Musetti e Sinner, ovvero yin e yang del tennis italiano in erba

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Musetti e Sinner, ovvero yin e yang del tennis italiano in erba

BARLETTA – Jannik Sinner e Lorenzo Musetti non si somigliano in nulla, eppure il loro obiettivo è lo stesso

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Lorenzo Musetti all'Australian Open 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

da Barletta, il nostro inviato

Aggiornamento sul torneo: Musetti agli ottavi di finale

Il tennis italiano ha bisogno di idoli. Lo abbiamo visto con Gianluigi Quinzi, vestito di così tante aspettative dopo essersi dimostrato il più forte tra i piccini di Wimbledon (era il 2013) che la sua attuale 142esima posizione in classifica a qualcuno sembra quasi uno scherzo del destino. Lo stiamo rivedendo in queste settimane con Lorenzo Musetti e Jannik Sinner, rispettivamente classe 2002 e 2001, che approfittando di un certo vuoto di prestazioni dei connazionali adulti hanno dettato la recente linea editoriale dei media tennistici italiani; il primo vincendo da favorito l’Australian Open junior, il secondo sbucando fuori dal nulla per vincere il challenger di Bergamo e subito di seguito un paio di tornei ITF.

Il challenger di Barletta ci ha dato l’occasione di vederli da vicino, uno dopo l’altro, sul campo principale del circolo Hugo Simmen. E di vederli vincere, oltre che esprimere due idee di tennis molto differenti.

JANNIK – Ci siamo seduti sugli spalti – piuttosto gremiti, per essere il lunedì di un challenger – che Sinner aveva vinto appena due game su dieci, sovrastato addirittura per 6-0 nel primo set da Gian Marco Moroni. Poi, un punto dopo l’altro, è parso evidente come mai questo 17enne nato in Alta Pusteria – italiano appena per una manciata di chilometri – abbia attirato prima i sapienti tentacoli di Riccardo Piatti e quindi l’improvviso interesse degli impresari del tennis, timidi prima del suo exploit di Bergamo. Il ragazzo, a fronte di polpaccetti ancora timidi e di un fisico che sembra cresciuto tanto rapidamente da non avergli ancora permesso di abbinare la grazia dei movimenti necessaria, applica una pressione da fondocampo quasi scientifica. Ci dirà a fine partita che il rovescio è il suo colpo migliore, ma in realtà non dispiace affatto neanche quel dritto che Jannik si arroga spesso l’onere di colpire in fase ascensionale. Facendo anche malissimo.

Di tutto l’impianto tennistico di Jannik, sguardato ancor meglio durante l’allenamento defaticante agli ordini di coach Cristian Brandi (qui a Barletta c’è lui al posto di Andrea Volpini, il suo allenatore principale), a stupire di più è lafacilità con cui tiene il palleggio pesante e profondo. Poche concessioni ai fronzoli e tanta, tantissima sostanza. Non che si muova male, ma certamente il primo presupposto del suo tennis è che siano gli altri a dover rincorrere le sue traiettorie.

Se dopo averlo visto rimontare con tanta autorità un dignitosissimo top 250 come Moroni il primo pensiero che ci sfiora riguarda la curiosità di vederlo in campo contro tennisti ancora più strutturati, il successivo è proprio andarglielo a chiedere. Nel favorire l’incontro e il dialogo con i giocatori, l’ambiente rilassato dei challenger è straordinario. “Sì, mi sento già pronto ad affrontare giocatori di livello superiore” ci dice in un italiano che ci aspettavamo più incerto, per come ci era stato riferito. Così marcatamente arancione, Jannik non può che ispirare un’innata simpatia. E parlarci non sconfessa le prime sensazioni. “Se è vero che quando sei arrivato ho iniziato a giocar bene beh, allora torna anche domani!” ci suggerisce sorridendo; noi non torneremo e lui in effetti perderà, contro Arnaboldi. Certo non mancheranno le occasioni per scusarci, in futuro.

Della sua vittoria dice che per iniziare a produrre il suo tennis migliore gli è bastato scrollarsi di dosso un po’ di tensione. In quella successione di colpi potenti, sicuri, che tendono a somigliarsi, non è semplice capire quali siano i suoi reali punti di forza. Glielo chiediamo. “Non ci sono delle situazioni di gioco in cui mi sento particolarmente a mio agio. Di sicuro voglio decidere io l’andamento del punto. Se sbaglio, sbaglio io. Mi piace aggredire da fondo campo“. Ma quindi è vero che somiglia a Seppi, al quale è stato già accostato per ovvi motivi di provenienza geografica? “Non troppo, credo di avere più soluzioni di lui!” ci dice con una punta d’orgoglio che non nasconde l’ambizione né può spezzare il fil rouge che lo lega al suo idolo. A rete in realtà ci sembra che Jannik possa e debba ancora lavorare parecchio, ma a quest’età avere margini di miglioramento è in realtà un vantaggio. Specie quando la base è così solida.

Jannik Sinner – ATP Challenger Bergamo 2019 (foto Antonio Milesi)

LORENZO – Ecco, avete presente il taijitu cinese? Fissatene uno, o immaginatelo, e adesso rovesciatelo; se prima avevate Jannik Sinner, adesso avete Lorenzo Musetti. Il ragazzo di Carrara raggiunge il campo al seguito di coach Simone Tartarini e di Filippo Volandri, che in qualità di responsabile tecnico del centro di Tirrenia segue da vicino il diamante più luccicante tra quelli in orbita federale.

Come passare dal bianco al nero, e non solo perché Musetti il rovescio lo gioca con una sola mano; il campo racconta una storia completamente diversa rispetto a venti minuti prima. Jannik sembrava quasi non curarsi dei panni che indossa, Lorenzo veste con un certo stile l’ultimo modello fornitogli dalla Nike e ci abbina un berretto infilato al contrario; la palla di Jannik incedeva inesorabile, potente, netta, quella di Lorenzo è un turbinìo di rotazioni diverse che, apprezzate alle spalle del suo avversario, riconciliano col gesto. Jannik aveva incrociato di rado lo sguardo del suo angolo durante la partita, Lorenzo cerca il suo allenatore dopo ogni punto, che sia per frustrazione o per riceverne l’approvazione. Di Jannik abbiamo scoperto la voce solo a partita finita, Lorenzo invece parla parecchio, prendendosela con se stesso o con i cattivi rimbalzi.

Jannik gioca un tennis in prosa, brutalmente efficace e diretto, quello di Lorenzo è invece più un tentativo di poesia. E dobbiamo dirlo, spesso riuscito. Nel corso del 6-3 6-4 molto convincente rifilato a Gastao Elias – ex n.57 ATP ora precipitato fuori dai 300 – il 17enne fa vedere cose egregie, e in particolare questa palla corta ‘anomala’ ci ha ricordato esecuzioni ammirate su palcoscenici ben più illustri.

Nel corso dei circa ottanta minuti di partita Lorenzo si esibisce in serve&volley, demi-volée di pregevole fattura, strettini di dritto e colpi che persino il suo coach si stupisce di vedergli giocare. La palla non troppo pesante di Elias gli permette di sfoggiare tutto il campionario e persino di sciupare impunemente qualche occasione per rendere il passivo ancora più pesante. L’allenatore non smette mai di incitarlo, ben attento a trasmettere solo sensazioni positive anche quando vorrebbe essere più duro per rimarcare un errore che non avrebbe voluto vedere. Sa benissimo che non basterà sempre, come oggi, vincere i punti belli e lasciare all’avversario quelli brutti e sporchi. E sa benissimo di doverlo insegnare al suo ragazzo. Così come lo sa Volandri, che sul gioiellino di Tirrenia non si sbilancia e predica calma a tutti coloro i quali concede udienza, o un caffè, nelle sale interne del circolo. “Non parliamo di wild card future, procediamo con calma“. Ma si vede che gli brillano gli occhi, quando Lorenzo libera quel rovescio tanto elegante.

In definitiva, Jannik e Lorenzo appaiono diversi in tantissimi aspetti ma forse la differenza principale si può riassumere così: Musetti punta in alto dopo aver attraversato da protagonista i corridoi dell’accademia del tennis, ma per adesso (e fa benissimo!) affronta il tennis degli adulti come un circo nel quale esibirsi da bambino prodigio. Quale indiscutibilmente è. Sinner è quantomai lontano dalla mitologia dello stile, che sa essere insidiosissima soprattutto nel tennis, e si affaccia al mondo dei grandi con il fare del piccolo uomo, precoce lavoratore, persuaso di poter continuare a crescere a ritmo sostenuto. Senza fretta, ma con una certa urgenza.

Perchè accada di mezzo c’è davvero l’oceano, ma che bello sarebbe se un giorno questo dualismo non fosse solo italiano, solo nel piccolo – ma lo ripetiamo, bellissimo: andateli a vedere i challenger! – di Barletta, ma tutto il mondo potesse conoscere la chioma arancione arruffata di Jannik e l’aspetto quasi nobiliare di Lorenzo. Motivati a raggiungere la vetta in due modi così meravigliosamente diversi, così come diversi sono i fulgenti canadesi Auger-Aliassime e Shapovalov. Che fanno invidia al mondo intero, ma mica per caso: Tennis Canada ha investito tanto e bene. La strada maestra è quella.

Un rovescio di Musetti sui campi di Barletta
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