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Al femminile

Vincitrici Slam in crisi

Ostapenko, Muguruza, Stephens, Kerber: giocatrici capaci di vincere di recente i titoli più importanti del tennis stanno attraversando un periodo di appannamento. Perché è accaduto e cosa succederà in futuro?

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Garbine Muguruza - Roland Garros 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Sloane Stephens
Forse non tutti lo ricordano, ma Sloane Stephens non è solo la campionessa degli US Open 2017, ma anche la finalista del Roland Garros 2018. E a Parigi è arrivata davvero a sfiorare il successo, visto che in finale contro Simona Halep si è trovata avanti 6-3, 2-0, prima di subire la rimonta della avversaria. In più nel 2018 ha vinto un Premier prestigioso come Miami (in finale su Ostapenko) e raggiunto la finale anche a Montreal (sconfitta ancora da Halep).

Nell’estate 2018 ha raggiunto il picco nel ranking; è accaduto quando ha potuto sommare negli stessi dodici mesi i risultati citati: la vittoria di New York (settembre 2017), di Miami (marzo 2018) e la finali di Parigi (giugno 2018) e Montreal (agosto 2018). In quel momento era numero 3 del mondo e campionessa in carica dello Slam statunitense.

Nata nel marzo 1993, giocatrice estremamente dotata sul piano fisico e tecnico, Stephens era emersa sin da teenager per alcuni exploit isolati, che però non era mai riuscita a consolidare per mancanza di continuità. Appena diciannovenne aveva mostrato quali fossero le sue potenzialità agli Australian Open 2013, quando era arrivata in semifinale dopo avere sconfitto Halep, Mladenovic, Robson, Jovanovski e soprattutto Serena Williams in un memorabile quarto di finale. Avrebbe perso al penultimo atto dalla futura vincitrice Azarenka.

In quel periodo sembrava lanciatissima verso i piani alti del ranking, e aveva sfiorato la Top 10. Ma poi la crescita si era rivelata più complessa del previsto, a causa di una certa difficoltà ad adattarsi alla routine richiesta a una tennista professionista, che obbliga a lunghi viaggi e a un impegno assiduo, settimana dopo settimana. Un aspetto che è sembrato costare molto a Sloane.

In più, dopo un paio di stagioni fra la Top 20 e la Top 30, problemi fisici l’hanno messa in difficoltà: una frattura da stress al piede l’aveva obbligata a fermarsi alla fine del 2016 e per i primi sei mesi dell’anno successivo. Stephens era rientrata dalla complicata convalescenza solo a Wimbledon 2017.

Come spesso capita in queste vicende, la lontananza dalle competizioni aveva inciso anche sul piano emotivo, ma in senso positivo: il periodo senza partite era servito non solo a guarire fisicamente, ma anche ad aumentare le sue motivazioni e la voglia di fare bene.
E così una volta recuperata la forma, si era presentata a Flushing Meadows 2017 completamente rigenerata a livello mentale. E con più stimoli e voglia di combattere aveva finito addirittura per vincere lo Slam, in finale su Madison Keys.

Il successo agli US Open, come detto, ha dato il via al suo periodo migliore, terminato con la finale raggiunta al Masters di Singapore 2018, persa in tre set contro Elina Svitolina. Nel 2019 però le cose sono andate meno bene. Quest’anno non ha mai raggiunto una finale e il miglior risultato è la semifinale persa a Madrid. E così oggi è uscita dalla Top 10 e si trova al numero 24 della Race. E non è mai stata veramente protagonista nella stagione in corso. Come mai?

Innanzitutto è riemerso, a mio avviso, l‘antico problema caratteriale nei confronti della professione. Se si esclude quel periodo di “riscoperta” del tennis, successivo allo stop per la frattura al piede, Sloane ha mostrato di faticare ad applicarsi con lo stesso impegno in tutti i tornei che disputa. Direi però che in questa stagione ha sempre affrontato seriamente i principali eventi, gli Slam in particolare. E se ha perso, quindi, non è stato per poco impegno, ma per altri ragioni.

La mia interpretazione per la mancanza di risultati di altissimo livello nel 2019 si potrebbe sintetizzare in questo modo: nella difficoltà a trovare un equilibrio tra gli aspetti fisici, quelli tecnico-tattici e quelli mentali del suo tennis.

Mi spiego. Fisicamente Stephens ha molte qualità eccezionali: scattante e veloce come poche, copre benissimo il campo e, se ne ha voglia, può raggiungere praticamente ogni palla, sia nella copertura in orizzontale che verticale. Non credo però che abbia doti di resistenza altrettanto notevoli.

D’altra parte sul piano tattico, pur disponendo di un dritto in grado di spingere la palla a velocità superiori e di un servizio che sfiora i 190 orari, il più delle volte tende a non utilizzarli, preferendo invece soluzioni più conservative e di contenimento. È infatti capace di affrontare interi match servendo prime palle attorno ai 150 orari, concepite più come rimesse in gioco che come colpi aggressivi, giocandosi quindi il punto attraverso scambi elaborati e piuttosto faticosi. Quando però i suoi match si trasformano in dure battaglie al terzo set, tutti questi scambi in contenimento non si rivelano poi così ideali per il suo fisico, specie se si trova contro tenniste che hanno nella resistenza un punto di forza.

Pensiamo alle cinque grandi finale affrontate nel periodo 2017-2018: US Open, Miami, Roland Garros, Montreal, Singapore. Sloane ha vinto in due set le prime due, e perso in tre set le altre. Forse non è un caso: la sensazione che ho avuto nei match persi (due volte contro Halep, una volta contro Svitolina) è che a lungo andare abbia pagato sul piano fisico la minore resistenza rispetto all’avversaria, arrivando meno brillante alle fasi conclusive.

Secondo me, in sostanza, la contraddizione di Stephens è questa; per questioni caratteriali, per indole profonda, tende a preferire il gioco di rimessa. Ma non sono così convinto che questo stile sia il più adatto al suo fisico. Sul piano fisico potrebbe dare il meglio attraverso un tennis in cui, più che la resistenza, siano valorizzate l’agilità, la rapidità e perfino la potenza.

La ricordo a Wimbledon 2019 nella partita di terzo turno persa contro Johanna Konta (che quest’anno è stata la sua bestia nera: 4 match, 4 sconfitte). Vinto il primo set per 6-3 si è trovata nel secondo set per la prima volta ad affrontare una palla break. E improvvisamente, dopo un set e mezzo senza aver mai superato le 100 miglia orarie al servizio, ha sparato una battuta vincente più rapida di quasi venti miglia. Vale a dire 25-30 chilometri all’ora di differenza nel picco della prima di servizio; qualcosa di enorme, quasi incredibile. Eppure per un’ora di gioco Stephens non aveva mai provato una battuta di potenza. Quanti punti facili avrebbe potuto ricavare rischiando di più la prima, se non altro in game con situazioni di punteggio tranquille?

Non sono convinto che affrontare l’erba rinunciando sistematicamente a una risorsa del genere per avere percentuali di battuta più alte, sia una scelta producente. Significa quasi non avere punti facili, ed essere obbligata a entrare nel palleggio molto più frequentemente. Contro Konta a Wimbledon, perso il secondo set per 4-6, Sloane ha finito per cedere nel terzo set alla distanza. Come in altre occasioni importanti.

La trasformazione di Stephens in una tennista soprattutto di contenimento sembra piuttosto avviata, tanto che quest’anno i migliori risultati li ha ottenuti sulla terra (Madrid, Roland Garros, Charleston). Dimenticando, in un certo senso, che le più grandi soddisfazioni di carriera le ha ottenute a Miami e Flushing Meadows, sul cemento, e con un tennis un po’ meno conservativo e di fatica rispetto a quello su terra.

Quale sarà il suo futuro? Difficile dirlo, perché a dispetto del declino del 2019 rimane una giocatrice con doti fisiche superiori e una rarissima completezza tecnica. A mio avviso per tornare ai massimi livelli occorre che ritrovi da una parte la passione verso il tennis dei giorni migliori, e dall’altra il giusto equilibrio fra scelte tecnico-tattiche e caratteristiche fisiche.

a pagina 5: Angelique Kerber

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