Diario dalla Caja, day 8: arrivederci Madrid, teatro di tradizione

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Diario dalla Caja, day 8: arrivederci Madrid, teatro di tradizione

MADRID – Resoconto finale dalla Spagna. Vizi e virtù di un torneo spesso controverso, che conferma ogni anno le sue luci e le sue ombre

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dal nostro inviato a Madrid

Alla fine, anche se è il sesto anno negli ultimi sette, non ci si abitua mai del tutto alla miriade di sensazioni spesso contrastanti che può darti il vivere un grande torneo dall’interno. Alcune cose rimangono uguali, altre cambiano; la maggioranza sembrano ripetersi e invece semplicemente rinnovano e arricchiscono il bagaglio della memoria, offrono spunti su cui riflettere, a volte smentendo o confermando convinzioni acquisite con il tempo.

Il combined event di Madrid viene organizzato alla Caja Magica dal 2009 e l’anno prossimo celebrerà quindi il decennale. La tradizione non si acquista al supermercato ma la si può acquisire con il tempo e la struttura che ospita l’evento, pur non esente da critiche, potrebbe garantire al torneo un futuro roseo. Dal punto di vista di chi, come noi, deve conciliare il dilettevole (ovvero la visione delle partite) all’utile (ovvero scrivere, fotografare o riprendere video), le condizioni sono pressoché ottimali. Anche se quest’anno (pare per la minor disponibilità economica) funzionava un solo ascensore dei quattro che servono a raggiungere i diversi livelli della Caja, la conformazione dell’impianto è tale che gli spostamenti sono agevoli e rapidi anche a piedi e ci si può destreggiare con facilità tra i tre stadi principali, il ground, la zona mista in cui vengono rilasciate tutte le interviste che non siano programmate nell’apposita sala conferenze e la players area, in cui ci si reca (solo accompagnati dai due addetti, uno per l’ATP e l’altro per la WTA) per gli one-to-one con giocatori specifici (per intenderci dove abbiamo intervistato Roberta Vinci e Francesca Schiavone).

Nelle prime giornate del torneo, quando allenamenti, partite e interviste si sovrappongono, risparmiare tempo per gli spostamenti è fondamentale e in questo la Caja è perfetta. Così come lo sono, nella quasi totalità dei casi, i voluntarios addetti alla sala stampa e all’accesso ai campi; attenti, pazienti ma cortesemente inflessibili nel far rispettare tempi e spazi.

Sempre nell’ottica del risparmio, il torneo nel corso degli anni ha cambiato pelle (almeno in parte) e qualche agevolazione che in principio veniva riservata a tutti (ad esempio il pasto al ristorante) ora è stata ridotta solo ad alcuni. In fondo, anche se in principio abbiamo ironizzato sul fatto in sé (peraltro tratti in inganno dal testo della mail che in effetti garantiva l’accesso al ristorante ma non specificava a quali condizioni), il grosso numero di accrediti concessi giustifica talune restrizioni. Certo, l’anno della terra blu – irripetibile per tanti aspetti – Ion Tiriac fu di manica assai più larga ma il torneo era ancora nella sua fase promozionale e ogni forma di pubblicità era lecita. Alla stampa vengono peraltro riservate condizioni piuttosto agevolate in quanto al soggiorno perché nell’hotel convenzionato (un 3 stelle di ottimo livello) si paga una doppia 77 euro a notte con abbondante colazione inclusa e l’opportunità di usufruire della transportation per la Caja Magica.

Detto questo, veniamo al tennis giocato. Innanzitutto, va sottolineato l’evidente incremento di pubblico di cui abbiamo avuto conferma in diretta. Il motto più volte ribadito negli anni che agli spagnoli interessa solo Nadal è stato categoricamente smentito in questa edizione. Naturalmente, come in ogni paese del mondo, quando è in campo un loro connazionale il pubblico locale si fa più numeroso e il tifo più caloroso ma il pienone sul campo 4 per Kyrgios-Harrison e il Grand Stand colmo per Dimitrov-Thiem e Cuevas-Zverev stanno a dimostrare che, con il passare del tempo, anche gli spagnoli stanno maturando e sanno apprezzare il buon tennis a prescindere dalla nazionalità di chi scende in campo.

Apriamo ora una piccola parentesi inerente la programmazione delle varie giornate e la collocazione degli incontri. In alcuni casi è sembrato che le scelte fatte dagli organizzatori siano state sbagliate, se non addirittura assurde. Far scendere in campo Thiem e Cuevas quasi alle 23 per disputare la semifinale sapendo che il vincitore avrebbe dovuto rigiocare meno di 24 ore dopo è stato senz’altro penalizzante per l’austriaco ma non ci si deve mai dimenticare che la vendita dei biglietti (i cui prezzi peraltro sono assai abbordabili, almeno fino al giovedì compreso, anche sul Santana e assolutamente convenienti per gli altri campi) rimane un fattore prioritario, da cui deriva la necessità di distribuire i match nei diversi campi e nelle due sessioni del centrale con oculatezza.

Il livello tecnico del torneo è stato nel complesso alto e inverso, nei due singolari, a quello di un anno fa. Infatti, mentre in campo maschile alcuni attesi protagonisti (Djokovic e Murray) hanno mostrato condizioni di forma appena sufficienti, altri hanno dato forfait (del Potro) o si sono ritirati (Tsonga e Nishikori) lasciando spazio a giocatori più o meno emergenti con il solito Nadal a fungere da filo conduttore tra questa edizione e quella del 2016, il singolare femminile ha vissuto diversi momenti particolarmente interessanti come non era successo un anno fa.

Alla fine, i vincitori hanno impreziosito l’albo d’oro e contribuito a modo loro ad aumentare la credibilità del torneo. Rafael Nadal ha sofferto contro Fognini ma le successive vittorie contro Kyrgios e, soprattutto, contro Goffin, Djokovic (contro il quale non la spuntava da oltre mille giorni) e Thiem hanno in un certo modo rivalutato la prestazione del ligure. Lo spagnolo ha ritrovato profondità e solidità difensiva anche su un campo veloce come quello madrileno e, almeno sulla terra, sembra imbattibile. L’austriaco è stato cinque volte a un solo punto dalla sconfitta nella partita più bella ed emozionante del torneo (quella degli ottavi contro Dimitrov) ma ha prenotato il posto di successore dello spagnolo su questa superficie.

Visti da vicino, hanno impressionato anche David Goffin (il cui gioco di piedi è semplicemente straordinario) e Alexander Zverev, quest’ultimo in parte stanco (veniva dalla vittoria a Monaco) e imbrigliato dalla sagacia tattica e tecnica di Cuevas, degno semifinalista. Male, ma non è una novità, il n°1 Murray e il campione in carica Djokovic, finalisti nel 2016. Il britannico pare bloccato dalla responsabilità che gli deriva dal ruolo mentre il serbo è palesemente involuto, tanto da non riuscire quasi mai a fare due cose buone consecutive nel deludente match con Nadal. Questo Nole non è quello vero; l’interrogativo è se lo rivedremo più ai livelli che gli competono.

Simona Halep ha confermato il titolo conquistato nel 2016 (seconda a riuscirci dopo Serena Williams) e anche in questo caso è stata un’italiana a portarla più vicina alla sconfitta. Roberta Vinci è stata infatti avanti di un break nel terzo (5-2), a due punti dal match (5-3, 15-30) e più in generale è stata la giocatrice che più di ogni altra ha messo la rumena alle corde. Passata la paura, la connazionale di patron Tiriac ha cambiato marcia e solo la grande reazione di Kiki Mladenovic in finale le ha impedito di dominare in modo più netto. La francese si è confermata in grande crescita e possibile protagonista nel prossimo futuro ma il torneo è stato ravvivato, lo si voglia o meno, anche dal ritorno di Maria Sharapova e dal tabellone che le ha messo di fronte al secondo turno Eugenie Bouchard.

La canadese, che si era persa per strada dopo gli exploit del 2014 (in cui arrivò ad essere n°5 del mondo), ha ritrovato grinta e motivazioni rendendosi protagonista di alcune tra le partite più emozionanti del torneo, prima tra tutte proprio quella vinta al terzo con la siberiana. Non paga, Genie si è ripetuta con la Kerber per poi crollare al cospetto di Svetlana Kuznetsova; se si è trattato di un nuovo inizio o solo di un fuoco fatuo sarà il futuro a raccontarcelo. Infine, due parole sui doppi. Duemila persone ad assistere a partite di doppio qui proprio non si erano mai viste. Invece sia per i Lopez che per Kyrgios-Sock si è sempre registrato il sold-out. Ed è un bene, perché solo chi lo vede dal vivo capisce veramente il fascino (e la difficoltà) del doppio. Stranamente, ci si lamenta spesso che il singolare è monotono e poco spettacolare poi però lo si continua a preferire al doppio. Forse gli spagnoli hanno capito anche questo.

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