Pechino, il Premier migliore dell'anno - Pagina 4 di 4

Al femminile

Pechino, il Premier migliore dell’anno

Naomi Osaka, Ashleigh Barty e Bianca Andreescu sono state le maggiori protagoniste di un torneo di qualità superiore

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Naomi Osaka e Bianca Andreescu - Pechino 2019
 

Naomi Osaka
Mentre seguivo Naomi Osaka nei suoi ultimi successi asiatici, ho cominciato a chiedermi che cosa si dirà fra qualche tempo del suo rendimento 2019. Allo stato attuale delle cose, se si “uniscono i puntini” della stagione rappresentati dai diversi tornei di Osaka, l’immagine che ne esce è quella di un dito accusatore nei confronti del suo ex coach, Jermaine Jenkins.

Ripercorriamo gli eventi principali. Al termine della vittoria agli Australian Open, Osaka decide di separarsi da Sascha Bajin; con lui ha vinto Indian Wells 2018 e due Slam, negli Stati Uniti e in Australia.

Dopo qualche settimana, alla vigilia di Indian Wells 2019, Osaka sceglie di promuovere a coach un suo hitting partner, Jermaine Jenkins. Un percorso simile a quello compiuto con Bajin: probabilmente Naomi pensa che possa anche ottenere risultati simili. In fondo Bajin si era fatto conoscere come hitting partner di Serena Williams, e Jenkins lo è stato di Venus…

Da marzo ad agosto, nei sei mesi di collaborazione con Jenkins, Osaka non vince alcun torneo, né raggiunge finali. Bilancio di 20 vittorie e 9 sconfitte complessive, e la semifinale di Stoccarda (non disputata per un problema ai muscoli addominali) come miglior risultato. Al termine degli US Open 2019, Osaka decide di separarsi da Jenkins.

A chi le suggerisce di tornare con Bajin, Osaka risponde con una mossa a sorpresa: il nuovo allenatore lo sceglie in famiglia; a seguirla come primo responsabile sarà suo padre Leonard François (ricordo che Osaka è il cognome materno). Da quel momento Naomi affronta due tornei, in Giappone e Cina. Li vince entrambi: Osaka e Pechino, con una striscia aperta di dieci vittorie consecutive.

I dati sono questi, e se ragioniamo sui puri numeri è arduo trarre conclusioni differenti, visto che il declino nei risultati e la collaborazione con Jenkins si sovrappongono alla perfezione. Resta però da vedere se dietro ai cambi di allenatore non ci siano anche altri motivi che possono avere influito sulla serenità di Osaka, e sul suo rendimento al di là delle pure questioni tennistiche. E questo ridurrebbe le colpe del coach, che potrebbe avere cioè avuto la sfortuna di capitare con la giocatrice giusta nel momento sbagliato.

Che il primo responsabile sia l’ex allenatore oppure no, con certezza assoluta non possiamo sostenerlo, perché ci mancano informazioni “interne”, riservate, per valutare la vicenda. Ragionando da fuori possiamo però tentare un esercizio differente: giudicare quanto vediamo in campo, non fermandoci solo ai risultati, ma analizzando le eventuali variazioni di gioco. Sotto questo aspetto a mio avviso si possono notare differenze tra il periodo Bajin, il periodo Jenkins e l’attuale periodo François. Le ripercorro in estrema sintesi.

Naomi ha compiuto il salto di qualità decisivo della sua carriera (passando da giovane promessa a vincitrice Slam) nel “periodo Bajin”, quando ha dimostrato di saper vincere i match praticando un tennis meno rischioso rispetto al periodo degli esordi nel circuito WTA. Direi che sono soprattutto due le novità da sottolineare: il miglioramento nelle fasi di contenimento (collegato anche a un progresso atletico nella mobilità) e la maggiore capacità di sfruttare le proprie doti tecniche nell’esecuzione dei colpi incrociati stretti.

Osaka infatti appartiene a quel piccolo numero di giocatrici in grado di mettere in difficoltà l’avversaria senza dovere per forza cambiare le geometrie base dello scambio (passando cioè da incrociato a lungolinea e viceversa). Naomi infatti possiede una dote rara: sia con il dritto che con il rovescio riesce a passare dalla esecuzione del colpo incrociato “normale” al colpo incrociato “più stretto”. Già con questa (apparentemente) semplice variazione può ottenere il punto, o quanto meno può mettere in tali difficoltà l’avversaria da conquistare lo scambio a proprio favore con una facile chiusura.

È una dote che, per esempio, possiede anche Serena Williams; e saper trovare angoli stretti “dal nulla”, partendo cioè dalla stessa diagonale, consente di comandare lo scambio senza dover per forza muovere drasticamente le geometrie del palleggio. Significa anche spostarsi meno in campo.

Questa speciale capacità tecnica di vincere lo scambio rimanendo sulle stesse diagonali, aveva avuto una fondamentale conseguenza sul tennis di Osaka: le aveva permesso di colpire più spesso in condizioni di grande equilibrio; e grazie a questo di limitare gli errori non forzati. Non solo: siccome l’avversaria è consapevole che il lungolinea è poco utilizzato, si può contare anche su un effetto-sorpresa; e così quando si colpisce in lungolinea si può ottenere il punto senza nemmeno dover spingere al massimo, ma semplicemente cogliendo in contropiede una avversaria meno preparata a coprire quella direzione.

Ecco, se uniamo queste qualità a una prima di servizio a volte incontenibile, abbiamo delineato alcuni aspetti fondamentali della giocatrice capace di vincere due Slam consecutivi e diventare numero 1 del mondo.

Le cose sono cambiate nel “periodo Jenkins”. Osaka ha parzialmente abbandonato la costruzione paziente del punto impostato sull’insistenza nelle diagonali, in favore di un maggior utilizzo del lungolinea. La conseguenza è stata duplice: scambi più brevi, ma anche errori non forzati più numerosi. Intendiamoci: Naomi ha dimostrato di saper eseguire piuttosto bene anche i lungolinea, ma le riescono con regolarità se ha la possibilità di colpire in condizioni di grande controllo del corpo. Se invece li esegue arrivando in corsa, magari in extremis nel tentativo di rovesciare l’inerzia dello scambio, le percentuali di riuscita calano drasticamente.

Chiusa l’esperienza con Jenkins, il “periodo François” ha visto il ritorno alle scelte tattiche utilizzate agli Australian Open. Con questo ritorno al passato, Osaka è tornata a vincere. Ha cominciato a farlo dal torneo di casa, ad Osaka. E se è vero che in Giappone non ha incontrato Top 20, ha comunque progressivamente ricostruito il proprio corredo di fiducia, per esempio riuscendo finalmente a sconfiggere la sua “bestia nera” Putintseva (zero su tre nei precedenti) e una avversaria molto solida come Elise Mertens. E così si è presentata in Cina con la convinzione mentale dei tempi migliori.

A Pechino abbiamo di nuovo potuto apprezzare quanto sia forte la Osaka nella sua migliore versione. E alla fine abbiamo scoperto che l’attesissimo match contro Andreescu vinto nei quarti aveva davvero assunto il classico connotato di “finale anticipata”. A impensierire Naomi, infatti, non è bastata l’attuale Wozniacki in semifinale, e in finale Barty ha retto per due set, salvo poi andare incontro a un passaggio a vuoto che ha scavato un solco decisivo nel terzo set (3-6, 6-4, 6-2).

Il successo di Naomi a Pechino ha confermato che la qualità dei suoi tre colpi-base (servizio, dritto e rovescio in topspin) è così alta da risultare vincente anche contro giocatrici che possiedono nel proprio repertorio maggiori soluzioni, come Andreescu e Barty.

Quindi nessuna nuvola all’orizzonte per Naomi? Volendo cercare possibili controindicazioni ne suggerirei due. La prima. Osaka, proprio per l’utilizzo di un arsenale più limitato di colpi rispetto a Barty e Andreescu rischia di andare incontro e periodi di calo più drastico, perché quando una delle sue armi fondamentali funziona meno bene, ha meno alternative efficaci a cui ricorrere.

Secondo aspetto: bisognerà vedere se saprà mantenere con costanza la stessa dedizione nella fase difensiva mostrata a Pechino; fase difensiva che non le procurerà mai tantissimi punti, ma che nell’arco di un set può valere due-tre quindici. E sappiamo che spostare due-tre quindici a proprio favore in un set, può fare la differenza tra vittoria e sconfitta.

In conclusione
Mi rendo conto che quando si parla di giovani o giovanissime come Barty, Osaka e Andreescu, è quasi inevitabile proiettarsi sul futuro, provando a immaginare come evolveranno le loro carriere nelle prossime stagioni. E di fronte a un torneo così positivo come Pechino è forte la tentazione di trasferire le tre più fresche protagoniste direttamente al centro della WTA dei prossimi anni.

Comanderanno davvero loro tre? Oppure sarà la rivalità tra Osaka e Andreescu il leitmotiv del futuro tennis femminile? Sono ipotesi credibili, ma può anche darsi che non tutte le giocatrici riescano a mantenere questi livelli nelle prossime stagioni, per mille motivi. A cominciare dal più banale di tutti: l’efficienza fisica. Sappiamo per esempio quanti guai fisici abbia attraversato Bianca in passato. Ma ricordo anche che Barty si è fermata per circa due stagioni a causa dello stress che le procurava la vita da tennista professionista. E poi in WTA potrebbero emergere altri nomi inattesi, così come inatteso era quello di Andreescu dodici mesi fa.

Al di là delle previsioni a lungo termine, resta il fatto che a Pechino abbiamo assistito a uno spettacolo davvero interessante e che questa è comunque una ottima premessa, se non per gli anni a venire, quanto meno per il Masters che si giocherà fra qualche settimana a Shenzhen.

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