Non ci si può più fidare nemmeno dei favoriti

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Non ci si può più fidare nemmeno dei favoriti

20 tornei nel primo trimestre ATP, soltanto un titolo per la testa di serie numero 1. Soffia il vento del cambiamento?

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Quando Sascha Zverev ha chiuso per bene lo smash sul match point, mandando la pallina nel campo di uno Stan Wawrinka cotto invece che tra i propri piedi, ha dimostrato di aver imparato la lezione americana di 12 mesi fa. Non solo: ha anche completato un paio di dati numerici che possono rivelarsi utili spunti di riflessione. Il primo di essi è che Miami sarà il diciannovesimo torneo, sui venti disputati in questo primo trimestre di ATP World Tour, a veder trionfare qualcuno di diverso dalla testa di serie numero 1. Complici i forfait di Andy Murray e Novak Djokovic, il Masters di Key Biscayne era il primo della sua specie (il formato così come lo vediamo ora esiste dal 2009) a non portare in tabellone nessuno tra i primi due del ranking ATP. Il vincitore predestinato per classifica era dunque Wawrinka, che però, con i suoi appena tre game vinti negli ultimi due set, ha fatto la fine di cui sopra.

Se il caso della Florida era, appunto, particolare, e Stan non è esattamente il più prevedibile dei tennisti, il microbico 1/20 di upset sventati dice inevitabilmente qualcosa sull’attuale tendenza del circuito maschile. Da gennaio ad oggi, l’unico a difendere il proprio status di favorito del main draw è stato Murray a Dubai – e per farlo ha dovuto annullare ben sette match point! Last year today, a questo stesso punto lo scorso anno, già otto numeri uno del seeding avevano sollevato un trofeo: Djokovic (Doha, Australian Open, Indian Wells, Miami), Wawrinka (Chennai), Gasquet (Montpellier), Bautista Agut (Sofia) e Nishikori (Memphis). Situazione quasi identica due e tre anni fa, quando erano stati in sette a riuscire nella “non impresa”. Risulta dunque evidente come questa stagione 2017 faccia da eccezione, all’interno di un trend invece piuttosto consolidato.

Di chi è la colpa, verrebbe da domandare? Prima di rispondere in coro “Murray, il falso numero uno!” oppure “il guru di Djokovic!”, andiamo a dare uno sguardo sommario ai singoli casi. Andy e Nole hanno finora disputato il comprensibilmente ridotto numero di 4 tornei a testa, riuscendo ad evitarsi soltanto per una settimana – proprio l’unica in cui Murray ha vinto, e in cui Djokovic ha potuto ricevere l’unica testa di serie n.1 della sua stagione, cadendo però per braccio di Kyrgios. Pessimo e con poche scusanti è invece lo 0/3 di Marin Cilic, aggravato da due eliminazioni al primo turno, mentre Dominic Thiem allevia il proprio 0/2 con il titolo di Rio (da secondo favorito) e quello di Milos Raonic è parzialmente giustificato da un ritiro per infortunio nel giorno della finale. La colpa quindi sembra essere piuttosto dell’improvvisa concorrenza di più fattori, tutti già largamente annunciati: il declino dei 4-5 dominatori dell’ultimo decennio; l’ormai recidiva incapacità di sostituirli a dovere della cosiddetta generazione perduta; il benedetto insorgere dei nuovi giovani.

Proprio qui viene chiamata in causa la seconda piccola statistica spolverata da Zverev, promessa qualche paragrafo fa. Il tedeschino è uno dei rari teenager a raggiungere i quarti di finale in un torneo 1000, ed è ovviamente in corsa – anche se sarà davvero dura – per diventare uno degli ancor più rari teenager in grado di vincerlo. La discrepanza di risultati raggiunti dai membri più recenti dei due gruppi è alta: il primo comprende Querrey, Gulbis e Coric (curiosamente tutti a Cincinnati) mentre il secondo Djokovic e quattro volte Nadal. Pur consci delle mille difficoltà che un giovane tennista deve affrontare per affermarsi in questo nuovo millennio, sembra che la stagione del cambiamento sia finalmente arrivata. Due titoli per Sock, uno a testa per Thiem, Harrison e Zverev non sono poi poco, specialmente considerando che l’attenzione l’hanno monopolizzata quel vecchietto svizzero e i suoi amici over 30.

L’assenza di “fab fourettes” ci ha abituato, negli ultimi anni, alla maggiore imprevedibilità del risultato finale dei tornei WTA rispetto agli omologhi ATP. Per alcuni è stato un chiaro segno della scarsa costanza mentale delle atlete, e quindi del presunto basso livello del movimento che rappresentano, per altri una perpetua brezza anarchica che aumenta la curiosità dello spettatore. Adesso che anche tra i maschietti ogni status sembra vacillare, e ogni certezza sembra poter essere messa in discussione, bisognerà cercare il lato positivo di questo tennis delle incognite. Lunedì sarà già aprile, che porterà con sé un nuovo trimestre pieno di terra battuta e di tanti altri interrogativi. Uno, molto semplice, li condensa tutti: di chi potremo fidarci sul rosso d’Europa?

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