Rublev e Shapovalov: quando il talento non basta

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Rublev e Shapovalov: quando il talento non basta

Esplosi nell’estate 2017. Poi hanno fatto fatica ad affermarsi. Colpa di infortuni e mancanza di mentalità. Ora però sembrano sulla strada giusta

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Denis Shapovalov - US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)
 

È l’estate del 2017. Andrey Rublev e Denis Shapovalov sembrano essere insieme al già affermato Alexander Zverev i volti nuovi del circuito maschile. Addirittura, per qualità di tennis e colpi spettacolari, i due si fanno preferire al tedesco. Dopo aver vinto da lucky loser il torneo di Umago, sconfiggendo Fognini ai quarti e Lorenzi in finale, l’allora 19enne russo, dal fisico gracile e ma capace di generare fucilate con la racchetta, centra l’exploit agli US Open. Partito in sordina, Rublev raggiunge i quarti di finale, eliminando Grigor Dimitrov e David Goffin, che a fine anno si contenderanno le ATP Finals più pazze di sempre. Nel torneo di casa, alla sua quarta apparizione in un tabellone ATP, il 17enne Shapovalov mette in subbuglio il mondo del tennis canadese e non solo, sconfiggendo prima Juan Martin del Potro e poi niente di meno che il n.1 del mondo Rafa Nadal, al tiebreak del terzo set. Il suo gioco spumeggiante e votato sempre all’attacco lascia tutti a bocca aperta. 

Insomma, giusto un paio di anni fa sembrava tutto facile e in discesa per questi due giovani prodigi del tennis. E invece per vederli di nuovo alzare le braccia al cielo, vittoriosi, si è dovuto aspettare fino allo scorso fine settimana. Dopo due finali perse, Rublev ha conquistato il suo secondo titolo sul circuito maggiore di fronte al proprio pubblico, a Mosca, superando il francese Adrian Mannarino. Dai quarti, il moscovita ha inserito il turbo, concedendo le briciole ai suoi avversari, compreso Marin Cilic. La sua affermazione arriva al culmine di una ottima seconda parte di stagione in cui è riuscito ad esempio a battere Federer a Cincinnati e Thiem sulla terra di Amburgo.

Shapovalov invece ha trovato un po’ all’improvviso la sua prima gioia sul circuito ATP a Stoccolma, imponendosi in finale sul serbo Filip Krajinovic. Qualche segnale incoraggiante, dopo una parte centrale di 2019 orribile, lo si stava già intravedendo da qualche settimana. Il tabellone poco competitivo di questa edizione del torno svedese gli ha dato sicuramente una mano. Ma lui c’ha messo del suo.

E nel mezzo cosa è successo? Perché questi due talenti di assoluto valore non sono già entrati da un pezzo in Top 20 e anzi solo adesso ci si stanno (ri) avvicinando? Perché appunto per eccellere nel tennis, così come in tutti gli altri sport, quello che ti dona madre natura non basta. Non è sufficiente saper tirare dritti vincenti da qualunque parte del campo o strappare applausi con acrobatici rovesci ad una mano in salto. Oltre all’estro, ci vuole il fisico e la testa. A Rublev è mancato il primo più che la seconda. Non che fosse proprio sempre concentratissimo in campo. Però i veri problemi per lui sono venuti nella primavera dello scorso anno, quando un infortunio alla schiena lo ha costretto a fermarsi per circa tre mesi, nel bel mezzo della stagione.

Come rivelato da lui stesso, è stato un periodo abbastanza deprimente. E quando è tornato a giocare ha dovuto ricominciare la sua scalata quasi da zero, dato che giusto a febbraio era 115 del mondo. Piano piano, grazie a molta pazienza e lavoro fisico, è riuscito a recuperare forma fisica e fiducia. Anzi ora è molto più preparato atleticamente rispetto a due anni fa. E più capace di calibrare al meglio il suo margine di rischio nei colpi. Nella vittoria contro Federer, Rublev è stato magistrale proprio nel dosare al meglio i propri colpi, senza eccedere e giocando con grande disinvoltura.

A Shapo invece è mancata decisamente più la testa che il fisico. Anche in questo caso certamente un gioco di gambe più efficace non sarebbe guastato, con il canadese che non si è impegnato molto a migliorare la fase difensiva. Però la gestione dei punti e delle situazioni è rimasta a lungo degna di uno juniores. Shapovalov tendeva a giocare ogni quindici nella stessa maniera, ovvero d’istinto, come gli veniva. E tendenzialmente gli veniva di giocarlo in maniera rischiosa, fin troppo. Così i suoi match si concludevano con un sacco di highlights utili per il sito della ATP ma saldi errori non forzati/vincenti negativi. E chi gli stava attorno, a partire dall’onnipresente mamma Tessa, non sembrava volere o potere fargli capire che forse un atteggiamento meno più conservativo in campo sarebbe produttivo ogni tanto.

A causa delle sconfitte che continuavano ad accumularsi, anche contro giocatori ben meno quotati di lui che nella circostanza avevano il merito semplicemente di buttarla di là, lo stesso Shapovalov era sembrato sempre più triste e rassegnato in campo. Serviva una scossa e così è arrivata la decisione di fare entrare a fine agosto nel team il colonello Mikhail Youzhny, ritiratosi giusto nel 2018, ad imporre un po’ di disciplina sovietica al ragazzino scapigliato. E la musica sta cominciando a cambiare: meno rap (del quale onestamente ne avremmo fatto a meno così come dei gratuiti da fondo) e più classica. La strada per sgrezzare il diamante è ancora lunga, ma almeno è stata imboccata prima che diventasse troppo tardi. 

Il 2020 sarà l’anno della loro definitiva consacrazione ad altissimi livelli? È tutto da vedere. Forse in questo momento Rublev è più vicino di Shapovalov all’élite del tennis mondiale. Ma quest’ultimo ha due anni in meno e vale sempre la pena ricordarlo. Nel frattempo in questa stagione hanno imparato la lezione più importante di tutte: il talento da solo non basta. 

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