Il 2018 delle nazioni: grande Italia, male gli USA, Francia al bivio

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Il 2018 delle nazioni: grande Italia, male gli USA, Francia al bivio

6 tornei ATP e 14 Challenger, più di così non si poteva chiedere agli azzurri. Gli USA a secco di Slam, i cugini d’oltralpe in fase di transizione. Bene Australia, Germania e Croazia

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Il tennis è uno sport individuale per eccellenza: a sfidarsi faccia a faccia per la vittoria sono sempre giocatori e giocatrici, da soli, senza l’aiuto di nessuno. Si compete, si soffre, si vince per se stessi. Ed è proprio la naturale vocazione individualista uno degli elementi più affascinanti di questo sport. In principio, l’unica sacra eccezione era la Coppa Davis, competizione maschile a squadre nata nel lontanissimo 1899 e nella quale si affrontano una contro l’altra tutte le nazioni del mondo. Vent’anni dopo venne istituita anche la Federation Cup, poi abbreviata in Fed Cup, ovvero la gemella femminile.

Escludendo la Hopman Cup, minitorneo di esibizione che inaugura la stagione australiana, due competizioni a squadre, in cui invece di giocare per se stessi si gioca per il proprio paese, sembravano un’ intrigante variazione sul tema. Ricche di tradizione e scioviniste al punto giusto, erano ambite dai giocatori e amate dai tifosi. Peccato che recentemente siano diventate fin troppo faticose per i più celebrati professionisti della racchetta, oppressi dalla necessità di accumulare punti e denaro sui circuiti ATP e WTA. Negli ultimi anni le diserzioni sono infatti diventate la regola.

Razionalmente, nel 2018, avremmo dunque dovuto sentir parlare ben poco di tennis per nazioni e men che meno di tennis per regioni geopolitiche disegnate come se si fosse al Risiko. E invece non si è fatto altro che discutere, ancor più che giocare, di competizioni a squadre. È stata la stagione della tanta annunciata riforma della Davis che dal prossimo anno diverrà sostanzialmente una replica condensata dei mondiali di calcio, in campo neutro e con partite ai meglio dei tre set, per la rabbia dei puristi. Peraltro l’unica cosa che andava modificata, ovvero la data, collocata al termine dell’estenuante stagione maschile, è rimasta immutata. E gli stessi tennisti non sono molto contenti, per usare un eufemismo.

Durante le Finals di Londra, proprio il boss del circuito maschile, Chris Kermode, ha annunciato che dal 2020 prenderà il via la ATP Cup, altra competizione a squadre per nazioni. Si giocherà due mesi dopo la nuova Davis con formato praticamente identico ma tanti soldi e punti in palio. Infine, come se non bastasse, a settembre è andata in scena a Chicago la seconda edizione della Laver Cup, l’esibizione creata da Roger Federer che contrappone tennisti europei e provenienti dal resto del mondo. Manco a dirlo nel caso del fenomeno di Basilea, è stato un altro successo. Insomma, nonostante il buon senso indichi il contrario, pare esserci sempre maggiore curiosità di rispondere alla domanda: “Qual è la migliore nazione al mondo nel tennis?”.

E quindi cerchiamo di fare una valutazione per quanto riguarda la stagione appena trascorsa. Per patriottismo oltreché per dovere di cronaca, non si può che partire dall’Italia. Non siamo stati i migliori ma non è mai successo. Tuttavia raramente ci siamo avvicinati così tanto al vertice, quantomeno per quanto riguarda il tennis maschile. Era dal 1976, anno del mitico trionfo in Davis, che i tennisti azzurri non vincevano sei titoli sul circuito maggiore. Davanti a noi solo la Spagna (9). Tre di questi sono arrivati grazie al talento di Fabio Fognini, il nostro uomo di punta, autore della miglior stagione della carriera. Come dimenticare poi l’incredibile semifinale raggiunta al Roland Garros del palermitano Marco Cecchinato, la prima per un azzurro in uno Slam dopo oltre quarant’anni, grazie allo strepitoso successo su Novak Djokovic. E poi c’è stata la definitiva esplosione del giovane Matteo Berrettini, vincitore del suo primo titolo a Gstaad.

Ma anche al piano di sotto, quello dei Challenger, ce la siamo cavata egregiamente con 14 allori, di cui solo sei tra le mura amiche. Meglio hanno fatto solo Stati Uniti e Australia con 17. Siamo molto più lontani dai vertici nel femminile, dove la generazione d’oro di Pennetta e colleghe non ha fatto da traino per le nuove leve. A farci vedere un po’ di luce è stata la finora inaffidabile Camila Giorgi, trovando un’inaspettata continuità di risultati e il suo best ranking della carriera (n.26).

Ma c’è chi abituato a non accontentarsi di tutto questo. Ad esempio gli Stati Uniti che da sempre dominano il mondo del tennis. In questo 2018 lo hanno fatto un po’ meno con un “zeru tituli” nei Major di mourinhana memoria. Tutta colpa di Serena Williams che al ritorno dalla gravidanza si è fermata in finale sia a Wimbledon che a Flushing Meadows. O dell’arbitro Albert Ramos direbbe lei. Tuttavia invece di appellarsi a Santa Serena da Saginaw o aggrapparsi a presunti torti subiti, gli USA dovrebbero cominciare a rimboccarsi le maniche. Sia tra gli uomini che tra le donne hanno profondità. Ma solo Sloane Stephens al momento dà l’idea di poter arrivare in fondo nei tornei importanti. E i 208 centimetri dell’encomiabile John Isner, capace di conquistare il primo 1000 della carriera a Miami e la passerella alla O2 Arena, non bastano a nascondere la brutta stagione di Sam Querrey e quella ancora più brutta di Jack Sock che per consolarsi è ricorso al doppio. E i Next-Gen Frances Tiafoe e Taylor Fritz sono stati bastonati a Milano dai loro coetanei.

Non ride nemmeno la Francia, nazione Slam che non vince Slam da tempo ma che era quantomeno solita ricoprire le classifiche con le proprie bandierine, soprattutto quella ATP. La finale di Davis è una coperta di Linus dalla quale non sbuca praticamente nulla e che fa rimpiangere i tanto criticati quattro moschettieri degli anni zero. Lucas Pouille ha deluso e vien da pensare che forse avesse illuso in precedenza. Dietro a lui ci sono giusto un paio di buoni rincalzi e nemmeno più tanto giovani. Tra le donne per trovare una transalpina bisogna scendere fino alla 19esima posizione di Caroline Garcia. Un anno fa era ottava di poco davanti alla connazionale Kristina Mladenovic, oggi addirittura 47esima. C’est la vie!

La Gran Bretagna orfana di Andy Murray non poteva che naufragare tragicamente come il Titanic dopo aver colpito l’iceberg. Kyle Edmund si è salvato e ora vede la terra promessa chiamata Top 10. Johanna Konta è invece affogata in un mare di sconfitte (23 a fronte di sole 26 vittorie), passando dalla nona alla 37esima posizione in classifica. “God save the queen… and bring the King back”, verrebbe da dire.

Tra le big four si salva solo l’Australia. Merito soprattutto di Alex De Minaur, un piccolo diavolo che a soli 19 anni si sta già facendo largo tra i grandi, e di Ashleigh Barty, un animo che sembrava fin troppo candido per sfondare in un mondo così crudele. Ma anche di un insospettabile John Millman che agli US Open ha scritto la sua storia per i nipotini, sconfiggendo Federer e agguantando un inaspettato quarto di finale. Le turbolenze di Nick Kyrgios e Bernard Tomic sono archiviate. Ma se volessero finalmente dare il loro apporto alla causa l’Australia sarebbe di certo tra le favorite nella nuova Davis.

Un po’ come la Francia, anche la Spagna era abituata ad inondare di giocatori la classifica maschile. Con la differenza che loro avevano un certo Rafa Nadal capace di garantire almeno uno Slam all’anno e sappiamo tutti quale. In tempi più recenti, con i suoi alti e i suoi bassi, anche Garbine Muguruza tra le donne iniziava qualunque torneo con la possibilità di portarsi a casa il trofeo. Nadal è ancora una certezza ma gli anni passano e gli acciacchi aumentano. In questa stagione, Muguruza ha invece speso più tempo a discutere con il suo allenatore che a sparare dritti vincenti. E la situazione da rosea ha assunto tinte fosche. Si diceva che i vari Bautista Agut, Ramos Vinolas e Carreno Busta fossero esempi di come con pochi mezzi si possono ottenere buoni risultati. Ma appunto i mezzi sono quelli che sono e quest’anno si è notato palesemente. L’unica buona notizia è il ritorno ad alti livelli della sempre divertentissima Carla Suarez Navarro.

Sono invece un russo e una mezza polacca a fare le fortune della Germania. Con un’altra stagione molto solida e la ciliegina sulla torta di Londra, a soli 21 anni, Alexander Zverev ha confermato di potersela giocare alla pari con tutti, Djokovic e Federer compresi, anche quando conta. Il passo che porta ai Major potrebbe essere molto breve. Angelique Kerber quel passo lo conosce ormai a memoria e ai Championships ha danzato per la terza volta. Ridendo e scherzando le manca solo il Roland Garros per completare il career grand slam. Peraltro anche le seconde file teutoniche sono di buon livello, al maschile e soprattutto al femminile con una Julia Goerges sempre più affidabile. 

E poi veniamo alle altre nazioni che sono riuscite a distinguersi. Come la Croazia, che ranking alla mano, ha in Marin Cilic e Borna Coric, i due singolaristi migliori al mondo. A Lille non ci poteva essere vittoria più meritata. Come la Russia che ora non è più solo Maria Sharapova e un’altra serie di ragazze che tirano forte. I classe 1996 Karen Khachanov e Daniil Medvedev hanno fatto il salto di qualità, facendo irruzione nella Top 20 mentre Daria Kasatkina è ormai una presenza fissa ai piani altissimi della WTA. C’è poi la Repubblica Ceca che non si è stancata di vincere Fed Cup, sei negli ultimi otto anni, alle quali crede fino in fondo solo lei. Onore al merito però di un movimento di tennis femminile al momento inavvicinabile. Al momento appunto perché altre nazioni emergenti dell’est Europa come l’Ucraina, la Romania o la Bielorussia fanno paura.

Così come impressionanti sono i colpi di Stefanos Tsitsipas. Che non viene da Londra, Parigi, New York o Melbourne ma da Atene. Da quelle parti lì un tennista così non solo non si era mai visto ma nemmeno mai immaginato nella mitologia. Insomma, il 2018 ci ha regalato una geografia del tennis dilatata, in cui le nazioni con più risorse fanno fatica a mantenere risultati di altissimo livello e ogni paese ha la sua chance di emergere. Un trend destinato probabilmente a proseguire e del quale l’Italia ha saputo approfittare in maniera sorprendentemente brillante.

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