Pechino, il Premier migliore dell'anno - Pagina 2 di 4

Al femminile

Pechino, il Premier migliore dell’anno

Naomi Osaka, Ashleigh Barty e Bianca Andreescu sono state le maggiori protagoniste di un torneo di qualità superiore

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Naomi Osaka e Bianca Andreescu - Pechino 2019
 

Ashleigh Barty
Finalista a Pechino, Barty ha confermato il numero 1 del Ranking e anche il primo posto nella Race: un’altra settimana positiva nell’anno in cui ha raggiunto i vertici del circuito. Se in più aggiungiamo che a Wuhan era arrivata in semifinale (sconfitta dalla futura vincitrice Sabalenka) abbiamo un ulteriore dato a favore di cui tenere conto.

Ma una piccola ombra in questo 2019 di grandi traguardi, a mio avviso c’è stata: forse Ashleigh è mancata nei picchi di gioco; per ritrovare le sue migliori partite devo risalire a Miami o addirittura a Sydney, Dopo la primavera, invece, fatico a ricordare una vittoria di qualità trascinante, anche in occasione del successo Slam. Eppure, malgrado questo, nel 2019 nessuna delle attuali Top 10 ha vinto tanti match quanto lei (52 vittorie; seconda è Pliskova con 50, terza Bertens con 48).

Ecco, probabilmente la solidità è stata il maggiore punto di forza del suo 2019. Molto raramente Barty è andata incontro a giornate davvero negative, anche quando non è apparsa scintillante. Il fulcro della sua stagione sono state le 15 vittorie consecutive iniziate con il successo al Roland Garros, continuate con la vittoria a Birmingham e terminate negli ottavi di Wimbledon, per mano di Alison Riske (3-6, 6-2, 6-3). Una striscia di successi decisiva per raggiungere il primato nel ranking,

Nelle sue 15 vittorie consecutive Barty non ha incontrato alcuna Top 10, e solo due Top 20: Julia Goerges a Birmingham e Madison Keys al Roland Garros. Non è un dato del tutto anomalo, ma non è nemmeno così frequente vincere uno Slam senza affrontare Top 10. Sia chiaro: non può diventare una colpa se le avversarie sulla carta più forti si perdono per strada nei primi turni dei tornei; è semplicemente quanto accaduto.

A Pechino Ashleigh ha onorato il primato in classifica arrivando in finale, ma ha sofferto parecchio lungo il percorso. Contro Kvitova nei quarti ha rischiato di cadere in un paio di frangenti: quando dopo aver perso il primo set ha dovuto salvare palle break in tre diversi turni di servizio del secondo; e poi quando si è trovata sotto di un break in apertura di terzo set. Contro Bertens in semifinale ha addirittura fronteggiato un match point nel tiebreak conclusivo del match.

Credo che queste situazioni si possano legittimamente valutare in modi diversi, quasi opposti. Non è il miglior segnale possibile trovarsi in circostanze così difficili durante i match; ma d’altra saper vincere le partite in cui non si gioca benissimo, per alcuni tratti peggio della propria avversaria, è una caratteristica delle grandi giocatrici. Insomma siamo nella classica situazione del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Come ne usciamo?

Provo a trasformare tutti questi elementi in una interpretazione tecnica. A mio avviso difficilmente Barty scende al di sotto di un certo rendimento perché è una tennista davvero completa, a proprio agio in ogni zona di campo, con una qualità difensiva molto buona, una apprezzabile mobilità e due dei tre fondamentali estremamente stabili e incisivi. Mi riferisco al servizio e al dritto.

Il servizio di Ashleigh è uno dei migliori del circuito e spesso è proprio grazie alla prima che riesce a cavarsi di impaccio da punteggi complicati; e sempre grazie alla battuta mette le basi per la tipica combinazione servizio+dritto, che le permette di ottenere tanti punti semplici con notevole continuità.

Resta però qualche limite legato al terzo colpo-base, il rovescio. Le difficoltà che ha Barty nell’eseguire il colpo in topspin e il quasi costante ricorso allo slice, possono, contro alcune avversarie, risultare un problema oggettivo, forse ancora di più quando si gioca sul cemento. Senza il rovescio in topspin viene a mancare una risorsa fondamentale, quella che permette la massima aggressività da un lato del proprio gioco. Il modo migliore di ovviare a questa mancanza è riuscire a girare intorno alla palla e colpire anche dall’angolo sinistro con il dritto anomalo. Ma o si dispone di una mobilità straordinaria (un esempio su tutte: quella inarrivabile di Steffi Graf) che permetta ogni volta di spostarsi con grande rapidità a sinistra, oppure questa possibilità non è sempre attuabile.

Significa ritrovarsi in una situazione di potenziale inferiorità tecnica contro giocatrici particolarmente solide in certe esecuzioni. Penso soprattutto a due tipi di avversarie: quelle più abili con il proprio rovescio a gestire le palle a rimbalzo basso, e poi le mancine, che con il dritto normalmente fanno meno fatica a controllare la parabola sfuggente dello slice.

E direi che Pechino ne è stata la conferma: contro la mancina Kvitova, Ashleigh ha avuto la meglio sul piano della resistenza, dopo aver però sofferto moltissimo nella prima parte di match. Contro una Bertens ispirata (che è stata in grado di replicare allo slice ugualmente con lo slice) ha prevalso per un soffio. Ma contro la Osaka di queste ultime settimane, che attraversa un periodo di rendimento superiore, ha finito per pagare la difficoltà su quella diagonale, e si è trovata con una risorsa tattica in meno che alla distanza ha contribuito a fare la differenza.

Tenendo presente tutto ciò, azzardo una interpretazione per il futuro: con questo bagaglio tecnico, estremamente completo ma con un piccolo, evidente limite in un colpo-base, Barty potrebbe trovarsi ad affrontare partite in cui l’esito del match non sempre dipenderà da lei, quanto piuttosto dal livello di gioco della sua avversaria.

a pagina 3: Bianca Andreescu

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