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Al femminile

La generazione 2001 di nuovo protagonista

Dopo Mosca 2018, a Bogotà e Lugano due diciassettenni come Anisimova e Swiatek sono state di nuovo capaci di raggiungere la finale di un International WTA

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Amanda Anisimova - Bogotà 2019
 

Amanda Anisimova
Più seguo Anisimova e più ho l’impressione di fare passi indietro nello stabilire un quadro preciso e definitivo del suo tennis. Però, per una volta, penso che non dipenda tanto dai miei limiti di comprensione, quanto piuttosto dalla sua costante evoluzione: una giocatrice che sta ancora costruendo il proprio modo di stare in campo, attraverso sbalzi di rendimento e cambiamenti sul piano del gioco. In fondo si tratta di un processo del tutto naturale per una giovanissima che compirà 18 anni il 31 agosto, e che ha appena cominciato a misurarsi a livello professionistico.

Iniziamo dall’aspetto forse più immediato: il cosiddetto body language. Se penso alla giocatrice che lo scorso anno a Indian Wells ha stupito tutti grazie ai successi su Pavlyuchenkova e Kvitova (prima di perdere da Pliskova), ho il ricordo di una tennista dai comportamenti piuttosto introversi e controllati: pochi segni di gioia nei momenti positivi, ma anche quasi nessun gesto di insoddisfazione in quelli negativi. In sintesi la si poteva classificare come una tennista “fredda”.

Ma quest’anno l’andamento delle partite ha cominciato a influire in modo più evidente sui comportamenti di Amanda. Per esempio durante il match perso contro Kvitova agli Australian Open 2019. Occorre ricostruire la situazione psicologica del momento: dopo aver sconfitto con una prestazione vicina alla perfezione Aryna Sabalenka (una delle favorite della vigilia) probabilmente Amanda riteneva di avere concrete possibilità di ripetersi contro Petra, visto che l’aveva già battuta in California nel 2018 (6-2, 6-4) . E invece a Melbourne aveva raccolto solo tre game (6-2, 6-1). Ricordando Indian Wells, era del tutto legittimo che fosse delusa, ma anche abbastanza sorprendente che i segnali di frustrazione fossero diventati più espliciti.

La conferma di questo diverso body language lo abbiamo avuto durante il torneo di Bogotà, dove è risultata una giocatrice quasi opposta nel modo di porsi rispetto a Indian Wells 2018: estroversa e comunicativa, e forse anche per questo in grado di diventare la beniamina del pubblico, malgrado nei quarti di finale avesse sconfitto la giocatrice di casa Osorio Serrano. Tanto che mi viene da pensare che il comportamento così controllato dello scorso anno fosse determinato dalla timidezza, dall‘impaccio dell’esordiente in una situazione inedita e di straordinaria importanza per la propria carriera.

In modo sottilmente collegato a questi aspetti considero i cambiamenti tecnici e tattici. Mi spiego: a Indian Wells 2018 avevo avuto la sensazione di una giocatrice molto misurata nei comportamenti come nelle scelte di gioco e perfino nel gesto tecnico. Tanto che avevo faticato a valutarla perché mi sembrava una giocatrice non del tutto spontanea, così ortodossa da risultare quasi scolastica.

Una sensazione del tutto svanita di recente agli Australian Open 2019, dove nei primi turni la qualità del suo gesto mi aveva incantato. In particolare contro Sabalenka: aveva gestito le palle pesanti di Aryna con facilità assoluta, un mix di scioltezza e anticipo capace di produrre potenza senza sforzo apparente; davvero uno spettacolo eccezionale. E anche se il picco contro Aryna era frutto della classica giornata di grazia (che non sempre capita: 6-3, 6-2), era stata comunque una dimostrazione di talento puro impressionante. Così impressionante che durante quel match ho pensato di avere di fronte una predestinata.

Ma siccome si tratta pur sempre di una diciassettenne, non sorprende non averla più rivista nelle ultime settimane a quei livelli “ultraterreni”. Di sicuro non a Bogotà, dove ha conquistato il torneo in modo più prosaico: andando cioè incontro a sbandamenti, a momenti di crisi e di risalita, e dovendo affidarsi al terzo set in quattro occasioni su cinque. Era la numero 78 della classifica e ha vinto i suoi match contro queste avversarie (tra parentesi il ranking): Lisicki (ahimè, oggi 298), Lepchenko (151), Osorio Serrano (438), Haddad Maia (185) e Sharma (138).

Resta comunque il fatto che per come si erano messe le cose in Colombia, tra forfait in extremis (ben 5 lucky loser) ed eliminazioni premature, sin dai quarti Amanda ha dovuto giocare con la scomoda etichetta di favorita, e alla fine ha saputo uscirne con il primo titolo WTA in carriera, e il nuovo best ranking (numero 54), senza farsi sopraffare dalla responsabilità. E a questo vanno aggiunti due aspetti tecnici non così banali.

Il primo: in finale Anisimova ha trovato di fronte un’avversaria probabilmente sottostimata dal ranking. Non conosco a sufficienza Astra Sharma, che negli ultimi anni è stata impegnata nel circuito NCAA delle università americane (come Danielle Collins), ma mi ha divertito vederla giocare. Anche se ha lasciato qualche dubbio sulla consistenza del suo rovescio, ha comunque dato prova di avere un dritto molto incisivo, e soprattutto un grande servizio: non solo potente, ma estremamente completo (palle tese, slice, kick). È vero che Sharma compirà 24 anni in settembre e quindi non è più giovanissima, ma è praticamente esordiente in WTA: misurarsi con le più forti del mondo potrebbe aiutarla a migliorarsi ulteriormente. Con una battuta del genere potrebbe fare strada sui campi più veloci.

Secondo aspetto: per Anisimova la terra battuta è una superficie ancora da scoprire visto che in carriera tra ITF e WTA prima di Bogotà aveva disputato appena 17 match. Non si può dire abbia messo in mostra una grande capacità di scivolare, con questo perdendo una delle più importante risorse per guadagnare tempi di gioco durante lo scambio (rimando a questo articolo di Luca Baldissera che spiega nel dettaglio le ragioni); in compenso sul rosso potrà confermare, come già dimostrato in passato, di possedere anche una discreta palla corta.

Chiusa con successo la breve parentesi sudamericana rimane da sottolineare una curiosità. Dopo l’exploit dello scorso anno a Indian Wells, l’incidente al piede (microfrattura) subito a Miami 2018 le aveva pregiudicato la traferta in Europa, obbligandola a rinunciare sia ai tornei su terra che a quelli su erba. In pratica se si esclude un solo match affrontato a 15 anni da wild card al Roland Garros 2017, Anisimova in Europa non ha mai giocato alcun torneo professionistico. Un motivo di interesse in più di cui tenere conto nelle prossime settimane.

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