Nei dintorni di Djokovic: Zagabria, provincia di Buenos Aires

Nei dintorni di Djokovic

Nei dintorni di Djokovic: Zagabria, provincia di Buenos Aires

Sono giorni di amarezza sportiva per la Croazia del tennis, arrivata a sfiorare la seconda Coppa Davis della sua storia prima che l’Argentina con una clamorosa rimonta sfatasse finalmente il proprio tabù in finale. Polemiche in terra croata verso la tanto caldeggiata scelta di Zagabria

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“Chi vince festeggia, chi perde spiega”.

La famosa frase del grande allenatore argentino di pallavolo Julio Velasco conferma la sua validità anche al termine della finale di Coppa Davis di Zagabria, dove proprio la sua nazione di origine ha finalmente conquistato la massima competizione mondiale a squadre del tennis maschile con una fantastica vittoria in rimonta per 3-2 ai danni dei padroni di casa della Croazia.

E mentre, appunto, i due eroi gauchos Juan Martin del Potro e Federico Delbonis staranno festeggiando insieme a tutta la squadra questa storica impresa, in casa croata ci si lecca le ferite. Ferite interiormente molto dolorose, com’è comprensibile che sia quando arrivi veramente ad un passo dall’obiettivo e poi ti ritrovi con un pugno di mosche in mano. Una sconfitta così, dopo essere stati in vantaggio 2-1 e due set sopra nel primo singolare di domenica, è evidente che ci vorrà un po’ di tempo per metabolizzarla. In particolare per Marin Cilic – anche considerato che gli era già capitato due volte quest’anno di farsi rimontare due set, contro Federer a Wimbledon e contro Sock nei quarti di Davis – che da possibile eroe nazionale capace di vincere tutti e tre gli incontri della finale, come non riuscì neanche a Ljubicic nel 2005, è diventato il simbolo della sconfitta. Tanto da non negare (“Devo pensarci” ha detto a caldo dopo la sconfitta con del Potro) di volersi prendere una pausa di riflessione e non rispondere alla prossima convocazione di Krajan.

In realtà però in Croazia pochissimi accusano la squadra della sconfitta: sarebbe stato veramente ingeneroso, dato che si tratta della stessa compagine che solo poche ore prima di capitolare era arrivata a due soli game dalla seconda insalatiera della storia croata e che tutti erano pronti ad osannare per questo.
Per cercare di spiegare, come appunto dice Velasco, questa sconfitta, a Zagabria e dintorni gli argomenti sono altri. Le polemiche divampate sui media croati, appena si sono spente le luci nell’Arena Zagreb, hanno infatti avuto come oggetto il pubblico croato che ha presenziato alla finale.

Come abbiamo potuto osservare dal vivo anche noi di Ubitennis che eravamo a Zagabriai 2.000 tifosi argentini presenti hanno cantato, applaudito, sostenuto la squadra incessantemente per tutto il weekend, dando alla squadra – lo hanno dichiarato più volte il capitano Orsanic ed i giocatori durante le conferenze stampa – una carica pazzesca. Da brividi come hanno cantato tutti assieme l’inno argentino prima del doppio di sabato. Da brividi come all’inizio del terzo set tra Cilic e del Potro, con il croato avanti 7-6 6-2 e le speranze biancocelesti ridotte al lumicino, abbiano avuto la forza, la grinta, la passione per intonare l’ennesimo coro per il loro giocatore. Ci sono diversi motivi per spiegare come abbia fatto del Potro a firmare una simile rimonta: la carica data alla Torre di Tandil dai suoi connazionali sugli spalti è sicuramente uno di questi. Insomma, gli argentini erano venuti tutti – alcuni anche sobbarcandosi la quarta trasferta dell’anno dal Sudamerica, dato che l’Argentina ha giocato tutti e quattro le sfide della Davis 2016 fuori casa: nell’ordine in Polonia, Italia, Gran Bretagna e Croazia – con un unico obiettivo: vincere la prima Coppa Davis della loro storia.

Il tifo croato si è invece acceso veramente solo a sprazzi. Quelle volte che è accaduto è stato anch’esso incredibilmente coinvolgente, con diecimila persone che cantavano all’unisono, ma appunto è successo molto più di rado. La prima polemica è quindi nata dal fatto che mentre le dichiarazioni ufficiali davano il tutto esaurito già molti giorni prima della finale, si sono notati diversi posti vuoti sugli spalti. Dalle ricostruzioni fatte dai giornali croati, pare che molti biglietti siano andati a sponsor, politici e VIP vari, per i quali la presenza all’Arena Zagreb era più un’occasione per presenziare ad un evento importante, per assistere ad uno spettacolo che per la prima volta fa tappa in Croazia, che non per incitare la nazionale a conquistare la seconda insalatiera nella storia del tennis croato. Così, invece di avere le tribune gremite da veri appassionati e tifosi di tennis pronti a incitare Cilic e compagni per tre giorni con tutto il fiato che avevano in gola, una parte del pubblico di fede croata era composta da persone il cui obiettivo principale era scattare un selfie – anche durante il gioco – da pubblicare presto sui social per far vedere agli amici che loro c’erano. E quindi fatto questo, guardato un pochino lo spettacolo, magari hanno poi preferito continuare in maniera diversa il loro weekend, magari andando in centro città dove proprio negli stessi giorni sono stati inaugurati i famosi mercatini di Natale della capitale croata, tra i più caratteristici d’Europa.
Tanto che adesso in Croazia c’è anche chi sostiene che sarebbe stato molto meglio disputare la finale a Spalato o a Zara, dove il pubblico è da sempre più “caldo” e partecipe. Discussioni un po’ pretestuose, considerato che soprattutto in virtù delle regole imposte dall’ITF per la sede della finale (capienza minima della struttura, collegamenti internazionali dell’aeroporto, livello delle strutture alberghiere) l’unica soluzione veramente percorribile in terra croata era Zagabria.

Alla fine, forse, non c’è nulla da spiegare e non ci sono colpevoli da trovare.
Il bel abbraccio finale di Juan Martin del Potro a Marin Cilic prima della premiazione riporta tutto all’interno della dimensione più logica e naturale per lo sport: quella del risultato del campo. Quell’abbraccio tra due vecchi amici, cresciuti sfidandosi sul campo, che dopo diverse vicissitudini legate a problemi fisici – soprattutto per il 28enne argentino, ma anche al suo coetaneo di Medjugorje non tutto è andato liscio negli ultimi anni – si sono ritrovati nuovamente uno di fronte all’altro, come in campo non accadeva da più di tre anni (dal Masters 1000 di Parigi Bercy del 2013), per cercare di conquistare una grande vittoria per il loro paese, era anche il doveroso abbraccio di consolazione del vincitore al vinto. Perché –  appunto – questa volta in finale, dopo le delusioni del passato per le quattro sconfitte in finale, a gioire ed esultare è stata l’Argentina di del Potro.

Chissà, forse proprio per le delusioni provate, a Zagabria tutti gli argentini – squadra e tifosi al seguito – ci hanno messo tutto quello che avevano per portare finalmente per la prima volta l’insalatiera in Sudamerica. E anche un qualcosa in più. Quel qualcosa in più che probabilmente – selfie o non selfie, biglietti omaggio o meno – i croati, che una Coppa Davis l’avevano già vinta, non avevano dentro di loro.

E allora, semplicemente, chi vince festeggia.
Giustamente e meritatamente.

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