Il momento d’oro del tennis italiano. Panatta: “Ci vuole talento e chi lo coltivi”

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Il momento d’oro del tennis italiano. Panatta: “Ci vuole talento e chi lo coltivi”

Sportweek, settimanale de La Gazzetta dello Sport, dedica uno speciale alla rinascita del tennis italiano in questo ultimo anno, con interviste a Sinner, Berrettini, Panatta e Piatti

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Matteo Berrettini - ATP Finals 2019 (foto Roberto Zanettin)
 

È stato un 2020 da sogno quello per il tennis italiano al maschile, un anno da ricordare e che può essere il punto di partenza per un avvenire luminoso. Fabio Fognini, che per un decennio si è portato sulle spalle il peso del movimento, è riuscito ad agguantare la tanto agognata Top 10 e conquistare il suo primo Master 1000. Matteo Berrettini è stato protagonista di una crescita folgorante che l’ha portato ad essere il primo azzurro alle Finals dopo oltre quarant’anni. Il 18enne Jannik Sinner ha vinto le ATP Next Gen Finals ed è già entrato tra i primi 100 della classifica, affermandosi come uno dei migliori giovani del panorama mondiale.

Come è potuto succedere tutto questo? Qualche anno fa l’Italia si distingueva più a livello femminile nel tennis che a livello maschile, grazie alla generazione d’oro di Pennetta, Vinci, Errani e Schiavone. Ora abbiamo otto giocatori nei primi 100 del ranking ATP e appunto alcuni di questi iniziano i tornei per vincerli, anche quelli più importanti. Dove sta la chiave di tutto? “Il talento e l’aver trovato delle persone che hanno fatto sì che sbocciasse. Ho conosciuto tanti giocatori che giocavano molto bene ma non sono arrivati. Il talento da solo non basta”, spiega Adriano Panatta, quello che oggi è considerato il miglior tennista italiano di sempre, a Sportweek, in uno speciale opportunamente dedicato a questo grande anno. 

Uno che il talento ha dimostrato di saperlo scovare, coltivare, far crescere e portarlo ai massimi livelli è sicuramente Riccardo Piatti. Ormai di presentazioni l’ex coach di Ljubicic, Raonic, Gasquet, Coric e oggi, soprattutto, Sinner non ne ha bisogno. L’accademia da lui fondata a Bordighera è un centro d’avanguardia e una miriade (1500 l’anno) di tennisti si affidano per periodi più o meno lunghi alle sue cure e quello del suo staff. La scelta di Maria Sharapova di approdare sulla costa ligure per ritornare ai vertici è la certificazione di quanto ormai sia considerato uno dei migliori allenatori al mondo. 

A renderlo diverso dagli altri coach è il suo approccio. “Non siamo qui per risolverli i problemi ma per crearveli”, è il motto dell’accademia. “Una volta ho chiesto a Sinner chi è il migliore allenatore al mondo. Lui mi ha risposto che ero io. Io gli ho detto che era lui stesso. Io gli do solo i mezzi per risolvere i problemi, anche in gara. Quest’anno ho fatto un sacco di fatica per trovargli le wild card per farlo giocare. Erano problemi che poi lui doveva risolvere”, racconta l’allenatore comasco.

La sua soddisfazione più grande è lavorare sul talento quando è ancora grezzo, plasmarlo, e trasformarlo in giocatori pronti a competere ai massimi livelli. “Quello che mi piace è prenderli da piccoli e farli crescere. Sinner l’ho portato qui cinque anni fa. All’inizio stava a casa di Luca, uno dei nostri maestri, lo curava la moglie e gli facevano compagnia i due figli e il cane”. Insomma, da ragazzini a campioni. Grazie al lavoro, costante, su tutti gli aspetti, ma soprattutto uno. “Il principio del nostro centro è insegnare la tecnica corretta. Sinner ha lavorato moltissimo su questo aspetto”. E si vede, verrebbe da dire. 

Appunto Sinner, il predestinato. Perché forse non ne abbiamo mai avuto uno così. Uno che dà davvero la sensazione di poter diventare non forte, non fortissimo, ma il migliore di tutti. Uno che a 18 anni gioca con la tecnica e la maturità di un veterano. “Lui è un caso particolare. Quando lo vedo giocare ma anche parlare penso che abbia 30 anni, non 18”, dice di lui Panatta, che si lancia nel pronostico. “Il prossimo anno potrà arrivare tra i primi 20”. Onestamente non sembra nemmeno una previsione così ottimistica. Quello ammirato quest’anno è già un giocatore completo, che ha tutto per giocarsela ai massimi livelli: fondamentali puliti e potenti, attitudine combattiva e vincente. “È Impressionante, io a 18 anni non avevo ancora un punto ATP!”, dice Berrettini. “È strabiliante per come gioca e come investe su quello che sta facendo. Questa è la sua qualità migliore. Ora lo dobbiamo lasciare tranquillo perché è giovane, ma la pressione che posso sentire io è diversa dalla sua”, prosegue il nostro numero 1. In effetti, le aspettative su questo ragazzino altoatesino sono pesantissime. Anche se le sue spalle sembrano essere molto più larghe di quelle di un diciottenne normale. 

Jannik Sinner (premiazione) – Next Gen ATP Finals 2019 (foto Cristina Criswald)

E dire che non doveva nemmeno essere un tennista Jannik. Infatti, in maniera abbastanza ovvia considerando la sua provenienza, inizialmente i genitori lo misero sugli sci. E pure lì andava forte. “L’importante per i miei era farmi fare qualcosa. Stancarmi. Perché non stavo mai fermo”, spiega il talento di San Candido, “Lo sci non mi piaceva tanto. Mi facevano un po’ paura quelle pendenze. Avevo l’ansia di farmi male”. Nel tennis invece non corre questo pericolo. Quelli che rischiano di farsi male sono gli avversari, a forza di rincorrere le sue palle. Quest’anno ha fatto un balzo enorme, da 550 a 78 nel ranking. Ma è ora che la salita si fa ripida. Sinner non ha paura e lancia la sfida. “Sono un ragazzo simpatico fuori dal campo. Ma i miei avversari devono sentirsi sotto pressione ancora prima che la partita inizi”, afferma spavaldo. Self confidence da campione. 

Se Sinner è il futuro del tennis italiano, il presente ha il nome di Berrettini, semifinalista agli ultimi US Open e n.8 del mondo. “Ha quella combinazione di servizio e dritto che ha fatto la fortuna di tanti giocatori”, dice Panatta, che lo conosce da quando era un bambino e che fin da subito si era reso conto di quanto potesse tirare forte. Secondo Panatta, Matteo può migliorare ancora, al volo e di rovescio e ottenere grandi traguardi. Come ad esempio la vittoria nel torneo più caro ai tifosi azzurri, gli Internazionali d’Italia. “Anche se lui è addirittura più forte sul veloce”, prosegue l’ultimo italiano a vincere una prova dello Slam. Non ha tutti i torti e ce se ne può fare una ragione.

Se oggi possiamo guardare con ottimismo alle carriere di Berrettini e Sinner è anche grazie a chi il movimento lo ha trascinato negli ultimi, ovvero Fognini e Seppi. “La carriera di Fabio parla da sola, un campione straordinario. Penso che il tennis italiano gli debba essere grato. E poi è un bravissimo ragazzo. Diverso da come lo si dipinge. Fino a quando avrà forti motivazioni è la guida del movimento”, afferma con grande umiltà Berrettini. Anche per Seppi non ci possono essere che elogi. È un esempio di dedizione, amore per il suo sport e voglia di sacrificarsi. Non è facile rimanere al vertice per tanti anni. Lui ci è riuscito perché è un ragazzo serio e capace di andare sempre oltre i propri limiti”. Per Sinner, anche considerata la provenienza, Andreas è stato un punto di riferimento. 

Insomma, la presenza di giocatori che, nonostante non siano riusciti a vincere Slam hanno comunque fatto da modelli, la fortuna di trovare alcuni talenti straordinari e la bravura di allenatori come Piatti sono la combinazione vincente che ha riportato il tennis italiano al vertice dopo tanti anni. E il meglio potrebbe ancora venire.

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