Il dolore di Murray, le magie di Copil: lacrime al Citi Open

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Il dolore di Murray, le magie di Copil: lacrime al Citi Open

Il torneo di Washington si è appena concluso con il bis di Zverev, ma il momento più emozionante l’abbiamo vissuto durante la sfida tra Andy Murray e Marius Copil

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Qualunque appassionato di tennis abbia avuto l’accortezza – o la fortuna – di vedere l’ultimo incontro notturno degli ottavi di finale del Citi Open di Washington avrà probabilmente vissuto forti emozioni, data l’intensità con la quale i due protagonisti si sono affrontati e un post-partita altamente toccante, come avremo modo di spiegare in coda all’articolo.

Chi scrive, poco accorto ma dotato di un televisore costantemente sintonizzato su Supertennis, lo ha casualmente intercettato alle 7:30 e ha poi rinviato senza indugio e senza rimpianti un paio di appuntamenti per goderselo fino in fondo, quando a Washington saranno ormai passate le tre di notte. Il match in questione ha infatti mostrato agli aficionados un giocatore probabilmente noto solo agli addetti ai lavori (e ai suoi familiari), ma in grado di confezionare in tre set una sessantina di vincenti con tutti i colpi del repertorio tennistico, contrapposto a un celebre campione caparbiamente alla ricerca di se stesso dopo un lungo infortunio: Andy Murray. Come è ormai noto, dopo tre ore di battaglia ha avuto la meglio il cuore del campione, ma chi ha visto l’incontro difficilmente potrà dimenticare le prodezze dello sconfitto, un rumeno di quasi 28 anni, dotato (tra le altre cose) di uno splendido rovescio a una mano e di un nome che sembra lo pseudonimo di un fumettista belga: Marius Copil.

Questo artista poco o per nulla noto al grande pubblico – attualmente al 93esimo posto della classifica ATP – in carriera non è mai andato oltre l’83esimo e per arrivarci ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie. Peccato. Peccato perché se avesse una classifica migliore avremmo la possibilità di ammirare più spesso colpi come il rovescio lungolinea vincente scoccato sul 5 a 5 nel terzo set o la risposta vincente stile SABR del nono game.

Copil non è però un unicum nel panorama rappresentato dai migliori 100 giocatori del mondo. Ve ne sono infatti altri che pur non godendo neppure lontanamente della celebrità dell’archetipo del “bel tennis”, ovvero Roger Federer, sono tuttavia dei virtuosi della racchetta. A titolo esemplificativo citiamo Philip Kohlschreiber, che seppur in grado di raggiungere nel ranking posizioni di tutto rispetto (fu sedicesimo nel 2012), per qualche limite riconducibile a un temperamento non esattamente da guerriero non è mai riuscito a godere appieno delle luci della ribalta e Benoit Paire, sul cui narcisismo Freud avrebbe potuto scrivere un libro. E non solo su quello.

Tra i più prossimi a Copil per classifica, età e notorietà possiamo annoverare il francese Pierre Hugues Herbert, gran talento ma costretto da un fisico un po’ leggero e da un gioco quasi unicamente votato all’attacco a ripiegare (con molto successo) sul doppio. Stefanos Tsitsipas e Denis Shapovalov tra i giovani garantiranno con ogni probabilità per almeno una decina di anni la prosecuzione della specie. È una coincidenza il fatto che in un mondo di rovesci bimani la maggior parte dei giocatori che potremmo definire “belli”, o che più spesso vengono definiti tali, lo giochino ad una mano? Ai posteri (ed ai lettori) la non facile risposta.

Tornando al match tra Murray e Copil, all’inizio dell’articolo abbiamo scritto che esso ha suscitato forti emozioni. Sono principalmente riconducibili ai singhiozzi copiosamente profusi dal vincitore nel suo angolo immediatamente dopo la fine della partita. Un atto spontaneo, incontrollabile, che conferma una volta di più come sotto il profilo dell’umanità Andy detenga – e deterrà probabilmente per sempre – lo scettro del comando tra i Fab 4.

Sarebbe stato bello poter scrivere che erano lacrime di sollievo e di liberazione dall’incubo di non essere in grado di tornare a competere ai massimi livelli. Sarebbe stato bello paragonare queste lacrime a quelle che versò Roger Federer al termine dell’epica e per lui trionfale finale dell’Australian Open 2017. Purtroppo non possiamo farlo, poiché probabilmente si è trattato di lacrime di dolore. Murray infatti si è poi ritirato dal torneo e non ha affrontato Alex de Minaur nei quarti di finale del Citi Open – né giocherà a Toronto, dove avrebbe usufruito di una wild card – poiché ha dichiarato di essere ‘esausto dopo avere giocato così tanto negli ultimi quattro giorni dopo un assenza di 18 mesi dai campi in cemento’.

Purtroppo non tutte le favole hanno un lieto fine, almeno nel breve periodo. Auguriamo a Sir Andrew Barron Murray che il destino più in là nel tempo gli riservi un finale di carriera degno della sua grandezza sportiva e umana.

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