Wimbledon, Berrettini e le ragioni di una sconfitta annunciata, ma non così

Editoriali del Direttore

Wimbledon, Berrettini e le ragioni di una sconfitta annunciata, ma non così

LONDRA – Prima dei quarti si parla già della semifinale Federer-Nadal. I due sono sembrati in forma straordinaria, più di Djokovic che però è quasi certo di aspettare uno di loro in finale. Oggi i quarti donne, dopo gli inattesi KO di Barty, Kvitova e Pliskova

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Matteo Berrettini - Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

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da Londra, il direttore

C’è rimasto male, malissimo Matteo Berrettini, ci siamo rimasti male, malissimo lì per lì, tutti noi di Ubitennis e, immagino, anche gli altri appassionati italiani. Però, a parte il fatto che sarebbe ingiusto adesso dimenticare quel che di buono – tanto – ha fatto Matteo quest’anno per salire a n.20 (e forse 18) del mondo, per raggiungere gli ottavi a Wimbledon (quinto italiano dell’Era Open), si deve riflettere anche su almeno 3 concetti:

1- Roger Federer è il signor Roger Federer, il re di Wimbledon con i suoi 8 titoli e con le sue 351 vittorie negli Slam (un numero di partite che Matteo, come ha sottolineato lui stesso, non ha neppure giocato in tutto il circuito). Come se non bastasse è certo vero che il vero Berrettini non si è visto sul Centre Court, ma Federer è sembrato in forma strepitosa. Ha risposto anche a servizi sui 230 km orari come fossero i servizi di uno che batte a 160. Ha tirato dritti vincenti da tutte le posizioni, ha giocato rovesci slice anche su quei rari missili di dritto che sono rimasti in campo a Matteo, controllandoli come se avesse un polso di ferro e invece è quasi sempre stata una questione di timing e di centro perfetti.

2- Se l’altro under 27, il francesino Ugo Humbert, ha perso anche lui in modo netto, una mezz’oretta a set, 6-3 6-2 6-3, facendo quindi contro Djokovic due game più di Matteo con Federer – e tutti gli altri Next-Gen e Middle Gen sono usciti di scena prima di loro due, con Goffin il più giovane dei quartofinalisti, unico ad avere 28 anni, seguito da Nishikori e Pella a 29, e gli altri 5 over 30 – significa che l’erba è un test che premia gli uomini più maturi, i campioni affermati, più di quelli emergenti. Infatti i tre big, più Nishikori n.8, sono approdati ai quarti… simil-passeggiando. Loro saranno una, due, tre spanne superiori a tutti gli altri, ma ai giovani è giusto dare tempo.

Nel 2014 Fognini perse da Federer facendo un game più di Matteo ma restando sul campo lo stesso identico numero di minuti, 74. E Fognini è arrivato a essere un top 10 soltanto a 32 anni. Perfino Roger Federer, che è stato un tantino meno precoce di Nadal e Djokovic, sebbene già nel 2001 fosse stato in grado di battere Sampras (campione di sette Wimbledon), ha ricordato di aver preso una gran stesa da Agassi all’US Open, citando anche perfettamente il punteggio di quel match: 6-1 6-2 6-4. Due game più di Matteo, gli stessi di Fognini contro di lui. E ha ricordato anche quando, quasi senza rendersi conto del come e perché, perse ad un altro US Open da Max Mirnyi. Se è capitato a Federer non può capitare a Berrettini.

3- Giocare per la prima volta sul Centre Court, e contro Federer che su quel campo ci sta come nel giardino di casa per averci giocato 89 partite, è stato evidentemente un handicap troppo pesante. Ai quarti erano arrivati solo De Morpurgo nel ’28, Pietrangeli 1955 e 1960 (quando poi andò in semifinale e perse 6-4 al quinto da Laver) Panatta nel ’79, Sanguinetti nel ’98. Il peso di cercare di compiere quell’impresa si è rivelato insopportabile e man mano che sprofondava nel punteggio diventavano difficili anche le cose più facili.

Chi ha giocato a tennis in gara, anche ai livelli più bassi, sa cosa vuol dire, ha provato almeno una volta quella sensazione, quando vorresti scavare una buca nel campo e scomparire. Figurarsi davanti a 15.000 spettatori, sapendo che ti stanno guardando davanti alla tv milioni di persone. In quei momenti ti passa per la testa di tutto, anche che hai detto “non voglio apparire presuntuoso, ma devo scendere in campo pensando di poter vincere”. E, come ha poi raccontato Matteo pochi minuti dopo la batosta – perché batosta è stata, non si può negarlo – “in campo non riesci nemmeno a pensare”.

Roger Federer ha capito esattamente quelle sensazioni, per esserci passato anche lui. E Vincenzo Santopadre ha ringraziato Roger per la lezione data al suo allievo. E ha fatto bene, anche se può apparire eccessivo, perché sebbene Matteo sia un ragazzo posato, per nulla presuntuoso o montato neppure dopo essere diventato un top-20, è bene che si sia reso conto anche di certi limiti che Roger ha messo a nudo… non soltanto grazie alla sua cattiva giornata. Li ha evidenziati quando gli ha servito sul dritto da destra, sui punti pari, quando ha giocato quelle rasoiate di rovescio che non si alzavano dall’erba e che Matteo non riusciva a non steccare, quando lo ha martellato sul rovescio fino a farlo sbagliare, quando dopo avergli giocato una smorzata si è messo col naso a due centimetri dalla rete per librarsi in aria e chiudere uno smash a distanza ravvicinata. C’è ancora tanto da imparare… e oggi Berrettini e Santopadre lo sanno più di ieri l’altro. Il lavoro da fare, anche per migliorare la reattività dei piedi, è ancora tanto se si aspira a salire alle vette dei primissimi.

Guai a deprimersi, però. Intanto di Federer ce n’è uno. Poi un ragazzo di 23 anni deve guardare avanti. Avere ambizioni sì, pensare di soddisfarle in pochissimo tempo no. Io posso sbagliarmi, anche se non in modo così clamoroso come quando ho scritto ieri che ero sicuro che Berretto non avrebbe mai perso 6-1 6-2 6-2 (ah se li avessi giocati al Lotto… se vi fosse sfuggito il siparietto della conferenza stampa di Roger al quale mi sono autodenunciato come profeta da strapazzi, lo trovate qui sotto: fatevi una risata. Chi aborre i video può sempre leggersi la traduzione precisa della conversazione), ma secondo me Matteo ha commesso lo stesso errore di Fabbiano contro Verdasco. Ha voluto spaccarlo fino dall’inizio, servendo botte da 230 km orari che però non gli sono entrate che pochissimo – una su tre – finendo per far grippare il motore. Per fargli perdere prima il ritmo, mai più ripreso, appena 3 aces, poi ogni residua fiducia.

Non c’è di peggio quando ti convinci che il servizio non ti entra. Ti contrai, non capisci in che cosa il movimento non funziona come dovrebbe, e non ti entra più, comunque tu provi a cambiarlo. Nel mio piccolo, da seconda categoria, avevo un discreto servizio che mi ha quasi sempre consentito di fare migliori risultati in doppio piuttosto che in singolo. Ma il giorno che decideva di non entrare… potevo anche mettermi a piangere ma proprio non entrava più. Ho giocato una volta al TC Parioli un doppio decisivo di Coppa Croce, il campionato italiano a squadre di un tempo (la B di oggi), in cui ho servito come una vera capra per tutta la partita, dopo che nel match precedente che ci aveva dato il 3 pari avevo battuto benissimo. Inspiegabile. Tanto che sono passati più di 40 anni e me lo ricordo ancora, soffrendone (e un tantino vergognandomene perché feci perdere il mio compagno e la mia squadra). Scusate l’inciso, ma forse serve per dimostrare tutta la mia comprensione a Matteo.

Per il resto, osservando l’allineamento in tabellone dei quarti, con la Spagna che è la sola nazione ad avere due rappresentanti (Nadal e Bautista Agut, entrambi favoriti a raggiungere le semifinali), vedo dall’alto in basso Djokovic-Goffin (5-1 i confronti diretti), Pella-Bautista Agut (0-2), Querrey-Nadal (1-4), Nishikori- Federer (3-7). E, dopo aver fatto presente una curiosità, e cioè che negli ultimi head to head Djokovic ha perso con Goffin, Nadal ha perso con Querrey e Federer ha perso con Nishikori– ma è una curiosità fine a se stessa perché penso che vinceranno invece i favoriti di sempre – noto che il solo outsider (non testa di serie), l’americano Querrey, è un ottimo erbivoro e forse l’imbucato più inatteso è dunque l’argentino Pella, perché sebbene testa di serie n.26, mi sembrava già con un piede sotto la doccia quando era sotto due set a uno contro il nostro Seppi al secondo round.

Poi mi ha sorpreso per aver dato addirittura 3 set a zero a Kevin Anderson, il sudafricano n.4 del seeding, finalista un anno fa. Exploit seguito da un altro non meno sorprendente: 8-6 al quinto a Milos Raonic, altro finalista di Wimbledon, nel 2017. Vuoi vedere che magari batte pure Bautista Agut e arriva in semifinale contro Djokovic (più probabilmente che contro Goffin che ha regolato in 4 set Verdasco)? Attenzione però: Bautista Agut è il solo che deve ancora perdere un set in questo torneo, diversamente da Djokovic, Federer, Nadal e Nishikori che ne hanno ceduto uno. Pella ne ha persi 4, Goffin 3, Querrey 2.

Federer e Nadal, sebbene poco seriamente testati in quest’ultimo round, mi sono apparsi in forma strepitosa. Guai ad azzardare ancora un pronostico, ma è difficile non immaginarseli uno di fronte all’altro in semifinale. E già tutti parlano di quel duello, l’ennesimo, anche se non potrà esserci prima di venerdì.

Ma oggi si giocano i quarti di finale donne, e come un anno fa – quando addirittura erano saltate tutte le prime 10 del mondo – mancano all’appello tutte le sei prime teste di serie: nell’ordine Barty, Osaka, Pliskova, Bertens, Kerber, Kvitova. Superstiti la n.7 Halep, la n.8 Svitolina, ma nella metà superiore si profila minacciosa l’ombra di Serena Williams. All’inizio del torneo… semovente, ma ora in crescendo di condizione. Non mi sarei immaginato che Pliskova potesse perdere da Muchova, che pure mi piace molto, dopo essere andata così sulla lotta prolungata al terzo set. L’esperienza che avrebbe dovuto prevalere si è arresa alla maggior freschezza e intraprendenza della ragazzina ceca.

È finita la favola di Cenerentola Gauff. Halep non è Hercog e fattasi annullare un matchpoint sul 6-3 5-2 – proprio come la slovena – ha però sistemato nel game successivo (6-3 6-3) la ragazzina amministrata da… Federer e dal suo agente Godsick (ripensandoci, che cognome questo Godsick: malato di Dio… ma sarà davvero religioso o la sua religione sarà il denaro?). Tanto di cappello a Coco. A 15 anni ha compiuto un’impresona. Di certo la prima di una serie. Sarò curioso di rivederla all’US Open.

Come curioso sono nei confronti della cinese Shuai Zhang, vendicatasi di Yamstreska che l’aveva battuta a Hong Kong nel 2018, perché ricordo bene un articolo di Chiara Gheza quando il 25 gennaio del 2016, in pieno Australian Open e con lei nei quarti, scrisse del suo spaventoso record negativo: 14 Slam, 14 sconfitte al primo turno, tant’è che lei aveva deciso di giocare il suo ultimo Slam. Quel torneo le fece cambiare idea e ora, da n.50, eccola nei quarti contro Halep. Dall’alto in basso gli accoppiamenti sono Riske-Serena Williams, Strycova-Konta (per la gioia del Regno Unito orfano di Andy Murray… in singolare), Svitolina-Muchova, Halep-Zhang. Temo che solo Serena in finale (o Konta per gli inglesi) saprà suscitare un interesse lontanamente paragonabile a quello che mi aspetto dalle fasi finali del singolare maschile. Dove già si parla del duello di semifinale Federer-Nadal per arrivare a Djokovic, anche se ancora si devono giocare i quarti di finale.

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