Nadal e Djokovic a Bercy per il numero 1: "Il livello è altissimo"

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Nadal e Djokovic a Bercy per il numero 1: “Il livello è altissimo”

PARIGI – I due campioni in cima al ranking sono le stelle del media day del Masters 1000 parigino. Uniti dalla lotta per la vetta, da un fisico a cui fare attenzione e dalla spinosa esibizione in Arabia

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da Parigi

Quando Rafa Nadal ha iniziato la sua prima conferenza stampa al Rolex Masters di Bercy dicendo “questa città è molto speciale per me è ovvio che stava parlando dell’altra Parigi, quella del maggio sulla terra rossa e dei tanti, tanti trionfi. Ma l’ultimo torneo della regular season del circuito maschile è speciale per tutti: c’è chi saluta, chi fa bilanci, chi già annuncia i progetti per il prossimo annoGrigor Dimitrov ha invitato Andre Agassi ai suoi allenamenti, qualcosa bolle in pentola.

E poi c’è Nadal, che in questa Parigi gelida e al coperto non ha mai vinto ma quest’anno è stato quasi costretto a tornare, dopo che l’infortunio al ginocchio patito nella semifinale degli US Open lo ha tenuto fuori per l’intera trasferta asiatica e ha riportato Novak Djokovic a un passo dalla prima posizione mondiale. A dividerli è una manciata di punti, 35 per l’esattezza: sarà sufficiente al serbo andare avanti un turno in più all’AccorHotels Arena, dove ha trionfato quattro volte, e il sorpasso sarà ultimato. Dovesse riuscirci, sarebbe il primo nella storia del ranking ATP a chiudere al numero uno una stagione in cui si è trovato fuori dalla top 20 (n.22 a maggio). In caso di titolo, inoltre, Djokovic aggancerebbe Rafa a quota 33 titoli Masters 1000.

Per le prime due teste di serie il torneo di Bercy è quindi il punto di arrivo di due curve opposte, almeno per i valori dello stato di forma e delle aspettative. Ho deciso di giocare pochi istanti fa” ha annunciato Nadal quando è stato interrogato sulle sue condizioni, per poi scendere nel dettaglio. “Dopo Flushing Meadows mi sono fermato per un po’ di tempo, poi ho ricominciato ad allenarmi poco alla volta ma riducendo l’intensità. Questo infortunio non è nulla di nuovo, è già successo un paio di volte nella mia carriera e sappiamo qual è il percorso da seguire, ciò che funziona e ciò che non funziona. In queste situazioni le cose non cambiano in breve tempo. Ogni giorno però non vedo l’ora di essere in campo per gli allenamenti”.

Per tornare in campo dall’altro ritiro Slam stagionale, in Australia, a Nadal erano stati necessari quasi tre mesi. Stavolta ci è voluto di meno, ma sarà comunque difficile aspettarsi molto dalla sua settimana, considerato anche che nel corso della sua incredibile carriera Rafa ha vinto appena un titolo sul cemento indoor (Madrid 2005, a 19 anni). Si tratterà più che altro di un test, in vista delle ATP Finals, fino ad oggi ancora un vuoto nella sua bacheca. Considerato che non c’era da parlare troppo di tennis giocato, le domande si sono spostate rapidamente sulla sua Academy di Manacor. La buona notizia è che alle sedi di Maiorca e di Monte-Carlo ne verrà aggiunta una terza oltreoceano, in Messico, sulla Costa Mujeres. Quella cattiva, ovviamente, è legata all’alluvione.

Lo splendido gesto di Nadal verso i suoi concittadini, colpiti da una calamità naturale all’inizio di questo mese, ha ovviamente fatto il giro del mondo. Nel suo sguardo e nelle sue parole è però evidente il dolore per le vite perse, tra cui quelle di persone a lui molto vicine. Dopo aver aperto le porte dell’accademia a chi avesse bisogno di un tetto sotto il quale rifugiarsi, ed essere sceso lui stesso in strada a spazzare via il fango, il trentaduenne ha annunciato di stare organizzando una esibizione di beneficienza per raccogliere fondi, e di essere in contatto con altri top player ma senza ancora alcuna informazione ufficiale da poter diffondere. Un bel gesto, il quale stride però ulteriormente con la sua presenza ad un’altra esibizione…

Proprio insieme a Djokovic, Nadal giocherà un incontro di tennis amichevole a Jeddah, in Arabia Saudita, tre giorni prima di Natale. L’evento è stato pubblicizzato come King Salman Tennis Championship, ed è stato fortemente voluto proprio dal re. Suo figlio, il principe ereditario Mohammad, è stato quasi con certezza il mandante del brutale omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, oppositore del regime da anni auto-esiliato negli Stati Uniti. Spesso capita che il tennis porti i giocatori a svolgere il proprio lavoro in paesi nei quali le condizioni di vita della popolazione non sono del tutto umane, o i diritti civili non vengono rispettati nella loro interezza, ma qui la situazione va oltre e in tantissimi hanno chiesto al maiorchino e al serbo di tirarsi indietro.

Prima l’uno e poi l’altro hanno dato risposte simili ma vaghe, rammaricandosi per l’accaduto e ricordando che il loro commitment risale a oltre un anno fa, tempi non sospetti. Presenza non confermata né cancellata per ora: i due team sono in costante contatto con i sauditi per ottenere maggiori informazioni, “capire con chiarezza cosa sta accadendo e comportarsi in modo razionale e professionale”. “Prenderemo una decisione molto presto” è stata la conclusione di entrambi. Novak in particolare si è giustificato dicendo di voler essere il più apolitico possibile. Come è evidente, però, in storiacce come questa anche non fare nulla si trasforma in una presa di posizione, la quale inevitabilmente rende oggetto di critiche anche aspre.

In attesa di aggiornamenti, testa al campo. Djokovic affronterà Sousa nella prima sfida del suo torneo, in apertura di sessione serale del martedì, ovviamente sul Court Central. Non perde un match dalla Rogers Cup in Canada, e per trovare la sconfitta precedente bisogna risalire alla finale del Queen’s, nella quale ebbe anche match point. Per essere qualcuno dato per sportivamente finito neppure sei mesi fa, si è ripreso molto bene. A rallentare inizialmente il processo, oltre a decisioni non troppo sagge come il cambio di team (poi rimangiato), sono state la fretta e la leggerezza nel valutare lo stato delle cose. “Dopo l’operazione pensavo che sarei tornato al livello che volevo in fretta ha detto, “ma ovviamente non è stato così”

“Quando mi sono riunito con il mio coach e il mio fisioterapista, abbiamo stabilito un piano per tornare al miglior livello per gli US Open. Chiaramente è successo tutto molto prima”. Invitato a paragonare il tennis del suo periodo di assoluto dominio, il triennio 2014-2016, a quello che sta giocando al momento, Djokovic non si è voluto nascondere dietro la falsa modestia: Penso che tra Stati Uniti e Shanghai io abbia giocato meglio di sempre. L’esatto opposto di cinque mesi fa. Ovviamente penso sempre di poter migliorare, ma sento che questo è un livello davvero altissimo. E non voglio suonare arrogante, ma ho sempre saputo che potevo tornarci”. Più che ai guru e ai cosiddetti esperti bisognava dare ascolto a lui: aveva ragione.

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