Djokovic si fa male. Vince ma rischia di doversi ritirare dallo US Open

Editoriali del Direttore

Djokovic si fa male. Vince ma rischia di doversi ritirare dallo US Open

NEW YORK – Dopocena da brividi per l’infortunio al serbo. È sempre lui il favorito n.1? Sì, ma se torna al 100 per 100. Serena Williams irriconoscibile per un set. Kyrgios non ha tutti i torti ma si esprime male

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Novak Djokovic - US Open 2019 (via Twitter, @ATP_Tour)
 

Anche in un giorno rovinato dalla pioggia, in cui sembrava non fosse successo nulla di significativo fino al dopocena, stava invece per succedere molto, moltissimo. Non solo Serena Williams sembrava la controfigura di quella che aveva demolito Maria Sharapova e perdeva il primo set con una wild card diciassettenne n. 121 del mondo, Cathy McNally, ma per il terzo anno consecutivo un campione in carica del torneo – questa volta Novak Djokovic – dava l’impressione di potersi addirittura ritirare dal torneo. Perdeva 3-0 nel secondo set, sotto di due break con l’argentino Londero, e dal 4-3 del primo aveva chiamato il fisioterapista. Ripetutamente.

Nel 2017 Wawrinka non riuscì neppure a partecipare all’US open, l’anno scorso Nadal si ritirò in semifinale con del Potro. Una maledizione? Nel 2018 il campione, come è noto, è stato Novak Djokovic. Ma il n.1 del mondo, anche se ha finito per battere in tre set Londero, in questo momento forse non è più il grande favorito del torneo. Nole non è infatti apparso del tutto sicuro di poter scendere in campo nel match di terzo turno.

 “Dovrò fare gli ultrasuoni questo giovedì e sentire cosa dicono i medici. Stasera la mia spalla sinistra mi ha dato una gran noia sia al servizio sia al rovescio. Non è facile giocare con questo tipo di sensazione. Non mi è capitato molte volte nella mia carriera. Sono stato anche un po’ fortunato a rimontare nel secondo set. Ho chiesto il medical time out e ai cambi campi ho fatto più ricorso che potevo, nell’ambito delle regole, al fisioterapista, a un soccorso medico. Per il modo in cui quel dolore è cominciato non sapevo davvero se sarei stato in grado di finire il match. Ora sono contento di avercela fatta. Consulterò alcuni esperti domani (oggi per chi legge, ndr) e spero in due giorni di poter tornare a giocare senza sentire dolore, sempre che sia possibile”.

Djokovic, che aveva risposto alla mia prima domanda, ha aggiunto: “Non ho mai avuto questo particolare problema nel corso della mia carriera. Però da un paio di settimane invece mi ha dato gran fastidio…Alcuni giorni di più, altri di meno”. Appariva sinceramente preoccupato. C’è da capirlo. Tuttavia è mia opinione che molto difficilmente si ritirerà. Anche se fosse all’80 per cento contro Lajovic o Kudla – che ieri non hanno potuto giocare per via della pioggia, esattamente come non ha potuto Lorenzi con Kecmanovic (e a Paolo non sarà dispiaciuto aver goduto di 24 ore in più dopo la maratona con Svajda) – Nole sa che probabilmente riuscirebbe a vincere ugualmente. E in quel caso avrebbe poi altri due giorni (quattro in tutto fino a lunedì) per curarsi la spalla dolorante prima del match di ottavi. Che dovrà, semmai, forse giocare contro Stan Wawrinka.

Nole aveva avvertito il male alla spalla sin dai primissimi game. Per questo già sul 4-3 ha chiamato il fisio. È riuscito a vincere lo stesso quel set, ma poi ha rischiato di perdere il secondo. Vinto quello, dopo lo spauracchio di una palla break nel primissimo game, ha regolato abbastanza tranquillamente il terzo set.

A parte questo colpo di scena e la suspense creata da Serena Williams quando ha perso il primo set, per il resto… che noia quando piove! E meno male che c’è il tetto, anzi ce ne sono due, a salvare un minimo una giornata che altrimenti sarebbe stata interamente cancellata.

Vero però quel che dice Roger Federer, con il solito grande equilibrio che lo contraddistingue: “Beh, il tetto aiuta me e non aiuta gli altri. Sono ben consapevole di questo. Il tempo non sembra promettere niente di buono (per la giornata di ieri che infatti per i campi esterni è stata completamente cancellata; n.d.r), almeno da quel che ho sentito. È assai spiacevole. Il tetto va certo bene per i media e le TV. Almeno c’è qualcosa da far vedere e raccontare. Ed è buono anche per i fan che magari hanno pagato biglietti molto cari: così riescono a vedere un po’ di tennis. Penso che questa sia una cosa buona. Per noi giocatori è diverso: va bene per alcuni, ma va molto meno bene per altri. Ritengo che il tetto diventi più importante quando si arriva alle semifinali e alle finali, piuttosto che in un giorno come oggi, perché qui finiranno indietro con il programma, verranno cancellate molte partite e quindi parecchi giocatori si troveranno a dover giocare per due giorni di fila. Quindi sarà dura. In questo caso io sono stato decisamente avvantaggiato da tutto quello che ho fatto (nella vita) per il tennis e dalla mia classifica. Così sono stato messo sul campo centrale, e sotto a un tetto…”.

Roger Federer – US Open 2019 (via Twitter, @usopen)

Tutto il discorso di Roger è ampiamente condivisibile, non fa una piega. Almeno un po’ di partite le abbiamo viste. Che poi, salvo forse Svitolina-Venus Williams, non si preannunciassero e non sono state particolarmente elettrizzanti, perché i match dei top guys contro i comprimari spesso non lo sono, è un altro paio di maniche.

Federer ci ha provato – come già con l’indiano Nagal –  a creare un po’ di suspence, perdendo con il bosniaco Dzumhur (n.99), il primo set (8 vincenti e 17 errori). Poi però si è ripreso, ha cominciato a giocare molto meglio  dopo una temibile palla break annullata nel primo game del secondo, come Luca Baldissera ha ben descritto. Dzumhur era stato anche n.23 del mondo, quindi non è un Carneade come Nagal. Alcuni suoi rovesci lungolinea hanno strappato applausi. Ma il divario era troppo grande perché potesse scapparci la sorpresa.

La suspence – come preannunciato all’inizio -l’ha creata suo malgrado Djokovic…quando ha avvertito il dolore alla spalla. Meno male, per lui e per il torneo, che il fisioterapista, con un massaggio e forse anche un antidolorifico, lo ha rimesso in carreggiata. Però il dubbio sulla sua condizione è rimasto. Da quel momento in poi, infatti, non era davvero facile capire perché Nole alternasse prime sui 190 km orari a seconde a 120. Era paura di sentire più male? Era prudenza?

Forse il suo prossimo avversario di Novak, Kudla o Lajovic che sia, gli cercherà maggiormente il rovescio per mettere alla prova la sua leva sinistra. Il consiglio interessato – ma non serio – che si potrebbe dare a Novak è quello di far rimbalzare un po’ meno la palla all’atto di servire. Non dovrebbero essere sempre necessari 15 o 17 rimbalzi! Servizio dopo servizio quella spalla sinistra è sottoposta a una bella usura… Tornando più seri, se il problema di Nole fosse più importante del percepito, ecco che il serbo non sarebbe più il favorito numero 1 del torneo. Un conto è affrontare è l’argentino Londero, in progresso ma pur sempre soltanto n.56 ATP (e sconfitto 64 76 61), e un altro è battersi eventualmente con un Wawrinka in ottavi o, oggi come oggi peggio ancora, con un Medvedev arazzato nei quarti.

TORNEO FEMMINILE… E L’AFFAIRE NICK – Bella battaglia è stata quella fra Venus Williams e Elina Svitolina che ha finito per vincere 64 64 dopo aver mancato 5 matchpoint sul 5-3, ma quando era Venus al servizio.

Il tifo dell’Armstrong era naturalmente tutto per Venus, 39 anni, campionessa qui nel 2000 e nel 2001 (gli altri 5 Slam sono tutti di Wimbledon) e alla ventunesima partecipazione. Per Elina Svitolina da Odessa c’era almeno un grande tifoso. Il boyfriend Gael Monfils con il quale in questi giorni si è anche allenata: “È divertente allenarsi con lui. E poi per come gioca lui aiuta il mio tennis a reagire più rapidamente. Poi faccio comunque un’ora, o anche un’ora e mezzo, tutti i miei soliti “esercizi” con il mio coach. Infatti la palla di Gael è molto pesante e mi devo invece adeguare anche a un tipo di palla diversa. Con Gael mi alleno soprattutto (giocoforza) in difesa. Con il coach mi abituo a giocare invece in modo più aggressivo”.

Un divertente siparietto Elina lo ha poi vissuto in sala stampa con un giornalista americano che forse sa tutto di Venus Williams ma che, non apparendo troppo informato su di lei, ha esordito così:

  • Il giornalista: Questo è stato il tuo Slam di maggior successo vero?
  • Elina: “No, no, è Wimbledon”. (dopo la semifinale di quest’anno…)
  • G: Certo, certo – un po’ imbarazzato fingendo di ricordare – , ma qui hai fatto dei bei tornei …
  • E: “In verità questo è il mio peggior Slam quanto a risultati”.

Il collega si sarebbe sotterrato. Non ha più osato farle domande.

Al terzo turno Elina incontrerà la Yastremska (19 anni, n.32), altra ucraina…e non solo. “Siamo concittadine ed è bellissimo. Però non ci siamo mai neppure allenate una volta, mai affrontate né in gara né in allenamento. La conosco un po’, parliamo ogni tanto. Sarà un match interessante e va bene… perché almeno un’ucraina sarà negli ottavi. Lei è migliorata molto, ha battuto già diverse buone giocatrici, ha un tennis potente”.

Nella giornata piovosa, anche per impiegare il tempo, in sala stampa si è parlato molto di Kyrgios e della sua sparata nei confronti dell’ATP, accusata in un primo momento di essere corrotta con successiva ritrattazione.

Volevo dire ‘Double Standard’” si è corretto Nick. Sostenendo cioè che ci sono comportamenti disuguali nei confronti dei giocatori. Ad alcuni viene permesso di più, ad altri di meno. Chiaro che Kyrgios, come per certi versi anche Fognini, patisce la cattiva reputazione che si porta dietro. Ma, detto tra noi, Kyrgios che si è certo espresso male, in fondo in fondo dice cose che pensiamo in tanti. Ha insomma qualche buona ragione. La legge non è quasi mai uguale per tutti. Nella vita e nello sport. In nessuno sport. Gli arbitri, anche quando sono in buona fede (e non sempre tutti lo sono), sono quasi inevitabilmente più circospetti nei loro giudizi e interventi quando devono rapportarsi con i giocatori più forti, più leggendari, più carismatici. Accade anche agli arbitri di calcio, VAR o non VAR, nei confronti delle squadre più titolate, mediaticamente più forti. La si chiami sudditanza psicologica oppure in altro modo, fatto sta che è così.

E certo poi la reputazione che un giocatore si è costruito, buona o cattiva che sia, finisce per influenzare i giudizi e i provvedimenti che vengono presi da arbitri e perfino dagli organi giudicanti che ai referti che loro pervengono si debbono forzatamente attenere. Nihil novi sub sole.

Credevo che per una volta saremmo andati a letto presto, sebbene Djokovic, avesse annunciato la sua conferenza stampa 90 minuti dopo la conclusione del suo match, e cioè per le 23,15 ma Serena Williams ha deciso di prolungare la nostra nottata a Flushing fino a oltre mezzanotte. Il ritorno a Manhattan? All’una. Tutte le sere così. Ma guai a lamentarsi.

La diciassettenne Cathy McNally, n.121 e quasi più nota per essere la partner di doppio di Coco Gauff che per i suoi risultati di singolarista ha vinto il primo set 7-5. Serena sarà stata magari meno concentrata e motivata che nella sera della “demolizione” di Maria Sharapova, ma la ragazzina di Cincinnati nata il 20 novembre del 2001 non ha mostrato lì per lì alcun timore reverenziale. Anche se nel secondo e nel terzo set ha pervicacemente servito sul dritto di Serena che, centrato il bazooka, ha ricominciato a giocare come sa, vincendo il secondo set 63 e il terzo 61.

Allenata dalla madre Lynn Nabors-Mc Nally che aveva giocato brevemente nel tour, la ragazza è ben piantata e tira tutti i colpi senza alcuna paura. Sarà anche stato perché non aveva nulla da perdere, ma li sa tirare. Il rovescio è meglio del dritto, come capita a parecchie. E Serena all’inizio sembrava tornata quella di qualche tempo fa. Arrivava sempre in ritardo. Ma solo per un set e un paio di game.

Chiudo andando a letto sperando di vivere un giovedì memorabile, con almeno due vittorie azzurre, quelle di Berrettini su Thompson e di Sonego su Andujar (giocano sullo stesso campo, Matteo secondo match, Lorenzo terzo; trovate qui il programma completo), ma nutro una certa fiducia anche in Thomas Fabbiano, pur sapendo che l’esito del match potrebbe dipendere forse più da Bublik che da lui. Francamente il match più difficile, sulla carta, è quello di Lorenzi con Kecmanovic, ventenne serbo rampante. Ne venisse fare un 4-0, beh… champagne per tutti. 

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