Il silenzio di Serena sulla finale di New York

Flash

Il silenzio di Serena sulla finale di New York

“Non rivolgetele domande su quella serata”. L’indicazione è giunta ai cronisti presenti ad Abu Dhabi dallo staff della ventitré volte campionessa Slam. “È il momento di pensare a cose migliori”

Pubblicato

il

 

Quasi quattro mesi lontano dai campi non sono bastati a cancellare un ricordo che pesa come un macigno e deve avere le sembianze, anche per lei che l’ha creata, di una brutta storia. Serena Williams è ai box dall’otto di settembre, giorno della finale dell’Open degli Stati Uniti ceduta a Naomi Osaka nella baraonda dell’Arthur Ashe, con la giovane avversaria traumatizzata, ma evidentemente non intimidita, dai fischi del pubblico di casa e dalle reiterate scenate della campionessa a partire dalla metà del secondo set. Ricevuto un avvertimento ufficiale a causa di un coaching ai più sembrato piuttosto evidente, la ventitré volte regina major ha perso la brocca finendo in lacrime e più volte penalizzata dal malcapitato arbitro di sedia portoghese Carlos Ramos, accusato di essere addirittura un ladro. In un ambiente fattosi impossibile, e citando il nostro cronista di quella sera Luca Baldissera, la ventunenne giapponese ha mantenuto la barra dritta “a bastonate”, sottraendo a Serena il ventiquattresimo alloro Slam con cui avrebbe raggiunto Margaret Court sulla cima delle più titolate tenniste di tutti i tempi.

Una ferita nell’animo tanto profonda quanto più dura a cicatrizzarsi per le modalità con cui si è verificata, oltreché uno scarabocchio all’immagine pubblica di star invincibile e solidale. Una vicenda di cui non si parla volentieri, insomma, come è risultato evidente dalla prima apparizione nei pressi di un campo da tennis degli ultimi centodieci giorni, andata in onda ieri ad Abu Dhabi nell’esibizione persa al supertiebreak contro la sorella Venus. Secondo quanto trasmesso dalla freelance egiziana Reem Abulleil, lo staff di Serena – e non direttamente la giocatrice – avrebbe imposto ai giornalisti il silenzio sulla spinosa questione; una decisione implicitamente confermata dalla stessa ex numero uno delle classifiche mondiali nell’intervista a Sport360, testata con sede a Dubai con cui Abulleil collabora. “Non si scriva che non voglio rispondere a domande relative a quel match, perché non è vero. Semplicemente non ho tempo di continuare a parlarne e in ogni caso se ne è parlato anche troppo. Ora è tempo di spostare l’attenzione su obiettivi più grandi e cose migliori“.

Non una spiegazione convintissima – e convincentissima, aggiungiamo noi – per una Williams che nel 2018 ha giocato la miseria di sette tornei e fallito due finali Slam consecutive, a Wimbledon contro Kerber subito prima della nota debacle newyorchese. Il record, tuttavia, continua ad essere lì a un passo, e nel guado della WTA attuale, affollata da damigelle scostanti e ragazzine dal talento purissimo forse non ancora pronte, la favorita ai nastri di partenza dei tornei che contano continua a essere lei. “Ho iniziato a pensare a questo straordinario traguardo quando ho vinto il ventiduesimo, poi il ventitreesimo. Per me significherebbe moltissimo ma non date niente per scontato: devo battere molte ottime giocatrici per raggiungerlo“. Nell’incertezza generale, e senza necessariamente sperarlo, punteremmo su di lei a Melbourne.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement