode. “Grigor è molto ambizioso ma riesce a gestirsi molto bene”. Nonostante il patrocinio di Kermode, Dimitrov ci dice di essere stato costretto a lottare contro lo snobismo presente nel mondo dello sport; la percezione che lui sia “soltanto un ragazzo bulgaro”. “In pratica significa che è soltanto una piccola e povera nazione e io che ci sto a fare qui. Per me va bene così. Ho avuto l’opportunità di cambiare nazionalità ma non l’ho mai fatto”.
Ammette il carosello del tour, dove uno è continuamente costretto a combattere contro lo stesso avversario, e non considera amico nessuno dei suoi colleghi. “Una volta che avrò smesso di calcare i campi, non penserò più al tennis. Mi piace mantenere le distanze”.

“La coppia d’oro”

Sharapova, ovviamente, è l’eccezione. Mi chiedo come abbia fatto a trovare il coraggio per chiederle un appuntamento – a parte i suoi 188 centimetri di figura statuaria è chiaramente dura come la pietra – in particolar modo a quel tempo, quando lui era soltanto un piccolo pesciolino. Reagisce con incredulità. “Lo dicono tutti. So che quando la vedi non vorresti nemmeno parlarle ma io ho sempre saputo che c’era qualcosa dietro. Le ho mandato una mail così dal niente. Sento che fra noi c’è sempre stato qualcosa”. “Eravamo entrambi in Cina, io a Shangai e lei a Pechino. Mi sono seduto per pranzare e l’ho vista giocare in televisione. Le ho scritto subito una mail. Abbiamo iniziato a parlare un po’, e un mese dopo quando la stagione era finita, ci siamo incontrati e da cosa nasce cosa”.

Ci racconta che passano il loro tempo insieme come una coppia normale, vanno a passeggio, a fare shopping, a cena fuori. “Riguardo alla ‘coppia d’oro’, in un certo senso penso che sia inevitabile che le persone ne parlino, ma per me – e può sembrare banale – lei è semplicemente Maria. Non la vedo come tutti gli altri. Ci sono altre cose nella vita più importanti di questo. Riguarda le persone e il modo in cui si rapportano con me. È la più grande combattente in circolazione ma per me la cosa finisce lì perché mi considero una persona molto più profonda di tutto ciò”. L’influenza professionale di Sharapova, è tuttavia abbastanza ovvia. Per un certo periodo, le promesse giovanili di Dimitrov avevano lasciato spazio alla sensazione che il suo progresso si fosse arrestato. Nel 2001, dopo essersi qualificato per il suo primo torneo del Grande Slam (gli Australian Open), ha sfiorato l’ingresso nella top50, ma ha finito l’anno al numero 70 del mondo. All’inizio del 2012 era nuovamente sceso fuori dai primi 100. Ammette adesso di aver sentito la pressione. Nel 2013, un discorso pre-match di Sharapova ha guidato Dimitrov alla vittoria contro Djokovic nel secondo turno del torneo di Madrid, il suo primo successo contro un top5. Da allora ha consolidato il suo ranking. “È la semplicità di quello che mi disse. A volte tornare alla base è una combinazione vincente. Ed è successo in quel momento”.

Dice anche che lei tiene in scacco la sua rabbia, un ricordo della sua adolescenza difficile che come lui stesso ammette, è rimasta con lui anche in età adulta. “Penso di aver un bel carattere ma non mi piacciono le persone che mi mettono i bastoni fra le ruote”. Una situazione che si è palesata durante una partita a Helsinki nel 2010 quando Dimitrov spintonò un arbitro – un peccato capitale che nemmeno John McEnroe ha mai commesso. “L’ho rivisto qualche volta dopo quell’episodio e l’ho salutato, ma non gli piaccio molto. Io cerco comunque di essere molto rispettoso”. Adesso i suoi scatti violenti si limitano al rompere qualche racchetta, per una media di circa 20 all’anno – un dato che considera come un miglioramento.

La vita dopo il tennis

Se seguite Grigor Dimitrov sul social media Instagram, come fanno già 191.000 persone, potreste non immaginare subito che si tratta di un giocatore di tennis. Ci sono fotografie di lui che suona la chitarra, che va in bicicletta, che si tuffa nell’oceano e che posa di fronte ad un muro coperto di graffiti; tutto rimanda all’immagine di ragazzo ribelle costruita su misura da un’agenzia di moda. Allo stesso modo, durante il servizio fotografico di questa intervista, i suoi occhi si illuminano quando gli diciamo che non dovrà posare con in mano una racchetta. Invece, si allunga come una pantera, contro i muri bagnati dal sole del Country Club. Perché, quindi, questo apparente disprezzo per lo sport? “Per alcune persone è tutta la loro vita ma io non vedo il tennis come una cosa che sarà per sempre. Al momento è la mia priorità ed è quello che voglio fare. Sto vincendo e i miei obiettivi sono là davanti, ma dopo questo dirò basta con il tennis. Mi piace disegnare, creare e lavorare su cose nuove. Non sarò mai un allenatore di tennis”.

Per il momento le sue ambizioni sono chiare: vincere un Grande Slam. “Ci sto pensando da diversi anni ma non è mai facile compiere quel passo in più e saltare davvero oltre l’ostacolo. Una volta trovata la formula giusta i risultati arriveranno. La stessa cosa è successa ad Andy, per esempio, Novak, anche a Rafa. Lo vedi nei loro occhi”. Questa estate, forse, l’erba inglese rappresenterà l’occasione giusta per ottenere questi successi. Non fate l’errore di pensare che dietro quegli occhiali da sole alla moda non bruci lo stesso fuoco.

 

Traduzione di Chiara Bracco e Silvia Berna

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