Ritratti: i maestri del Serve&Volley

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Ritratti: i maestri del Serve&Volley

I gesti perduti che hanno reso il tennis un’opera d’arte: dagli australiani a McEnroe, da Sampras fino a Federer

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Una foto d’epoca. Una donna esegue passi di danza. Volteggi. Salti. Arabesque. Una racchetta il suo velo. Un campo da tennis il teatro, la rete il palco. Il mio nome è Suzanne Lenglen e danzo coreografie eterne. Vi dico che su questa terra solcata da questi passi, sorgerà il mio tempio. I messaggi devono andar veloci. Hermes era il messaggero degli Dei e per questo aveva le ali ai piedi. Tra le molteplici funzioni a lui attribuite, Hermes era anche il portatore dei sogni.

Stefan Edberg aveva le ali ai piedi e con la racchetta prendeva sogni per portarli a chi avesse voglia di farne. Solo sfiorato il terreno. Servizio, volée d’approccio, volée di chiusura. La danza “del serve & volley”. Tutto in lui era finalizzato alla conquista del punto a rete. Servizio dal rimbalzo alto, uscita dal servizio che già la rete è vicina per la prima volée chirurgica, incantevole e perfetta, specie quelle basse, che rendevano la volée di chiusura spesso una cosa apparentemente facile. La miglior volée dopo il servizio che si sia vista in tempi moderni. Piedi velocissimi, grandissima sensibilità di mano, Stefan Edberg è stato l’esempio più luminoso ed integralista di giocatore servizio-volée del tennis moderno. Maestro del chip&charge anche, Edberg dietro restava solo se lo costringevano. Là, pur disponendo di un favoloso rovescio al rimbalzo, diveniva un re senza trono, alle prese con un diritto ballerino che per meccanica, funzionava bene solo quando necessitava di aperture brevi se non bloccate. La rete era il luogo dove Stefan consegnava i sogni e per farlo, lì doveva volare.

Anche a Boris Becker piaceva volare. Le sue volée in tuffo sono nell’album dei colpi più spettacolari del tennis all time. Esempio di serve&volley vincente, ma essenzialmente diverso dal suo storico rivale Edberg. Una danza leggera, agile ed elegante, sempre educata quella di Edberg, una espressione di forza, danza passionale e furiosa quella di Becker. Lo chiamarono Bum Bum per la potenza del servizio ed anche dei colpi al rimbalzo, specie il diritto, che gli consentivano soluzioni da fondo impensabili per Stefan. Da urlo le sue risposte bloccate di rovescio, da puro erbivoro… Ma a rete Becker era giocatore vero, mano educata e sensibile. Con Edberg finì per dividersi i tifosi, facendo nascere una delle rivalità esteticamente più belle del tennis moderno. Gli scontri diretti dicono 25 a 10 per il tedesco, ma tra i 10 vinti da Edberg vi sono due finali di Wimbledon, in questo aiutato dalla proverbiale presunzione di Becker nel sentirsi invincibile, specie in quello che sentiva il suo campo ed il suo torneo. Questa, assieme a due gambone dal passo lungo, il limite più grande del tennista tedesco. A Wimbledon, teatro della sua gloria, quattro finali perse e tre vinte il suo bilancio, la più netta ad opera del connazionale Micheal Stich, altro sublime esempio di eleganza nel gioco a rete e di grande rovescio monomano.

Proprio in Germania, per non disperdere il Patrimonio Nazionale della volée in tuffo, hanno trovato un ottimo seguace in Dustin Brown, spettacolare circense giocoliere rasta, uno capace di ribaltare ogni certezza tecnico tattica e logica del tennis sorprendendo tutti con le sue folli trovate, a cominciare da se stesso… Un Brown in giornata è uno spettacolo degno di un free styler ed è certo un fatto bizzarro che i due più rinomati giocolieri del tennis degli ultimi anni siano stati un iraniano francesizzato, Baharami, ed un giamaicano di Germania o tedesco di Giamaica, secondo di come la si vuol vedere e di che rapporto si ha con il reggae.

John McEnroe non era un giocoliere. Pur facendo numeri da altissima giocoleria, era un artista. McEnroe dal serve&volley diabolico e mancino, dai gesti personali e la racchetta a lui come a Dalì un pennello. Creazioni geniali seriali. Di Zverev il fratello, quello sbagliato, perché il predestinato non è lui Misha, ma l’altro Sascha. Il fratello sbagliato ha mano da scultore, quello giusto da marmista. Uno spacca le montagne, l’altro ai pezzi di essa, dà sinuose forme. Nel tennis moderno spaccar le montagne spesso aiuta e cosi’ Sasha verrà ricordato probabilmente per essere stato il” fratello di” e non per essere stato l’ultimo dei giocatori serve & volley in stile anni 80/90 di questo primo scorcio di millennio assieme allo stiloso francese Mahut.

Pat Rafter e Pat Cash, canguri di Australia. Il gentlman ed il rocker. Gran potenza nelle gambe e balzi a coprire la rete. Fenomenale giocatore serve&volley da erba il secondo, bravo anche a fare altro il primo. Cash lo si ricorda per le magistrali volée di diritto, per la bandana che gli valse il soprannome di “pirata”, e per essere stato il primo a rompere il protocollo del vincitore di Wimbledon, scavalcando le tribune per festeggiare col proprio clan. Un fisico troppo potente lo rese soggetto a numerosi infortuni che ne tartassarono la carriera privandolo di altri successi. Pat Rafter ebbe meno infortuni e quindi carriera più fortunata, riuscendo così a portarsi a casa due US Open ed il numero 1 del mondo anche se solo per una settimana. Non vinse mai Wimbledon perdendo due finali consecutive, di cui una con Ivanisevic in una di quelle partite che ti rendono fama eterna per aver partecipato ad una rappresentazione del fato. I due Pat furono gli ultimi eredi del grande tennis australiano che dominò il mondo dalla metà degli anni 50 fino ai primi anni 70, quello dei Rosewall, dei Laver,dei Roche, dei  Newcombe, tennisti nati su erba che quindi avevano naturale propensione per il gioco di volo e di attacco. Altri australiani sarebbero venuti poi, ma la scuola era oramai diversa, più legata ad una concezione del tennis moderno del corri e tira.

Il serve&volley come stile di gioco, ha avuto altri grandi protagonisti, come Krajicek, gran servizio e vincitore di un Wimbledon, come i francesi Forget il classico ma in più acrobata  e tante altre cose Yannick Noah o anche Leconte quando gli veniva voglia di correre. Come Tim “Timbledon” Henman, in assoluto uno dei più grandi interpreti di questo stile di gioco, sfortunatissimo nell’imbattersi sempre in qualcuno che lo ha fregato in volata e che gli ha impedito di vincere qualcosa di importante, essenzialmente Wimbledon che avrebbe meritato come forse solo Rafter tra quelli che non l’hanno mai vinto in tempi moderni.

Il “serve and volley” nel tennis attuale è abbastanza raro vederlo. Una opzione tattica da tirar fuori in qualche occasione per sorprendere l’avversario. Il rallentamento delle superfici, in parte le nuove racchette e soprattutto le nuove corde, hanno favorito più un gioco di potenza da fondo che non un gioco fatto di continue discese a rete, per cui questa tipologia di gioco spettacolare si è pressoché estinta. Il gioco di volo lo si considerava necessario nel bagaglio tecnico di ogni giocatore e veniva curato alla pari degli altri aspetti, pertanto non era raro vedere anche giocatori non propriamente di rete, volleare in maniera egregia, vedi i Wilander, i Lendl, i Mecir e diversi altri senza dover scomodare giocatori comunque d’attacco a tutto campo, quali  gli Ivanisevic, i Korda, i Philippoussis ed altri che a rete comunque ci andavano anche se non alla maniera garibaldina degli angeli della rete.

Lo smash al salto alla Michael Jordan di Pete Sampras non si prende. La palla può essere alta quanto si vuole, lui arriva da dietro di corsa staccando con entrambi i piedi da terra e la schiaccia. Dopo il rimbalzo qualcuno la raccoglierà in tribuna. Il diritto di Sampras è sovente in avanzamento e non si prende. Gliene bastano raramente più di due. Nemmeno il suo passante di diritto in corsa si prende, così come la sua prima palla di servizio. Il suo rovescio si prende, ma a volte ne inventa che non si prendono. Di tocco o di potenza, la volée di Sampras, che la si vada a prendere. Il progetto Sampras consiste nel voler creare il miglior volleatore tra i fondocampisti e il miglior fondo campista tra i volleatori. Sembra una idea folle, ma il Dottor Tennis Frankstein è riuscito a tirar fuori cotal mostro aggiungendovi un paio di gambe esplosive da poter arrivare bene un po’ dappertutto e trasformarsi in Pistol Pete. Sampras è il giocatore serve&volley ad aver vinto di più. Recordman di titoli dello Slam, scavalcato in questa leadership poi da Roger Federer, in una staffetta tra divinità avvenuta a Wimbledon 2001, in un match che ha messo a confronto il “serve &volley” classico di Sampras arricchito da una infinità di invenzioni, tocchi e magie, al gioco comunque classico ma già prefigurante la moderna solidità, specie nei colpi al rimbalzo, di Federer. Sampras ha chiuso un’era, Federer ne ha aperto un’altra ed entrambe hanno il loro nome. Un giorno Federer avrebbe deciso di inglobarle tutte in una storia che ancora si sta scrivendo.

Una foto moderna. Una donna esegue passi di danza. Volteggi. Salti. Arabesque. Una racchetta il suo velo. Un campo da tennis il teatro, la rete il palco. Una danza nata nella Cecoslovacchia di un mondo diverso da quello di adesso. Il mio nome è Martina, il mio Hana, il mio Jana e danziamo coreografie eterne. Dove si son posati i nostri passi, è stato eretto il nostro tempio. Entrate. Tutto quel che vedrete è esistito davvero. Jana Novotná (Brno, 2 ottobre 1968 – Brno, 19 novembre 2017).

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