La parola a Kosmos: la genesi della nuova Coppa Davis

Coppa Davis

La parola a Kosmos: la genesi della nuova Coppa Davis

Intervista esclusiva con Javier Alonso, CEO di Kosmos, e il responsabile sportivo Galo Blanco. Un viaggio dietro le quinte della discussa riforma: “Cambiamento necessario, anche se radicale. Stiamo continuando a trattare con l’ATP. Di coppa del mondo ce ne sarà solo una”

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Coppa Davis 2019 (foto via Twitter, @DavisCup)
 

Madrid, 18 novembre 2019. Dopo oltre 100 anni di onorata carriera questa sarà una data fatidica per la coppa Davis, una delle manifestazioni sportive più cariche di fascino e di storia, che a partire da quest’anno cambia completamente pelle. In termini di formula si avrà una prima fase a gironi (qui il sorteggio dei gruppi effettuato il 14 febbraio) che precederà un succoso weekend di quarti, semifinali e finale in rapida sequenza. Superficie rapida, per una ‘Caja Magica’ che ritorna alle origini rispetto all’attuale collocazione nello swing primaverile del mattone tritato.

Niente più weekend spalmati nel corso dell’anno, niente più epiche sfide fuori casa contro il ruggito del pubblico amico, niente più maratone decisive al quinto. Ma è anche vero che le diserzioni ormai erano tante, e l’interesse oggettivamente in declino. Solo il tempo potrà dirci se ne sarà valsa la pena e se questa nuova versione della Davis sarà o meno il grande successo dell’uomo che sta dietro a tutto questo. Come noto ai più questa avventura ha un nome e un cognome ben precisi, Gerard Piquè, il vulcanico capitano del Barca, ma anche insospettabile poliedrico uomo d’affari, fondatore fra le altre cose di Kosmos, la società di media management che è il vettore di questa business venture.

Per capire un po’ meglio allora le dinamiche, il dietro le quinte, i protagonisti, le logiche sottostanti a questa scommessa, siamo andati a Barcellona nel quartier generale di Kosmos, a due passi dalla famosa Avinguda Diagonal. Qua ci hanno accolti Galo Blanco, il responsabile sportivo, e Javier Alonso, CEO di Kosmos Tennis con un passato pluriennale in Dorna, la società di gestione diritti della MotoGp. Chi scrive al momento della decisione presa da ITF era iscritto nel partito degli scettici, ed era quindi mosso da particolare curiosità, visto che sul tema si è detto e scritto tanto. L’impressione alla fine è sicuramente positiva: ci sono effettivamente tanti tasselli che lasciano ben sperare nella riuscita di un evento che obiettivamente negli ultimi ITF faticava a gestire e a far rimanere al passo coi tempi in termini di interesse generato.

L’intervista completa con Javier Alonso e Galo Blanco sarà pubblicata in due parti. In questa prima parte, come è nata la vision di Kosmos, le discussioni con ITF e ATP e l’analisi della prospettiva sportiva. Nella seconda e ultima parte, saranno invece affrontati i temi della sostenibilità economica, i diritti televisivi, la profilazione degli utenti e i social media.


I PRIMI PASSI


Innanzitutto un ringraziamento a entrambi (Javier Alonso e Galo Blanco) per la disponibilità e per cominciare vorrei chiedervi com’è nata l’idea di Kosmos Tennis.
Alonso: Kosmos ha due anni di anzianità come impresa. L’idea di Gerard nasce circa tre anni fa, all’epoca di una conversazione tra lui e un amico di Lugo, Ivan Modià. Ivan, che aveva cominciato la carriera di giornalista, si era poi dedicato all’attività di agente di giocatori di calcio ma voleva in quel momento cambiare ambito di attività. Ivan all’epoca era in contatto con Antonio Pereiro, presidente della federazione tennis di Galizia, che stava preparando la propria candidatura alla presidenza della federazione spagnola e voleva riportare un ATP 250 in terra iberica.

Per portare a casa quel risultato tuttavia aveva bisogno di qualcuno che ci potesse investire e da lì l’idea di chiamare Piqué: riuscì a concretizzare un incontro all’inizio del 2016. Il gallego presentò allora il progetto al capitano del Barcellona, la cui risposta fu contundente: “Vuoi organizzare un piccolo torneo o stare su Wikipedia?”. L’idea di Gerard era convertire la Coppa Davis in una specie di Coppa del mondo. Da questa premessa nasce quindi il progetto di Kosmos tennis (di cui Ivan fa parte, ndr). Nel dicembre 2017 siamo riusciti a presentare l’idea ai massimi rappresentanti dell’ITF, poi a febbraio è stato presentato al board della federazione internazionale, da febbraio ad agosto il progetto si è limato sulla base degli input dei vari soggetti interessati, fino ad arrivare alla versione definitiva votata il 16 agosto negli Stati Uniti, dove siamo riusciti ad ottenere il consenso del 71% delle federazioni tennistiche dell’ITF.

Quando avete iniziato… avete iniziato da zero, e non deve essere stato facile anche solo capire con chi parlare, considerando la frammentazione della governance nel mondo del tennis (ITF, vs ATP, vs Slam, ndr). Come avete deciso di rivolgervi alla ITF? O in qualche momento avete pensato di avviare un tavolo con ATP?
Alonso: Sì, abbiamo parlato anche con ATP. Abbiamo iniziato con la ITF, poi abbiamo intavolato una discussione anche con ATP, per poi tornare nuovamente a parlare con ITF. Alla fine però è vero che c’è un po’ di casino (letterale ndr), però la nostra idea è quella di creare una Coppa del mondo di tennis per nazioni che è qualcosa che mancava. E questo non è solamente importante per la ITF o per la ATP, credo che sia importante per il mondo del tennis in generale. Alla fine era qualcosa che mancava e che invece è presente in ogni altro sport di punta. È chiaro che la Davis era l’unica competizione per nazioni nel tennis e che si prestava a questo scopo, ma noi crediamo nella necessità di parlare con tutti. Abbiamo parlato con ATP, abbiamo parlato con i tornei del Grande Slam, e vogliamo cercare di trovare una collaborazione con tutti. È vero che qualsiasi cambiamento è difficile, tanto più nel mondo dello sport. Pertanto è importante avere anche un orizzonte temporale di lungo periodo, per consentirci di convincere tutti a poco a poco della bontà del progetto.

Blanco: Siamo l’unico gruppo che ha tentato di mediare con tutti gli attori. Io ho passato tutta la vita nel mondo del tennis, e non mi risulta che ATP, ITF e Slam siano mai stati uniti. Ognuno ha sempre pensato per sé e secondo me sarebbe molto importante per il mondo del tennis che tutti questi attori possano ricongiungersi. La nostra idea è parlare con tutti e arrivare ad accordi e sinergie di cui tutti possano beneficiare. Nel mondo dello sport è sempre necessario che vi sia un investimento sul movimento e di solito questo viene fatto dalle federazioni. È vero che nel calcio ormai sono tanti i club che investono direttamente per coltivare i talenti di domani, però questo non succede nel mondo del tennis. Se le federazioni non continuano a organizzare e a dare impulso al movimento al livello junior sarà difficile il ricambio. Io personalmente ho aperto una Accademia, ma normalmente le Accademie sono private e sono costose. E nel mio caso mi piacerebbe contribuire alla crescita del movimento iberico, ma gli spagnoli da me sono solo due, perché non se la possono permettere.

LA PROSPETTIVA SPORTIVA


L’idea è stata quindi quella di comprare i diritti della Davis, un evento con grande tradizione, che praticamente tutti i migliori del mondo sono riusciti a conquistare. Quindi in sostanza investire in un marchio consolidato e con grande tradizione. Ma allora come si concilia questo investimento con lo stravolgimento di quello che è stata per oltre 100 anni la Davis? Ci sono state moltissime discussioni in questo senso, qual è quindi il vostro punto di vista?
Blanco: È tutto verissimo, tutti i migliori l’hanno vinta e tutti aspiravano a vincerla. Però quello che ti posso dire da ex giocatore, è che la Davis poco a poco stava morendo, stava perdendo la sua essenza. Il mio sogno era quello di rappresentare il mio paese e giocare per il mio paese. Alla fine un tennista gioca solo per se stesso tutte le settimane dell’anno, ma le sfide di Davis sono l’unico momento in cui sei parti di una squadra, rappresentando i colori del tuo paese. Ma cosa stava succedendo? Che ultimamente a causa dell’affollamento del calendario i giocatori dovevano dedicare moltissimo tempo a questa competizione.

Con il formato home and away che esisteva fino all’anno scorso, sono quattro settimane all’anno che era necessario dedicare alla Davis, se si voleva arrivare in finale e vincerla. E questo cosa significava? Che se uno voleva fare le cose per bene doveva arrivare per tempo, magari anche la settimana prima… e la settimana dopo uno aveva nelle gambe un impegno di un weekend con magari tre partite consecutive al meglio dei cinque set e questo poteva avere un effetto anche sulla settimana seguente. Risultato? La Davis così com’era, nel caso più estremo andava a impattare per dodici settimane nel calendario di un giocatore. E con quello che pagava la federazione per giocare, per i tennisti non compensava più. E soprattutto per i giocatori che la competizione l’avevano già vinta, diventava pesante, visto che ormai si erano tolti il peso. E con il passare degli anni, con l’aumentare della calibrazione nella preparazione e l’attenzione a non sovraccaricare il fisico, la scelta per una tennista era ovvia.

Il primo torneo che veniva lasciato andare, spesso e volentieri era proprio la Davis. Inoltre va ricordato che la Davis non dà neppure ranking ATP. Quindi ribadisco, dal mio punto di vista la Davis stava perdendo appeal prima di tutto fra i giocatori, specie se consideriamo che secondo me invece la Davis dovrebbe avere il valore e il prestigio di uno Slam. Quello che noi allora facciamo è mantenere il meccanismo home and away per il turno di qualificazione, ma concentrato in una settimana, riducendo l’impegno previsto, e portando la fase finale sulla stessa superficie su cui in quel periodo sono abituati a giocare. Quest’anno ad esempio la fase finale a Madrid è collocata giusto dopo le Finals, e verrà giocata sullo stesso tipo di superficie per evitare cambi drastici che possono portare anche a degli infortuni. Crediamo quindi che questa formula sia valida e che il cambiamento fosse necessario, anche se radicale.

Credo che il primo anno sarà molto importante, voi che ne pensate?
Alonso: In tutti gli eventi il primo anno è ovviamente importante, ma direi che è quasi più importante il secondo. Il primo è facile che si possa avere successo, non fosse altro che per il tema del cambiamento. Abbiamo da poco cominciato a vendere i biglietti e siamo già molto contenti dei risultati raggiunti fin qua. Abbiamo già venduto un buon 10% dei tagliandi a disposizione. A livello di infrastruttura credo che quello che stiamo organizzando a Madrid riuscirà davvero bene. Anche perché la ‘Caja Magica’ è un posto spettacolare, così come la città di Madrid si presta molto bene ad un evento del genere.

L’ideale sarebbe che la coppa Davis e la ATP Cup si potessero unire, e che la Davis potesse fornire punti ATP, anche per incentivare i giocatori.
Alonso: Sono d’accordo, di Coppe del mondo ce ne sarà una sola. Il vantaggio della Davis è che sono le federazioni a rappresentare davvero i paesi. Nadal che gioca come spagnolo è una cosa, altra cosa è che un paese sia rappresentato in una competizione internazionale. Come dicevo prima non siamo preoccupati del breve termine, quello che ci interessa è il medio lungo termine. Abbiamo messo sul tavolo tutte le risorse possibili per poter negoziare e conseguire anche un miglioramento del mondo del tennis. Nell’ultima riunione in cui siamo stati a Londra a novembre, erano presenti tutti gli stakeholders del mondo del tennis e stiamo continuando a cercare soluzioni valide per tutte le parti. Con il vecchio formato la Davis occupava quattro settimane, con il nuovo siamo scesi a due e continuiamo a proporre miglioramenti nel calendario che è uno dei punti critici, anche in relazione alla ATP Cup. Vediamo come si evolveranno le cose.

Articolo e intervista a cura di Federico Bertelli

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