La terza vita del tifoso di Roger Federer

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La terza vita del tifoso di Roger Federer

Il fuoriclasse inarrivabile. Il campione tra i campioni. Il declino del più grande di sempre. L’ultimo colpo. Le lunghe vite di Roger Federer e del suo tifoso

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Avevamo lasciato il tifoso di Federer in struggente attesa di conoscere quanto tempo ancora potesse rimanergli, a lui e allo svizzero, prima di ripiombare in quella forma di atarassia che lo aveva colto al virare del millennio. Lo ritroviamo con grandissima sorpresa, tre anni dopo ancora ad arrabbattarsi, ancora a mendicare bellezza e con essa una volta, una volta ancora vi prego, l’ultimo colpo. A Melbourne a New York o, Dio non voglia pensa il tifoso, a Wimbledon; non confesserà mai a sé stesso che quello che davvero vuole qualche centinaio di chilometri più a sud, l’ultimo match contro lui, la zanzara diventata elefante, ingombrante più che se si fosse in una cristalleria. Ma arrivare qui, per il tifoso che aveva vissuto due volte, non è stato semplice.

Ancora una volta aveva visto la fine, quando a Melbourne Andy Murray – sì Murray cosa c’è da guardare? – aveva sì dovuto arrivare al quinto set ma aveva vinto una semifinale che mai, ma proprio mai, era stata in discussione. Un paio di mesi prima Federer aveva di nuovo ceduto il primo posto in classifica e il Master a Djokovic, tutto sembrava finalmente placarsi. Il tifoso di Federer restava sorpreso e indispettito solo dall’ennesima resurrezione dell’uomo chiamato Nadal, a dimostrare, una volta e sempre, che la Storia serve solo a ripetere gli stessi errori. E mentre calendari impietosi infilavano banderillas al corpo di un pover’uomo che si avviava verso i 32 anni, il sigillo finale arrivava proprio da quei luoghi in cui furono felici. A Wimbledon basta uno Stakhovsky qualsiasi, che tante volte aveva offeso il re, per cedere scettro, primato, top5, e persino un po’ di decoro, se è vero che va ad Amburgo e a Gstaad a mostrare la maglietta della salute. Lui, il re, sbuffare semi-immobile contro tennisti di cui non si ha voglia neanche di ricordare il nome.

E lentamente sale il dispetto, ci si amareggia per non aver saputo fare come Sampras, vincere Wimbledon e salutare tutti, da numero 1. Federer perde e perde, regala gioie a Robredo, rischia di non giocare le Finals non si capisce se è più commovente o patetico, se ha senso usare questa parola per qualcuno che si chiama, in fondo, Roger Federer. C’è però grandezza anche nella rovinosa caduta, nella semifinale del Master strappata a del Potro giusto per regalare a Nadal l’unica gioia indoor della carriera, nel cambiare allenatore, nell’affidarsi a quello che “così si gioca solo in paradiso”. Ma anche questa scelta sembrava un modo per chiudere con tutto, prendendosi l’ultima infantile gioia di stare a contatto con qualcuno che doveva essergli sembrato leggenda, quando a neanche 7 anni gli aveva visto alzare la coppa di Wimbledon, gesto che sarebbe mancato per sempre, a poco vale ricordarlo.
Il tifoso aspetta, si incattivisce fino a diventare forse poco elegante, vive per dire “si bravi questi ma lui…” mentre Federer gioca, cambia racchetta, perde ancora con Nadal, arriva a fare una misteriosa finale a Montecarlo, spreca come sempre a Parigi, arriva a Wimbledon. Wimbledon. Ci vuol Wawrinka per fargli perdere un set ai quarti di finale e il Centre Court è un luogo che consoce troppo bene, a differenza del giovane Milos,  troppo acerbo per infastidirlo davvero.
Una finale a Wimbledon nobiliterebbe la carriera di chiunque, ma il tifoso la vive come “nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria”. Djokovic non lo batti è troppo forte. Il problema è Djokovic, quel Djokovic che gioca male, che arriva in finale un po’ così ma che è in grado di giocare ore e ore senza sbagliare mai, senza spettinarsi. E inesorabile il serbo. Perde il primo set ma non si scompone, non è più il ragazzino contro il ragazzo che volava sui campi e neanche l’uomo imbrigliato dalla maggiore solidità – credeteci – del campione capace di ridurlo all’impotenza. Ora Djokovic è il campione e Federer è il vecchio leone, in grado di dare zampate terribili, di avere mezzora da Federer, recuperare da 2-5, annullare match point, arrivare al quinto, farsi imbrigliare da un medical time out di un Nole che non ha voglia di scherzare e che sta scrivendo le sue pagine, finalmente.

Il peso dell’età arriva, Federer fallisce New York ben prima dello stupefacente Cilic, si regala una chissà quanto utile Coppa Davis, è il migliore sì, ma dei secondi. Gli slam diventano un supplizio, ad uno ad uno si chiudono le serie record, persino quell’anima buona di Seppi gli interrompe il ciclo delle semifinali australiane. A Parigi sembra sollevato da perdere con Wawrinka, ogni tanto si permette il lusso di battere Djokovic, ma quando conta non ci arriva neanche vicino, ci vuole quel maledetto verde per far palpitare il disorientato tifoso. Federer regala una partita mai vista prima, il tifoso non ci crede, non è lui, Murray strabuzza gli occhi, i cronisti lo danno favorito, “se gioca così…”. Non gioca così, e il tifoso lo sapeva. Non è Djokovic, è il corpo ed è la testa, che è ridiventata quella del ragazzino che era, solo imprigionata dalla saggezza dei vecchi. Ma l’emotività è la stessa di quando aveva 20 anni invece di racchette rotte, palle break buttate al vento, rischia persino di perdere contro un Nadal che non c’è più, il tifoso abbozza, almeno ha vinto.

È finita, stavolta è davvero finita, Roger ha la barba, non gioca sulla terra rossa, vuole arrivare a giugno. Una volta ancora Roger e poi basta. Lo sai che non è vero, tifoso di Roger Federer, gliene chiederai ancora una e ancora una. Ma quante vite può vivere un tifoso?

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